Eccoci al classico mega-articolo lunghissimo e sconclusionato su qualcosa che nell’ultimo periodo mi ha mandato in scimmia, scaturendo la mia classica insensata e compulsiva ricerca di notizie su “tutto di tutto” quello che riguarda il titolo in oggetto (per lo più roba da Wikipedia, famitsu, siliconera, kotaku e video di YouTube). Per rendere il delirio meno estremo provo ad articolare il discorso in agili capitoletti. Se volete una opinione diretta del gioco e “solo quella” balzate pure in fondo all’articolo parti otto e nove.
C’erano una volta il promettente autore
Kinoko Nasu e l’altrettanto promettente illustratore Takashi Takeuchi, entrambi
nati nel 1973, che nel 1998, a 25 anni, decisero di unire le loro forze e
ingegno e dare vita a una visual novel online: The Garden of Sinners. Una
visual novel è una specie di romanzo testuale accompagnato da alcuni disegni,
qualche volta con i dialoghi audio recitati, nel quale
“videoludicamente” è possibile scegliere diversi snodi narrativi rispondendo ad
alcune richieste che compaiono a video, un po’ alla maniera dei
“libro-game” degli anni ‘80. Più possibilità di scelta, più personaggi diversi
con cui interagire, più snodi di trama da esplorare. Spesso capita che la
narrazione di una Visual Novel si svolga in uno stretto arco temporale rigido,
dove la vicenda comunque si conclude in uno o due giorni. Questo attiva
ludicamente meccaniche simili al “giorno che si ripete” del film Il giorno
della marmotta, stimolando il giocatore a scoprire i molti segreti misteriosi
che nascondono dei personaggi particolarmente misteriosi. Poco conosciute in
occidente, anche perché spesso dall’animo grafico “dimesso”, più suggestive che
spettacolari, realizzabili dignitosamente anche da chi conosce il pacchetto
Office e poco più, in Oriente vanno pazzi da anni per le visual novel, ne
comprano a chilate, anche da autori esordienti che per l’appunto sanno usare
Office e poco più. The Garden of Sinners era infatti all’epoca un’opera
realizzata da esordienti appassionati, in gergo nipponico una “autoproduzione dojinshi”,
che raccolse un discreto successo in rete grazie all'altissima qualità della
storia e dei disegni. Un bel trampolino di lancio, in quanto
le “dojinshi” possono per l’appunto essere spesso un succoso modo per far
conoscere giovani autori di videogame, specie quando partecipano a delle grandi
“convention dojinshi” dedicate come il Comiket. In questi eventi pubblici
grandiosi le opere vengono vendute “pacchettizzate” personalmente dagli stessi
realizzatori e spesso, doveroso dirlo, si tratta di roba dal contenuto
pruriginoso-erotico, per lo più nell’ambito dei simulatori di appuntamenti, ma
nel 3% dei casi non si parla “solo di quello” ed è qui che si fa la differenza,
si scorge il genio. Partecipare al Comiket per un adolescente/young adult è un
po’ il sogno bagnato di tutti i giovani amanti di manga e videogiochi che
sognano di fare i videogiochi nella vita. Giovani promesse dei videogame del
domani si preparano all’evento con la stessa passione e impegno per il
fantomatico “mega torneo scolastico” per il quale si preparano con impegno i
protagonisti di un manga sportivo come Slam Dunk e Captain Tsubasa. È un po’
quella ultima fiammella di ribellione prima di intraprendere la via crucis
esistenziale in 5 fasi di: a) appendere la divisa scolastica al chiodo per
sempre, perché chi non lo fa diventa un maniaco segnalato dai pubblici uffici;
b) smettere di sognare di trombarsi l’amica carina che tanto non te la dà,
specie alla festa rionale davanti ai fuochi d’artificio con lei in kimono
come hai sempre sognato “che succede”; c) dichiararsi artisticamente o
agonisticamente falliti e mollare la spugna insieme alla chitarra, la palla da
basket, il modellino per le gare di 4wd, la divisa da basket del fratello morto
ed ogni altra roba legata al “Club scolastico di qualcosa”; d) iscriversi ai
terribili corsi di preparazione dell’Università per i quali manco i santi ti
aiutato; e) arrendersi a un futuro da grigi salaryman sottopagati di una
multinazionale che vende tubi e per la quale progettano solo tubi in uno scantinato
senza finestre, per sempre. Salaryman che sull’orlo dell’ alcolismo arriveranno
a ripensare a quanto era bello il liceo, le ragazze vestite alla marinaretta,
l’adolescenza perduta e le mini 4wd dopo l’ultimo, maledetto, festival
scolastico che li avrebbe portati alla fama e gloria nel mondo del
fumetto/basket/calcio/baseball/recitazione/cucina/altro, senza che poi sia
successo un cazzo, perché il festival scolastico è finito ovviamente “in
merda”, per la legge di Murphy….insomma: viva il Giappone e i giapponesi. Ma
torniamo a noi. Chi “non ce la fa” in quella fase dorata dell'adolescenza nipponica piena di sogni irrealizzabili finirà per comprare a vita
fumetti, pupazzi, anime e videogame con protagonisti dei liceali “intenti a
cercare di farcela”, in una specie di diabolico contrappasso. Ma uno su mille
ce la fa, come cantava Morandi. Non ce la facevano i protagonisti dell’anime
Welcome to NHK, la cui primissima visual novel dojinshi veniva presentata
al Comiket ma non vendeva niente, con i nostri eroi che in un rapidissimo e
spietato cambio di scena venivano reclutati forzosamente nel magico mondo
dell’edilizia nipponica, grazie a un sistema di collocamento mirato che qui in
Italia ce lo sogniamo (ed è un bene, anche perché sembra più un incubo che un
sogno). Ma ce l’hanno fatta invece i nostri Nasu e Takeuchi, classe 1973, che
dopo aver aspetto un paio d’anni, raccolto i feedback online di un titolo dal
nome Garden of Sinners e messo in giro alcune demo del medesimo, fondavano
“credendoci tantissimo” un piccolo studio conosciuto come “Notes”. I due si
presentavano “solo poi” alla grande occasione della vita del Comiket, più
esperti, agguerritissimi e sempre più bravi, con la loro non prima ma seconda
opera: Tsukihime. Tsukihime che tradotto letteralmente suona come: “la
principessa della Luna”. Faccio un piccolo spoiler; la loro Software House, che
si specializzerà in visual novel, proprio grazie all’incredibile successo di
Tsukihime assumerà il nome di “Type-Moon” e arriverà al successo internazionale
poco dopo, grazie alla arcinota serie Fate/Stay Night, sempre ambientata
idealmente nello stesso universo narrativo di tutte le opere scritte da Nasu,
dove pure la primissima
Garden of Sinners ovviamente è compresa e
canonica, un universo che per gli affezionati da allora sarà il
“Nasuverso”. Ma molto prima di Fate questo Nasuverso si sarebbe espanso
narrativamente non con una Novel, ma con un picchiaduro, peraltro proprio
dedicato a Tsukihime, dal titolo di Melty Blood. Una cosa strana all’apparenza,
ma che in Giappone può succedere.
Parte seconda, dal titolo: “L’idea
geniale per un piccolo ma sfizioso gioco nato da appassionati e per
appassionati: come Twilight, Hellsing o Darkstalkers, ma tutto ambientato in un
soggiorno”
È incredibile nelle visual novel il
potere evocativo dei soggiorni. Innumerevoli disegni che inquadrano solo
mensole in legno massello, orologi a cucù, il meglio degli armadi Billy di
Ikea. Ci si potrebbe ambientare una storia che parla di apocalisse robotica
dentro un soggiorno, con i personaggi che stanno a parlare dentro un soggiorno
senza quasi mai essere inquadrati, con noi fissi a leggere il testo e guardare
i disegni dei mobili per tutto il tempo… e infatti nelle visual novel fanno
così. Quasi sempre. Certo ci sono anche dei disegni con protagonisti i
protagonisti e non i mobili, dove magnifiche creature femminili sprigionano
grazia e pruriginosa bellezza adolescenziale, ma il focus delle Novel rimarrà
per lo più il feticismo da mobile Ikea. Questioni culturali. Ma facciamo un
passo indietro e torniamo a Tsukihime, che al suo interno possedeva roba di
Garden of Sinners ma già tutti i tratti narrativi e visivi del futuro successo
di Fate e pure qualcosa di più. Tsukihime imbastiva una storia di vampiri e
“darkstalkers correlati”, nel contesto di una deliziosa cittadina giapponese,
un po’ Tokyo e un po’ Osaka, molto soleggiata e ben curata. Una cittadina piena
di verde ed edifici sgargianti, con ovviamente per protagonisti dei liceali. La
cosa affascinate di molte visual novel è proprio il tono amichevole che
possono assumere anche i contesti “più Strong”. Se si prendesse alla lettera il
contesto narrativo che ci raccontano in Tsukihime, dovremmo trovarci in una
variante poco meno splatter del manga Hellsing, con cadaveri e zombie ovunque,
vampiri e cacciatori di vampiri del Vaticano che abbattono palazzi con armi
ancestrali. In realtà in Tsukihime tutta la potenziale violenza della storia,
pur presente, è poco più che accennata, giusto evocata ogni
tanto, con storia e disegni che puntano principalmente a sfuocare l’horror
e mettere a fuoco le relazioni umane “di corteggiamento” tra i personaggi in un
contesto scolastico/cittadino che è appunto soleggiato e tradizionalissimo per
normalità, dove a livello visivo onnipresenti dominano come dicevamo i mobili
in legno massello. Immaginatevi l’apocalisse dietro l’angolo con noi che
veniamo messi, come lettori, nei panni del protagonista-tipo, che
in genere è il classico bravo ragazzo così “sapientemente poco caratterizzato”
da permettere a tutti di immedesimarsi in lui, nel nobile intento di
“provarci” con tutto il nutritissimo cast femminile dell’opera. Facciamo l’amore
non facciamo l’apocalisse vampiro/zombesca. Con lui, per via del suo
ossessivo feticismo per i mobili di arredo, ci troviamo a fissare per ore
e ore l’interno di un qualche soggiorno di una villa di stile ottocentesco o di
un locale da the. Ore e ore in cui i grafici ci mettono ad ascoltare dialoghi
infiniti su vampiri, mostri mutanti e apocalissi preannunciate dalle pergamene
del mar morto, mentre noi guardiamo orologi a pendolo o caffettiere in
ceramica in ambienti pulitissimi, magari una volta su venti con la possibilità
di guardare in modo truffaldino sotto la divisa alla marinaretta di una
interlocutrice avvenente, in un disegno in genere castissimo ma in
qualche modo ammiccante. Poi i programmatori ci offrono qualche piccola scelta di
risposta attiva per interagire con le donzelle virtuali, dandoci la
possibilità di “continuare a conquistare” il cuore di qualche signorina
coprotagonista, passare a un’altra o scegliere una location diversa dove
guardare mobili diversi. Ogni tanto i programmatori ci permettono pure di
osservare qualche rarissima scena d’azione volta a far emergere il contesto
horror/apocalittico/robotico/altro di fondo, che nella maggioranza dei casi è
solo una foglia di fico per elevare il prodotto, ma che qualche volta è pure
una bella sorpresa. Ma lasciamo da parte questo curioso tratto di
approfondimento narrativo e torniamo al gioco: abbiamo capito che davanti a
questi bellissimi mobili in massello o teiere in ceramica lavorate a mano
accadono cose per lo più “sentimentalose” e qui eccoci alla vera varietà
ludica. Si può rimorchiare la compagna di classe figa o la sorellastra figa o
la ragazza misteriosa figa o la cameriera in vestiti orientali figa o la
cameriera in vestiti occidentali figa o la “cannarsiana sorellona” figa o la
lotitina figa o l’insegnate giovane figa o…ci siamo capiti? Poi ok, qui
in Tsukihime ci sono pure vampiri e cacciatori di vampiri, ma sono comunque
solo altre categorie di fighe. Il fatto interessante è che questa “voglia di
conquiste femminili virtuali” può accadere in modo davvero “olistico” anche perché oltre ai vampiri e ragazzine in uniforme scolastica, nell’opera
appare un po’ tutto l’immaginario femminile filo-nipponico più surreale,
comprese le donne in versione superdeformed, le “poliziotte sexy”, le suore, le
donne-robot, le diavolette sexy con frusta. Tutto materiale abbastanza
già codificato in centinaia di anime e manga, come da tradizione di quasi tutte
le produzioni dojinshi, ma il bello è che tutto qui è reso, nei disegni e nella
storia di Type-Moon, in modo fresco, “essenziale ma sofisticato”, decisamente
attraente, dai toni quasi adulti. Il contesto qui fa la differenza. Quello che
per onestà intellettuale abbiamo relegato “a contorno” di questi simulatori di
appuntamenti con il fetish dei mobili Ikea funziona, è fico. Tsukihime è in
fondo un “urban fantasy” a base di creature notturne che si nascondono
sotto vesti di persone comuni. Creature che emergono da un contesto ultra
classico ma a seconda delle linee narrative che il giocatore può scegliere, mutano di ruolo e importanza, evolvono, finiscono per “stravolgersi”
al punto di “recitare” in ruoli sempre diversi, qualche volta incredibilmente
diversi dal contesto di partenza. I personaggi, come il genere vuole, possono
mutare ovviamente in vampiri, ma anche diventare assassini spietati, possono
rivelarsi soggetti dalla personalità multipla, cloni malvagi di “altri
personaggi”, corpi posseduti da uno o più mostri o addirittura
reincarnate divinità distruttive da “fine del mondo”. Quasi tutta gente che il
nostro eroe-avatar cercherà di “conquistare sentimentalmente”, come dicevamo in
piena tradizione dojinshi, ma attraverso dialoghi scritti con molta classe,
complessità e originalità. Tsukihime non era decisamene un angosciante incubo
alla Hellsing, anche se i vampiri qualche brivido riuscivano in effetti a
trasmetterlo in scene specifiche ad hoc, ma riusciva molto bene a svilupparsi
come opera stratificata e articolata, strizzando sapientemente più di un occhio
ad Evangelion. Niente male per un simulatore di fidanzate con feticismi da
Ikea. C’erano poi tra tanti cloni cattivi, personalità multiple, cameriere e
lolite, suore-Terminator e divinità sterminatrici, un bel po’ di
personaggi che potevano diventare benissimo degli interessanti combattenti di
un picchiaduro. E allora perché non farlo?
Parte terza, dal titolo: “Quando una
visual novel fatta da appassionati di visual Novel trova un sodalizio con gli
appassionati dei picchiaduro al grido di “da grande farò i videogiochi
picchiaduri”.
Tsukihime ebbe un enorme e meritatissimo
successo, ma questi personaggi diventarono se vogliamo ancora più famosi quando
Type-Moon nel 2002 decise di allearsi con un’altra software house di autori di
dojinshi, nello specifico specializzati in picchiaduro: la Watanabe Production,
che presto avrebbe assunto il nome di French Bread (se i gruppi di
appassionati di dojinshi si chiamavano “soft circle”, questa Software House
richiamava nel nome la “sofficevolezza” del classico sfilatino francese).
Anche questa piccola compagnia era nata da appassionati, in questo caso amanti
dei giochi di combattimento classici in grafica bidimensionale. Se gli autori
di visual novel erano principalmente scrittori e disegnatori con competenze
tecniche anche poco sviluppate, nei dojinshi di combattimento c’erano anche
dei veri e propri programmatori in erba. Realizzavano in genere videogiochi
molto sexy da consolidata e già più volte richiamata tradizione dojinshi, ma
c’erano eccezioni, c’erano i giochi parodia/umoristici e i crossover
impossibili. Questi autori dì dojinshi/picchiaduro, prima di arrivare alla fama
e realizzare opere proprie, magari si erano fatti le ossa inserendo
amatorialmente pixel per pixel personaggi provenienti da anime e manga in
picchiaduro alla Street Fighters. Erano “modders” di opere pre-esistenti,
utilizzavano ad esempio i tools del M.U.G.E.N. abbinandoli alle
specifiche dei giochi grabbati dai grandi emulatori alla sala giochi o alla
console. Giocavano prima con una palette grafica, poi spostavano frame da un
gioco all’altro, poi riuscivano a creare personaggi sempre più originali,
giochi sempre più autenticamente “loro”. Alla fine un personaggio da videogame
poteva richiamare di suo un personaggio diverso, magari preso da un manga.
Questi appassionati si nutrivano di codici di programmazione, tecniche
grafiche, schemi di combinazione dei tasti. Il feticismo dei dojinshi dei
picchiaduro erano i picchiaduro, non le mensole Ikea. Se un giorno vi siete
imbattuti (o in futuro vi imbatterete) in un gioco strano in cui un Ryu della
versione da sala giochi di Street Fighters II affrontava a palle di energia Goku
di Dragon Ball, preso da Dragon Ball Hyper Dimension per Super Nintendo, magari
quello è un picchiaduro “elaborato” da autori di dojinshi alle prime armi. La
French Bread, fondata nel 1995, non era alle prime armi anche se inizialmente
era composta solo dal talentuosissimo programmatore Nobuya Narita, un amante dei
codici dei giochi Capcom e Snk. In seguito si sarebbe espansa con l’arrivo di
Kamone Serizawa e dell’autore di musiche ed effetti sonori Masaru Kuba e oggi è
una realtà importante, sempre “piccola”, ma molto strutturata. Ma Narita
fin dal suo primo lavoro, The Queen of Heart ‘98, si era distinto per
competenza e capacità creativa. Aveva realizzato un gioco tutto nella gloriosa
pixel art dei picchiaduro del passato, decidendo per il lato artistico di
stringere un “classico” sodalizio tra i dojinshi di visual novel e i dojinshi
dei picchiaduro, creando di fatto dei “picchiaduro tratti da visual novel
dojinshi”. Nobuya non era il primo a fare opere di questo tipo, ma a lui
venivano bene. The Queen of Heart’98 aveva per protagonisti i personaggi
della visual novel per adulti To Heart, sviluppata da Leaf, ai quali French
Breath aveva aggiunto personaggi e scenari inediti, dando vita a uno scenario
“narrativo” che era una specie di “sequel” della novel. The Queen of Heart’98
come molti altri picchiaduro dojinshi aveva un look molto “puccioso”, volto a
estremizzare la “carineria” e il lato umoristico dei personaggi. Citava in
questo fonti illustri come il Capcomiano Pocket Fighter, ma pure i videogame
di Ranma 1/2 della storica Atelier Double, non rinunciava a conferire un
alto profilo tecnico al prodotto, dando vita a un ben strutturato lavoro sul
lato del gameplay che era frutto della passione di “veri amanti dei
picchiaduro”. Un trattamento simile a quello di The Queen Heart’98 sarebbe
toccato a Tsukihime nel suo personale picchiaduro/spin-off/sequel: Melty Blood.
Melty Blood, che suonava letteralmente come “sangue fondente”, era un titolo
fichissimo per un gioco a base di vampiri nella forma di un picchiaduro
bidimensionale in pixel art. Più vampiri “seri” e meno “pucciosità del solito“
era il taglio scelto per un’opera che puntava tantissimo ad essere di impatto
sul piano visivo, al punto che si dice sarebbero stato realizzato un
numero di animazioni quasi pari a Street Fighter III. Narita e soci erano
decisamente dei secchioni, come il dinamico duo di Type-Moon. Fu questo che
fece la differenza rispetto agli eroi di Welcome to NHK. Tsukihime possedeva di
suo tanti personaggi, alcuni dei quali sviluppavano poteri e personalità
diverse solo in specifiche linee narrative della visual novel. In Melty Blood
si cercò un modo narrativo interessante per “metterceli dentro tutti”,
superando la struttura narrativa “a bivi” della visual in una sorta di “unico
sequel complesso” degli eventi narrati. Un sequel in cui si introduce allo
scopo, come nuovo arrivato nella ridente cittadina scenario degli eventi di
Tsukihime, un super vampiro di nome Warachia, in grado di lanciare su tutto il
territorio una potentissima maledizione, la cosiddetta “Tatari”. Un super
incantesimo con il potere di richiamare, risvegliare e pure sdoppiare tutti i
Darkstalkers del luogo. Di fatto provocando nel mentre come effetto collaterale
la classica ulteriore apocalisse zombie (oltre a quella già vista nella Novel
come “effetto vampirico”) che ovviamente, vista la natura ultra-accennata degli
eventi horror sullo stile narrativo di Tsukihime, “non vedremo mai” neanche in
uno scenario del picchiaduro. La città invasa dai mostri e dalla morte ci
apparirà per lo più in bellissimi e verdeggianti scenari finemente decorati con
gusto e senso dell’arredo di interni, con le mitiche teiere e orologi
inquadrati h24 nella visual Novel. In questi scenari si confronteranno solo i
personaggi principali, con ogni traccia di pubblico del tutto assente,
personaggi principali che qualche volta combatteranno pure “contro se stessi”.
Se il protagonista Shiki in una linea narrativa di Tsukihime (tratta dal suo
primo spin off, “plus disk” a essere precisi, che funzionava di fatto
narrativamente proprio come un giorno che si ripete stile Il giorno della
Marmotta) “risvegliava” il suo lato oscuro da killer “sovrannaturale”, Nanaya,
in Melty Blood Shiki e Nanaya potevano coesistere, anche se quest’ultimo era
ora un personaggio separato. Nanaya diventava un personaggio in più, una
creazione concreta della gioiosa maledizione di Warachia a corollario di tutto
l’inferno di zombie, vampiri e demoni (che noi non vedremo mai) che la sua
magia aveva scatenato. Il roster è così pieno di combattenti in cui
figuravano molte versioni umoralmente e fisicamente alternative di uno stesso
personaggio. Per enfatizzare il fatto che un personaggio “recitasse in
ruoli/characters/fighters diversi” i giochi Melty Blood avevano come
sottotitoli dei richiami all’“acting”, l’attitudine di interpretare dei
ruoli differenti, e vedevano come “interpreti da combattimento” personaggi
visivamente “simili ma differenti” enfatizzando graficamente sulla postura, un
diverso stile di movimenti ed espressione facciale, a volte armi diverse in
ragione del diverso ruolo narrativo che, nella narrazione della Novel, li
aveva fatti passare dai connotati dell’eroe protagonista a quelli del villain.
Shiki era sorridente e timido, rigido nei movimenti e dall’animo gentile. La
sua componente cattiva Nanaya aveva lo sguardo torvo, agiva di istinto e con
aggressività, furtivamente, parlava in modo sprezzante. Tutto questo facendo di
Melty Blood un picchiaduro psicologicamente quasi Junghiano… E noi
amiamo quando i picchiaduro sanno essere Junghiani come ai tempi di Evil Ryu…
tirando fuori dal videoludico lo psicanalitico lato umano in battaglie
virtuali. Oltre all’interpretare ruoli umoralmente diversi c’era tra i
personaggi di Melty Blood anche un po’ di gioioso cosplay, con le gustose
citazioni di Tsukihime al mondo di Hellsing che saltavano all’occhio qui
e là. Il rapporto tra Arcueid e Ciel che in Tsukihime era di fatto epigono di
quello tra Alucard e Father Anderson, nel picchiaduro veniva implementato con tutto
un comparto di mosse, armi e pose che richiamavano allo stesso mitico
manga/anime. Tra i nuovi personaggi, non presenti nella Novel di
Type-Moon, i programmatori insieme a Warachia inserirono altri combattenti dal
background e ruolo importante come Sion, che a tutti gli effetti diventava la
protagonista assoluta di Melty Blood come “nuova gnocca di riferimento per il
protagonista”. In continuità con il concetto dell’acting pure Sion, anche se
non proveniva da una visual Novel, possedeva naturalmente pure lei una variante
umoralmente “oscura”. Il picchiaduro con queste dinamiche rinnovate
spinse gioiosamente Nasu e soci a creare nuove storie e interazioni
“incrociate” per i vecchi e nuovi personaggi, dando forma a un'ulteriore e corposa
parte narrativa inedita, che si espresse anche in manga e animazione,
enfatizzando fin da subito su toni anche “meno seriosi” dai temi horror
originali. Oltre a uno stimolante apparato narrativo e a un comparto grafico
molto interessante, frutto di un'attenta interpretazione dei disegni
originali, le peculiari caratteristiche del gameplay erano: a) un sistema
di attacco a quattro pulsanti; b) una velocità dell’azione molto elevata ma
molto leggibile; c) mosse super a potenza scalare legate al riempimento di indicatori
simili a delle fasi lunari; d) un potente scudo energetico (sviluppatosi negli
anni del brand), che permetteva veloci contrattacchi legati a una gestione
peculiare dell’impatto. Caratteristiche che ne facevano un gioco molto fresco,
veloce da imparare e stimolante da padroneggiare. French Bread e Type-Moon
lavorarono così bene, affiatati e in sinergia, che già nel dicembre del 2002
portarono trionfalmente Melty Blood al leggendario Comiket. E se “uno su mille
ce la fa”, come cantava Morandi, qui si può pure dire che “due su mille ce la
fanno”, andando a sovvertire ogni regola del continuum spazio temporale in cui
vige la legge di Murphy.
Parte quarta, dal titolo: “Il successo
di un picchiaduro fatto per i fan dai fan, che rende i primi fan FANmosi!!!”
Ok, battuta orribile…Fu un
successo il primo Melty Blood, tanto che fu seguito a breve da un sequel, Melty
Blood Re-ACT, che allargava i personaggi alle sempre richiestissime “lolitine
gatto”, con le versioni successive del gioco che aprivano anche a personaggi
provenienti da altre opere, tra cui anche The Garden of Sinners. Nel 2003
arrivò l’anime di Tsukihime ad opere di J.C.Staff, lo studio che in seguito
avrebbe realizzato il simpatico Toradora ma che qui clamorosamente sbagliava il
tiro, dando luce a una miniserie che non riuscì minimamente ad
accontentare i fan. Nel 2005 intanto il terzo videogame di Melty Blood venne
supportato dal publisher Ecole Software, che decise di portare trionfalmente
Melty Blood: Act Cadenza in forma di cabinato nelle sale giochi giapponesi,
facendo confluire nuovi fan sul brand e facendo diventare il picchiaduro uno dei giochi da sala più interessanti e misteriosi del Sol Levante, quanto
ignoto all’Occidente. Un titolo quasi leggendario per il quale si organizzavano
tornei a latere delle competizioni internazionali legate ai picchiaduro più
famosi, come l’EVO. C’era una leggenda urbana che voleva che Melty Blood fosse
giocato nelle stanze d’albergo nei giorni delle competizioni ufficiali, come
una sorta di torneo segreto. Se il fascino di questo titolo era decisamente
legato ai toni misteriosi e sofisticati di Tsukihime per il pubblico giapponese
che conosceva le visual novel, non ci si aspettava che Melty Blood conquistasse
anche una significativa platea di appassionati in Occidente, dove i picchiaduro
bidimensionali erano, dai tempi gloriosi del poco fortunato Dreamcast, ritenuti qualcosa di “vintage”. Era strano pure che personaggi così
“giapponesi-classici”, di fatto visivamente simili a studenti del liceo in
divista, donne-gatto, cameriere e suorine, riscuotessero successo e
interesse quanto i nerboruti picchiatori di Tekken o Street Fighter. Specie a
monte del fatto che la novel era semi sconosciuta e il fumetto era stata una
parentesi legata a pochi numeri fugacemente apparsi e scomparsi nel mercato
internazionale. Sta di fatto che il titolo vendette tantissimo anche quando si
decisero nel 2011 a portarlo per la prima volta in Occidente, in versione
Playstation 2, nel modo più folle e autolesionista possibile: come lussuoso
extra in un “pack” da 500 dollari dedicato alla serie oav di stampo comico
Carnival Phantasm. Carnival Phantasm era una serie umoristica con all’interno
personaggi di Type-Moon tratti da Tsukihime quanto da Fate/Stay Night.
All’epoca ricordiamo che il volano di Fate non era ancora così forte, ma il
fascino dei “mondo di Nasu” iniziava decisamente a diffondersi o forse iniziava
a diffondersi la “voglia di Giappone”, in un momento in cui i fan di anime e
manga uscivano dai forum, invadevano la rete con fansub, iniziavano a dominare
il mondo e infine sognavano di fare magari un giro nel magico Sol Levante. Un
luogo dove le camerierine, le donne-gatto, le “sorellone” e le robo-lolite
diventavano costanti culturali nel mondo dell’intrattenimento. Personaggi per gli occhi degli occidentali iconici, anche se non legati a un fumetto “che
conoscevano” e per questo già di loro personaggi più accattivanti e “di maggiore
presa” di un paio di vampiri mutaforma… o di uno scenario pieno di mobili Ikea,
orologi e teiere.
Parte quinta. Dal titolo: “Quando gli
appassionati di visual novel e gli appassionati di picchiaduro arrivarono a un
bivio su cosa fare da grandi”
La serie sul “sangue fondente” procedeva
il suo cammino verso il successo mentre nel frattempo stava diventando arcinoto
il fenomeno Fate/Stay Night, la cui prima visual novel esordiva nel 2004 ad
opera di una Type-Moon sempre più matura e affermata, pronta a conquistare il
mondo. Carnival Phantasm nel 2010 veniva dopo il buon successo “interno” della (prima e non amatissima) serie tv di Fate, ad opera dello studio Deen, seguita
da svariati manga e opere collegate. Ma soprattutto anticipava di un anno il
“grande botto” che avrebbe fatto Fate/Zero, l’opera prequel del mondo di Fate
realizzata in animazione dallo studio Ufotable, una delle realtà più
interessanti degli ultimi anni in ambito di cartoni animati e partner anche per
la parte animata di importanti videogame, come la serie Tales of di Namco. Se
Melty Blood creava un “sequel unico” a Tsukihime, Fate/Zero creava un “prequel
unico” a Fate. Era con l’anime di Fate/Zero del 2011, tratto da un romanzo
scritto nel 2006 sotto la supervisione di Nasu dal grande Gen Urobuchi (Puella
Magi Madoka Magica, Psycho Pass), che il brand Fate/Stay Night diventava
conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei non addetti ai lavori, declinandosi poi in nuovi spin-off, anime e videogame di tutti i tipi. I
migliori prodotti in animazione del brand di Fate che seguiranno saranno guarda
caso sempre legati ad Ufotable, che realizzerà la serie Fate/Unlimited
Blades Work e il trittico di film Fate/ Heaven’s Feel, di cui abbiano già
parlato qui nel blog. Ma il successo di Fate sarebbe perdurato fino ad
oggi anche in un ulteriore approccio cross-mediale con la saga di Fate/Grand
Order, gioco di ruolo online che si è stato sviluppato soprattutto attraverso il mercato mobile e ancora oggi si trova in costante aggiornamento.
Ma torniamo a quel pack da 500 dollari e quel primo Melty Blood che per vie
strane e traverse arrivava in Occidente, alla stregua di un poster o una action
figure di super lusso. Si trattava nello specifico dell’ultimo titolo della
serie, Melty Blood Actress Again: Current Code. Titolo che avrebbe introdotto i
potentissimi super personaggi da “fine del mondo” di Powered Cell (la super
suora Ammazzavampiri in versione tatuata con glifi sacri e munita di armi sacre
come un mitragliatore/paletto di frassino mistico/hi-tech grande come un fucile
d’assalto di Contra) e ARChetipe: Earth (la co-protagonista in versione
divinità vampira definitiva) chiudendo di fatto tutte le trame, anche se la
storia sarebbe stata poi continuata in seguito attraverso altri media, nello
specifico nuove serie a fumetti. Melty Blood aveva per Nasu narrativamente già
“dato tutto” e si parlava di passare a un ulteriore sequel, come
“picchiaduricamente parlando” per Street Fighter 2 fu Street Fighter III (che
all’inizio fu accolto malissimo). In alternativa si pensò pure di
rilanciare da capo la serie come da Street Fighter 2 si passò al prequel Street
Fighter Alpha (che sempre “picchiaduricamente parlando” all’inizio fu accolto
benissimo). Era l’agosto del 2010 e French Bread e Type-Moon stavano facendo i
conti con l’indecisione della scelta del primo o del secondo approccio per la
“ripartenza” della serie. La più timida soluzione tra tutte era quella di
realizzare un remake in altra definizione di Melty Blood, “così come era”, che
sarebbe stato possibile magari grazie a una breve nuova visual novel di
Tsukihime che introducesse alcuni nuovi eventi e personaggi in una prospettiva
di prequel o “re-quel”, come si dice oggi. Ma ovviamente le cose presero una
piega diversa quando Fate diventò prioritario per Type-Moon più di ogni altra
serie. Iniziarono i malumori. Si iniziò a dire che Melty Blood era di fatto un
sequel di Tsukihime “spurio”, con nuovi personaggi, come Sion e Wallachia, che
erano più “nella sensibilità grafica” di French Bread e meno di
Type-Moon. Si voleva con il senno del poi realizzare un lavoro dai tratti più
omogeneo e integrati alla prospettiva Type-Moon e a come la società Type-Moon
si era sviluppata negli anni, al netto di piccoli mutamenti della trama
generale. I lavori sarebbero dovuti incominciare già nel 2008 ed eravamo
appunto ad agosto 2010 ancora in altissimo mare. Nasu era da tempo pronto a
scrivere un remake di Tsukihime in questa “prospettiva meno Melty Blood”, ma
prima di partire aveva giusto detto: “fatemi finire questa nuova serie che sto
scrivendo, Witch of the Holy Night. Due mesetti e sono tutto vostro!!”. Passava
un annetto e mentre Witch of the Holy Night sarebbe stato ultimato a metà del
2012, alla faccia dei “due mesetti”, French Bread, sempre in collaborazione con
Ecole Software, “per non stare con le mani in mano”, aveva nel frattempo continuato
a lavorare in grande segreto a un progetto che avrebbe preso vita nel 2011: un
nuovo picchiaduro con forti componenti da visual novel. Un picchiaduro dove
anche Sion, l’eroina di Melty Blood “creata da French Bread”, avrebbe fatto
parte del cast: Under Night In-Birth. Anche qui ambientazioni per lo più
desolate e notturne ma ordinatissime, con protagonisti vari darkstarkers, tra
vampiri, demoni e stregoni che si affrontavano tra le strade di una cittadina
in un contesto urban-fantasy. French Bread, che era sempre capitanata da Nobuya
Narita, guardava ancora fortissimo a Melty Blood come atmosfera, paesaggi e
tipologia di personaggi, ma adottava un character design più “arrotondato” e
diverso, per distaccarsi dalle produzioni Type-Moon. Inoltre sceglieva un nuovo
sistema di combattimento basato sui “buff momentanei” (chiamati Vorpal) e
mosse “cancel” alla maniera delle produzioni Arc System Works. Ma
l’implementazione più vistosa fu lo sviluppo di un comparto grafico di nuova
generazione realizzato a mano con l’implementazione di sprite in alta
risoluzione. Nel processo rispetto alla pixel art classica qui si partiva dalla
matita, si costruivano “scheletri” con la computer grafica in 3D, si operava una
colorazione “bidimensionale” attraverso degli shading e si arrivava a una resa
visiva da cartone animato. Era una tecnica negli anni affinata da Arc System e
probabilmente già pensata per il remake hd di Melty Blood, che ora poteva
diventare un nuovo standard per gli anime fighting anche dal budget più “contenuto”
(come era la realtà di French Bread) e sarebbe stata utilizzata anche da
prodotti occidentali indie come Skullgirls (che noi amiamo alla follia).
Under Night, godibile e ben strutturato, si ritagliava anche lui negli
anni una nicchia combattiva di appassionati, con titoli il cui sviluppo è
arrivato direttamente ai giorni nostri. Di recente la serie ha raggiunto una
fama tale da farne un titolo ufficiale nelle competizioni ufficiali come l’EVO:
i titoli French Bread ora non sono più giocati di nascosto nelle camere
d’albergo in tornei clandestini. Di più, gran parte del cast di Under Night è
stato integrato nel ricco cast dell’ enciclopedico (quanto amabilmente
caotico) Blazblue: Cross Tag Battle di Arc System Works.
Ma mancava qualcosa, mancava che pure
Melty Blood potesse arrivare all’EVO insieme a tutti i fan del picchiaduro che
per anni e anni lo avevano giocato e amato
Parte sesta, dal titolo “Un po’ di
storia sulla produzione di un piccolo grande gioco nato da appassionati
attempati e per appassionati attempati, con la collaborazione di storici
producer Capcom attempati”
Arriviamo al 2020, con Nasu che
finalmente trovava il tempo di scrivere il remake di Tsukihime. Le cronache
riferiscono di come le prime bozze fossero iniziate ufficialmente per un
anno, dal 2012 al 2013, per poi il tutto impantanarsi per altri impegni fino al
2017 per poi successivi stop and go, ma il nuovo Tsukihime sembrava pronto per
uscire nel 2021. Nasu decise di scrivere solo la prima parte del nuovo
racconto/prequel/newquel, dal titolo Tsukihime- A piece of Blue Glass,
rimandando a un futuro imprecisato la seconda parte, Tsukihime - The other
side of Red Garden. Perché il geniale e amatissimo Nasu ama da sempre fare le
cose lentamente e a metà, come George R.R. Martin tratta Il trono di
spade. A Piece of Blue Glass veniva diviso in due storie: una sulla
vampira Arc, che a tutti gli effetti voleva essere un remake dell’originale
visual Novel (per i più tecnici, un remake del “prototipo” venduto in 300
copie al Comiket) e una nuova storia sulla suora ammazza-vampiri Ciel. Di lì a
poco venne annunciata, nel marzo 2021, la produzione di Melty Blood: Type
Lumina. Forse presto anche Ufotable avrebbe potuto realizzare un nuovo anime o
almeno questo era quanto i fan di Tsukihime e Melty Blood si aspettavano e
aspettano ancora oggi che prima o poi accada. Ma torniamo al picchiaduro.
Con la comunicazione dell’inizio
ufficiale dei lavori per il nuovo Melty Blood, si chiariva che nel “remake HD
ufficiale ”non sarebbero ritornati, almeno all’inizio, né l’eroina Sion, né tantomeno il vampiro supercattivo Warachia, né altri personaggi “successivi al
finale” di Tsukihime. La scusa era che essendo gli eventi della visual
novel narrati antecedentemente alla famosa notte della maledizione (Tatari),
“non si poteva fare”. Tuttavia, in puro stile giapponese, quando si è
visto che il numero dei personaggi selezionabili era irrisorio a monte di cose
che sarebbero solo potute essere realizzate nella seconda parte, in uscita
“sadioquando”, si è deciso alla fine di forzare un po’ la questione narrativa,
ragionando su una peculiare “modalità di rientro”. Nello specifico si sarebbe
avvallato una specie di “What if scenario”, secondo il quale potevano essere
presenti nel roster personaggio di Melty Blood che realisticamente, pur esclusi
dalla rinnovata narrazione principale, potevano “essere nei paraggi in quei
giorni degli eventi narrati”, anche se comparivano solo nei videogame/picchiaduro e Novel realizzati successivamente, ma antecedenti al remake.
Si poteva scorgere un po’ di
spocchiosità Type-Moon nelle scelte del nuovo casting. Wallachia era un
personaggio fortissimo ma bassino, con le scarpe da ginnastica colorate, con il
volto un po’ anonimo e manie di grandezza troppi grandi, da vampiro che urla in
continuazione con la risata sadica.
C’era al suo posto un nuovo super
vampiro in città, che si chiamava Vlov Arkhangel e aveva un aspetto regale e
tragico, bellissimo e longilineo, che non rideva mai, senza orribili scarpe da
tennis colorate e che rivestiva un ruolo da villain antecedente a Walachia. Più
fine. Ritornavano molti personaggi ma senza alcune delle loro
“personalità multiple” più buffe come la “versione robotica” (che magari
sarebbero tornate in seguito). C’erano ovviamente delle nuove aggiunte al cast
frutto delle implementazioni del nuovo remake e c’erano i famosi
“personaggi nei paraggi”, ma soprattutto, fin dal primo rilascio del gioco, (che ha già ricevuto da allora sei nuovi personaggi tramite dlc, gli ultimi
usciti il 19 agosto 2022, con 2 ulteriori previsti per il rilascio in questo
inverno) era presente una guest star di lusso: l’eroina Saber,
direttamente da Fate/Stay Night. Un vero e proprio personaggio spin-off, una
eroina capitata “in zona per motivi suoi non legati alla trama di Tsukihime”,
ma comunque un personaggio del Nasuverso. E sarà solo la prima a confluire in
Melty Blood, presto seguita da altri personaggi di Fate che in seguito
capiteranno lì per “motivi loro”, via dlc gratuiti rilasciati in seguito. Ma
Saber è stata un'aggiunta importante e non causale da affiancare a personaggi
realizzati in un'alta definizione così buona da sembrare in tutto e per tutto
usciti da un cartone animato realizzato da Ufotable dedicato a Fate. Saber,
personaggio che aveva partecipato come protagonista e guest anche in altri
titoli videoludici “ufficiali” e non, come in Nitroplus Blasterz, era qui per
la prima volta identica alla sua controparte animata realizzata da Ufotable,
così come i fondali sembrano usciti da Unlimited Blades Works. Non solo Saber
avrebbe portato i fan di Fate su Tsukihime, c’era di più. La produzione di Type
Lumina si arricchiva di un nome di spicco del mondo dei videogiochi di
combattimento: il presidente della neonata Delightworks, Yoshinori Ono. Come
Daisuke Ishiwakatari, storico producer di Guilty Gear, anche Ono è stato un
compositore musicale e profondo amante dei picchiaduro, diventato responsabile
di alcuni dei più importanti giochi Capcom dal 1998 all’agosto 2020 (mentre
iniziava a curare le colonne sonore per Capcom dal 1993, anno in cui si dedica
al mitico Saturnday Night Slam Master, gioco di wrestling da poco tornato
disponibile nella raccolta Capcom Arcade Stadium vol.2, il cui chara
design è realizzato dal mitico Tetsuo Hara del manga di Ken il Guerriero). Ono
si era progressivamente allontanato dalla casa di Osaka dopo gli insuccessi del
2017, la combo letale costituita dal controverso Marvel vs Capcom: Infinite
(per il quale erano sorti molteplici problemi di budget e licenze ufficiali) e
dal mai realizzato dark fantasy Deep Down. Ora, dopo l’inizio del
supporto di Melty Blood: Type Lumina (che si immagina durerà un bel po') e
l’acquisizione recentissima (del 2021) della Delightworks da parte del colosso
della animazione Aniplex (società produttrice guarda caso anche degli anime di
Fate/Stay Night), Ono sarà probabilmente sempre più coinvolto nella produzione
di anime fighting games. Melty Blood: Type Lumina a tutti gli effetti è il
nuovo banco di prova del talentuoso ex dirigente Capcom, che si è subito
prodigato per fornire al titolo la massima accessibilità e le migliori
funzionalità per il gioco in rete, come la tecnologia rollback. Ono ha posto
particolare enfasi anche nel rinnovamento del gameplay, con l’introduzione di
meccaniche di auto-combo simili a Dragonball Fighterz, che favorivano
l’ingresso facilitato ai videogiocatori alle prime armi, senza però rinunciare
a un sistema che permettesse una infinita possibilità di crescita dell’abilità in ambito competitivo, favorito da un sistema moddabile di combo. Anche Melty Blood è stato ammesso ufficialmente nelle competizioni
internazionali come l’EVO, tenutosi alla fine di luglio 2022. Ma i numeri erano
del titolo dopo il folgorante inizio erano un po’ in calo. Almeno fino a una
svolta.
Parte settima, dal titolo: “Tira più un
pelo di Fate di un carro di buoi vampiri/ikea”.
Sta di fatto che il gioco ad agosto 2022 ha avuto una importante spinta in avanti per numero di nuovi giocatori e copie vendute grazie all’introduzione di un divertentissimo e storico joke-character superdeformed di Melty Blood: Neko Arc. Un po’ alla faccia della ricercata seriosità narrativa di fondo, ma a tutto vantaggio di un roster che risultava ora sempre più variegato. Il primo set di personaggi in dlc erano aggiunte funzionali alla trama generale, zero personaggi buffi come robottine o donnine-gatto, ma ecco che arriva Neko Arc, versione gattina, superdeformed e casinara della co-protagonista, Arc, con il testone enorme, lo sguardo folle e la super demenzialità come arma finale. C’è chi tra i fan più malinconici di Tsukihime non la voleva, anche se era un personaggio ufficialissimo del roster, presente pure nelle visual novel ufficiali come buffo “aiuto tutorial”. Ma non era finita qui, c’era nel pacchetto un altro personaggio, Mash Kyrie-light, eroina di Fate Grand Order, il gioco mobile di Fate già citato nell’articolo. Un personaggio amatissimo dal fandom quanto sconosciutissimo da chi mangiava pane e Tsukihime senza conoscere il resto del Nasu-verso. Peraltro il personaggio sembrava tantissimo ricordare, per movenze e pure per il modo in cui padroneggiava un’arma gigante, un amato personaggio di Melty Blood “non-Type/Moon”, ossia Riesbyfe Stridberg, eroina profondamente legata a Sion, l’eroina principale della saga “momentaneamente epurata dalla serie”. Complotto?? C’è chi già un po’ ci pensa, e ri-pensa magari a come il personaggio di Saber per molti versi già ricordasse ArcEtiph: Earth, l’evoluzione finale di Arc apparsa nell’ultimo Melty Blood e ora assente dal roster, anche se di recente introdotta tra i personaggi di Fate Grand Order come Guess Character!! Era l’inizio di una invasione degli ultracorpi o degli “ultra-fate” e era già in atto!!! Forse era troppo tardi. Sta di fatto che il personaggio super demenziale Neko Arc e Mash venivano rilasciate insieme, in un unico aggiornamento gratuito del gioco, senza che si potesse scegliere di selezionare lo scaricamento singolo dell’una o dell’altra e da allora il gioco ha acquisto una botta pazzesca di nuove vendite che lo hanno fatto sbalzare sempre più in alto nelle classifiche di gradimento. Sara stato merito del personaggio buffo super deformed o del personaggio di Fate Grand Order? Non possiamo saperlo e non vogliono farcelo sapere i “poteri forti” di Type-Moon, ma da quando c’è Neko Arc YouTube e Twitch sono stra-pieni di meme su di lei e il gioco macina numeri. Inoltre con gli aggiornamenti sono state introdotte progressivamente delle nuove linee narrative per chi gioca il single player, che hanno avvicinato ancora di più Melty Blood a una visual Novel. Il gioco “sta crescendo” ma il dubbio di prima permane: superdeformed o personaggio di Fate? Quale ha pesato di più ? Vuoi vedere che pure Melty Blood all’inizio ha venduto grazie a Saber, molto più conosciuta oggi nel mondo risposto a Arc, Ciel e compagni?
Ed eccoci a dicembre 2022, al rilascio
degli ultimi personaggi della seconda “stagione” del gioco, in uscita a metà
mese ancora tramite un aggiornamento gratuito del gioco: Ushiwakamaru ed Edmond
Dantes, entrambi personaggi di Fate Grand Order. Certo si potrebbe attaccarsi
al Nasuverso e guardare ai legami tra Dantes e il vampiro Roa di Melty Blood
come si potrebbe valutare Ushiwakamaru come una antenata del clan di Shiki, ma
stiamo andando mooolto lontano rispetto al remake in hd di Melty Blood, più
verso uno Tsukihime vs Melty Blood dal sapore del Marvel vs Capcom prodotto
guarda caso da Ono.
Gli sviluppatori hanno un po’ messo le
mani avanti dicendo che i prossimi personaggi sarebbero stati più legati a
Tsukihime (lo hanno fatto con una vignetta nel panel di aggiornamento in cui
il personaggio di Neko Arc diceva “Last servant”, con una credibilità un po’
dubbia visto il personaggio umoristico), ma la sfida è stata lanciata in modo
inequivocabile. Cosa succederà adesso?
Seguiranno aggiornamenti ma intanto dai
fan del picchiaduro sono arrivate opinioni un po’ contrastanti, si è parlato di
un gioco che sta venendo con il tempo cannibalizzato da una serie più famosa e
appare come una cosa antipatica ancora di più alla luce di molti personaggi
creati da French-Bread e rimasti finora esclusi, come esclusi finora sono gran
parte dei personaggi introdotti solo dalla prima parte della visual remake, Blu
Glass Moon, fino a quando Nasu non pubblicherà quella maledetta seconda
parte di Red Garden vattelapesca che li approfondirà per bene. Aspetteremo,
certi che se French-Bread non si fosse mossa per questo Melty Blood adesso
magari ci toccava aspettare variabilmente altri mesi o 10 anni. Perché i tempi
di Nasu sono sempre misteriosi e dilatati.
Parte ottava, dal titolo laconico: “pad
alla mano”
Non sono stato tra i fortunati che hanno
scoperto al lancio i primi Melty Blood o le versioni da sala, ho potuto avvicinarmi
solo di recente a questo Melty Blood: Type Lumina e ci ho giocato un po’ per
caso, affidandomi a un forte sconto del titolo sullo store digitale e alla mia
passione per gli anime-Fighter “di stampo scolastico” che trova radici se
vogliamo, nella mia esperienza videoludica, nei picchiaduro di Ranma
1/2 su Super Nintendo. In Melty Blood ricercavo un po’ quella atmosfera
jappo/urbana/adolescenziale tutta matta e sopra le righe, piena di divise
alla marinaretta, vestiti tradizionali e donne gatto presenti in Ranma 1/2 ma
pure in Under Night in breath, ma pure in Rival School United by Fate di Capcom
ma in parte pure in Persona Arena: roba che avevo già giocato alcuni anni
fa e ancora mi infervorava, in modo diverso ma ugualmente appagante, rispetto a
uno Street Fighter III o un Vampire. Sarà perché pure io di riflesso, in quanto
cresciuto in tanta sottocultura nipponica, ho una nostalgia per i bei tempi del
liceo, magari più vissuti in questo modo sui manga che dal vivo. Mi aspettavo
quindi combattimenti tra vicoletti alberati, sui tetti dei grattacieli, nei
centri commerciali, alle terme e davanti alle scuole, nei club di basket come
nei bar con le maid, al centro di incroci stile Akiabara e in genere tutta roba
che in Melty Blood ho trovato in modo abbondante e gustoso. La storia
“vampirica” l’ho trovata elegantemente accennata, un urban fantasy alla Vampire
Princess Miyu con ampie sterzate in territorio Rumiko Takahashi. Un racconto
corale, seppur in veste di picchiaduro, con momenti seri ma anche
umoristici, in cui è centrale per ogni personaggio il momento
dell’affacciarsi del suo “lato oscuro” (che spesso ha la forma quasi di un
superpotere che spinge i personaggi a dividersi in fazioni), unitamente alla
possibilità/necessità di convivenza/conflitto con le altre persone alla luce di
questa rivelazione. Tra i personaggi del roster più adulti, c’è chi “ci
ha fatto il callo” con questa maledizione e cerca un modo di vivere in
armonia, ma pure c’è chi vuole distruggere tutti, chi vuole essere insignito
governatore del mondo e c’è chi è solo depresso. Tra i personaggi più
giovani, c’è chi deve ancora fare i conti con l’ebbrezza di questo lato
oscuro, chi scopre di non poter essere amico di una persona che sembra tanto
simile a lui per il discorso delle fazioni o per questioni conseguenti di
“rango”, sempre legate al potere oscuro che uno possiede. La narrazione non è
banale, l’atmosfera in qualche modo ti prende e i personaggi sono disegnati in
modo molto gradevole. Molti personaggi “recitano” in ruoli diversi, dando vita a
combattenti con storie diverse, con incontri e boss Fight diverse, un po’ alla
maniera di Street Fighter Alpha. In più si possono scegliere nello story mode più
storie diverse per ogni personaggio, assaporando un po’ quella costruzione
narrativa stratificata delle visual Novel. Quando un personaggio incontra il
suo “doppio” che recita un personaggio diverso, la trama vira più sull’onirico,
come molte storie legate ai personaggi “da fine del mondo” sono da intendersi
come degli scenari a se stanti. Anche senza la presenza di Warakia la storia è
riuscita quindi a tenere insieme una struttura unica, anche se più
“libera”.
Visivamente è molto carino, con dei
personaggi bidimensionali ben realizzati con uno stile molto simile alle produzioni
di Fate di Ufotable e con degli scenari evocativi sebbene alle volte “spogli”,
in linea con le atmosfere notturne e desolate della Novel. Non siamo ai livelli
di una grafica bidimensionale hi-res come quella di Skullgirls o Blazblue, ma
non lo accusiamo troppo, il gioco ci abbraccia piacevolmente con un dignitoso
comparto tecnico che annovera anche un accompagnamento musicale molto azzeccato
e vario.
Preso il comando di un combattente
qualsiasi, alla marinaretta o meno, con i canini o il vestito da suora
steampunk, ecco che questi iniziano a saltare da una parte all’altra dello
schermo in modo velocissimo, compiendo scenografie d’attacco super esagerate
quanto visivamente appaganti, dove la differenza tra i colpi leggeri e pesanti
si sente e dove imparare a parare e schivare diventa centrale ma senza troppa
paranoia. Perché è un gioco all’inizio abbastanza user friendly, di quelli che
sanno appagare anche chi è alle prime armi per poi stimolarlo a fare meglio,
con una partitura di combo e mosse speciali non così complicata. Insomma,
niente calci nei denti al primo scontro e la sensazione di una crescita
come giocatori non banale. Merito di French Bread ma pure di Ono, che insieme
hanno fornito una suggestiva reinterpretazione dell’approccio ai comandi
di Marvel vs Capcom. Ci sono personaggi vampirici in qualche modo debitori di
Darkstalkers, come ci sono scolarette stile Sakura di Street Fighters, ma la
formula di Melty Blood rimane in gran parte originale, cita e reinterpreta
senza copiare, finale fresca e varia. Ci sono personaggi che combattono a
mani nude, chi con coltelli, chi con spadoni da cavaliere medievale e chi con
incantesimi, chi usa una sorta di burattini, ma tutti risultano godibili ed
equilibrati (o diventano più equilibrati con il passare degli update di gioco.
Alcuni sono infatti ancora fortissimi come Vlov). C’è un po’di tutto e in
questo marasma ci sono anche personaggio particolarmente originali che agiscono
“in combinato“ come le due cameriere, dando vita a combinazioni alternate di
attaccato strane quanto divertenti, come quando evocano insieme una pianta
gigante (una lancia una pianta, l’altra la “bagna con un innaffiatoio,
l’’altra la anima con un fulmine e infine la pianta diventa un piccolo Ent da
assalto). Le cameriere sono solite lanciare pentole e sedie, ma
pure trasformarsi in samurai, vestirsi da conigliette o usare una scopa prima
per spazzare per terra e poi per volarci sopra come streghe. Sono abbastanza
matte. Più matta ancora è Neko Arc e i mille minions superdeformed che sa
evocare dal nulla, come un piccolo esercito da lanciare contro gli avversari
nei modi più assurdi. Ci sono pure i super personaggi da “fine del mondo” in
grado di diventare giganti e scatenare armi ancestrali stile puntata di
Evangelion e tutto si amalgama comunque bene, è colorato e divertente. Se
vogliamo essere cattivi non c’è nulla che davvero sconvolge visivamente, come
farebbe in un territorio non troppo diverso oggi un Guilty Gear Strive, ma la
ricetta funziona e il gioco diverte ed è carino anche da rigiocare. Magari
nella simpatica modalità boss rush.
Parte nona e conclusiva, da titolo:
“conclusione”.
Anche senza un impatto grafico
“importante” legato ad una faraonica produzione, come può essere lo
standard che oggi possono vantare titoli come Guilty Gear, Street Fighter,
Mortal Kombat, Tekken e il nuovo free to play Multiversus di Warner Bros, Melty
Blood offre comunque qualcosa di nuovo e risulta uno dei titoli più
Interessanti in ambito picchiaduro. Veloce, divertente, facile da approcciare,
con una trama sfiziosa e tanti personaggi di richiamo, tra originali e
spin-off, Melty Blood è intenzionato a far parlare di sé anche nei prossimi
anni, anche perché ha fatto finora delle scelte molto conservative in ambito di
cast e meccaniche. C’è chi sogna che diventi sempre di più il
mega-picchaduro-totale del Nasuverso, c’è chi lo osserva come un interessante
piccolo laboratorio di prova per qualcosa di più coraggioso e strutturato che
successo permettendo ci sarà all’orizzonte. C’è chi si diverte e basta.
Ai 14 personaggi disponibili originariamente si sono aggiunti ben 16 personaggi, rilasciati tutti gratuitamente (cosa non da poco), ed è già stato annunciato che avremo presto ancora altri personaggi e “stagioni” del gioco, con nuovi scenari, storie e modalità extra. Noi seguiremo con interesse l’evoluzione di questo bel giochino ancora per un po’ e vi invitiamo a provarlo, specie se siete fan delle camerierine, le donne gatto, i mobili Ikea, dei vampiri e dei simulatori di fidanzate, ma soprattutto se siete fan dei picchiaduro 2d classici, magari quelli indie come Skullgirls. Per noi che abbiamo sempre navigato tra le coordinate di Under Night e Fate è stata una bella rivelazione scoprire come questo Melty Blood fosse vicinissimo alle traiettorie del mondo dell’intrattenimento che più ci piacciono. Si, amiamo anche dilettarci con i mobili Ikea.
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