lunedì 23 gennaio 2023

La ligne - la linea invisibile: la nostra recensione di un film sui “confini emotivi” diretto da Ursula Meier con protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Stephanie Blanchoud


Ci troviamo in Svizzera nei mesi più freddi, in un piccolo paesino di pendolari attraversato da canali e binari ferroviari. Tra le pareti di una piccola casetta in mezzo alla neve tra la 35enne Margaret (Stephanie Blanchoud) e la madre (Valeria Bruni Tedesci) è ormai guerra aperta. Margaret non approva più le sue nuove frequentazioni, spesso uomini o troppo autoritari o troppo giovani. La madre non ne può più di vedere la figlia tornare a casa piena di lividi dopo un incontro di boxe o una rissa da bar. Spesso le due finiscono alle mani davanti all’inerme e spaventata sorellina piccola di Margaret, Marion (Elli Spagnolo), che cerca invano di mediare tra le parti. Margaret ormai vive fuori dall'abitazione e si è costruita nel garage il suo piccolo regno, svolgendo per sostenersi dei piccoli lavori come la pulizia del pesce presso il vicino pescivendolo. La madre ha la sua vita sentimentale e il suo lavoro come insegnante di pianoforte che le assorbono tutto il tempo, insieme ai ricordi di quando era giovane e faceva la pianista a tempo pieno. Ma la distanza tra Margaret e la madre è destinata ad aumentare e assumere pure una distanza precisa: 100 metri. 100 metri da mantenere rispettosamente tra le due per 100 giorni, secondo la disposizione di un giudice a seguito dell’ultima rissa, nella quale la madre ha subito pure la lesione di un timpano dopo una caduta. Margaret cerca più volte di varcare questo confine fisico quanto emotivo, alla ricerca di un dialogo impossibile che sfocia sempre in scontro, fino a che la piccola Marion prende una decisone estrema: con una vernice azzurra traccia circolarmente lungo le strade della cittadina la linea di confine tra la casa dove vive con la madre e il limite fino a cui la sorella può avvicinarsi. Marion chiede poi a Margaret di giurare di non varcare mai quel confine fino allo scadere del provvedimento, ponendosi da custode e guardiana di quella linea. Comincia così una strana convivenza a distanza, con le sorelle che comunicano tramite dei binocoli sedendosi sugli alberi e sui tetti, con Margaret che aiuta Marion a preparare la canzone per il saggio di musica portando sul confine due sedie, la sua chitarra elettrica e una lunghissima prolunga di cento metri per l’amplificatore, che si collega alla spina di corrente dall’appartamento dove la ospita momentaneamente il suo ex fidanzato. Se le sorelle riescono in qualche modo a vivere questa distanza trovando punti di contatto, tra Margaret e la madre sembrano erigersi muri comunicativi ormai invalicabili e impossibili da quantificare. Riusciranno alla fine del periodo del provvedimento a tornare a vivere insieme?


Il mese cinematografico di gennaio si caratterizza per due film sulla magia e passione del cinema, Babylon di Chazelle e The Fabelsman di Spielberg e su due film sulla difficoltà di comunicazione tra le persone, Gli spiriti dell’isola di McDonagh e questo La ligne di Ursula Meier, che pure arrivano in sala nello stesso giorno.

Ursula Meier è una assidua esploratrice dei confini emotivi che si instaurano tra le persone e il loro mondo. Nel suo film di esordio, Home, una famiglia viveva in una casetta tranquilla e isolata fino a che veniva “travolta dal mondo”, con la costruzione di una autostrada a pochi metri dalla loro abitazione. La famiglia si barricava dentro cercando di trovare una sua tranquillità e armonia perduta, sfuggendo agli odori e rumori del traffico tappando ogni finestra fino quasi ad arrivare al soffocamento: era una casa da preservare. In La Ligne la casa, quello che si può intendere come il confine minino di tutte le relazioni umane, rappresenta forse l’opposto. Diviene una zona invalicabile tra due persone, quasi una frontiera da Far West da scrutare per scorgere l’arrivo “dell’altro”, che siano gli indiani o i “Tartari” di Dino Buzzati, pronti a suonare la bandiera per la carica o difendere il fortino. Il confine del campo di battaglia viene delimitato da una gentile e surreale linea di color blu acqua, tracciata diligentemente da una bambina dipingendo strade, canali fluviali e ponti, superando lo stupore e ironia di chi la osserva in questa strana impresa, in una sequenza tragicomica quanto dolce che ci rimanda al cinema di Michel Gondry o Wes Anderson. La dimensione del gioco su questo confine azzurro acqua tra le due sorelle, attraverso espedienti “per stare vicine” sempre più strampalati ed elaborati, dona al film un animo dolce e rincuorante, ci rassicura e ci coccola nella fiducia che anche le relazioni umane più complicate possono ricucirsi “pur mantenendo i confini”. Ma al contempo quella linea è un monito dalle molte valenze interpretative. Per qualcuno può essere inteso come il simbolo plastico della distanza sociale che abbiamo un po’ tutti sperimentato durante gli anni del Covid-19 o delle distanze che alcune coppie separate vivono ogni giorno. Una distanza che oggigiorno “fa più male”. Per qualcuno tra i più “appassionati ai temi psicologici”, quella linea azzurro acqua può pure rappresentare, associata al personaggio di Margaret, un aspetto tipico del disturbo di personalità borderline: la necessità/ossessione di entrare in contatto, pur con il rischio di scontrarsi, con i confini emotivi dell’altro. La Meier, supportata da un cast di ottimo livello e da una messa in scena cristallina, quasi favolistica nell’estetica ma realistica nei toni, riesce bene a raccontarci i molteplici volti di questa linea e a tirarci un po’ dentro nel ragionare su quanti confini, ogni giorno, poniamo o sopportiamo dagli altri. Soprattutto, la Meier ci stimola anche a ragionare su quali e quanti confini possono pure aiutarci a prendere strade diverse, aiutandoci a scegliere vie diverse senza la necessità di “incaponirci nell’abbattere i muri”. È un film che sa stimolare lo spettatore, una dote che il miglior cinema ancora possiede. Davvero molto brave Valeria Bruni Tedeschi e Stephanie Blanchoud, come è incantevole la piccola Elli Spagnolo nel ruolo di tenero “deus ex machina” della vicenda. La Blanchoud dà vita a una Margaret piena di cicatrici e demoni, un personaggio che sa prendere la vita solo a pugni per poi cercare qualcuno “tra le sue vittime” che la aiuti a leccarsi le ferite. La Bruni Tedeschi interpreta una madre che dopo lo scontro con la figlia risulta “etereamente” e crudelmente distaccata da tutto, con la paura terribile di riassumere il ruolo di madre per evitarsi nuove sofferenze. Sono entrambi personaggi “bloccati”, ma dotati di tante piccole delicatezze che li rendono umani, che riescono bene a raccontarci la loro storia anche attraverso la loro sofferenza e difficoltà ad amare, grazie al talento di due meravigliose interpreti. 

La fotografia ci trasmette tutto il freddo dell’inverno svizzero e la colonna sonora gioca un ruolo importante ai fini della trama, perché tutte le protagoniste hanno un legame molto particolare con una musica che a volte le accomuna e a volte le divide. 

Molto interessante a livello simbolico e molto bene interpretato, La Ligne è un film sulle relazioni umane davvero ben riuscito, la dimostrazione del talento di una regista giovane ma già affermata per le sue opere. 

Dopo La Guerra dei Roses, una linea di confine tra i legami di coppia torna protagonista di una pellicola, ma è una linea di un gioioso azzurro acqua a cui sentiamo di poter volere anche un po’ bene. 

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