Roma, in una notte piovosa e malinconica
dei giorni nostri.
La ginnasta Emilia (Sara Serraiocco),
il giovane youtuber Daniele (Gabriele Cristini), la guardia giurata Arianna (Margherita Buy) e il motivatore/life coach Napoleone (Valerio Mastandrea)
hanno qualcosa in comune: hanno tutti provato a togliersi la vita lo stesso
giorno. Solo che nel momento stesso in cui hanno preso questa decisione gli è
apparso uno strano signore anziano con il cappello (Tony Servillo), che gli ha
chiesto di dargli sette giorni di tempo per cambiare idea. Sette giorni in cui
saranno suoi ospiti all’Hotel Columbia e potrebbero girare sulla sua station - wagon, ad ammirare cosa faranno i loro cari dopo la loro morte e il modo come
la vita continuerà senza di loro. L’uomo anziano con il cappello è forse un
angelo vestito da passante, ma non è il solo. Per le strade di Roma si aggira
anche una fascinosa donna dai capelli rossi (Vittoria Puccini) che gestisce un
simile hotel con simili ospiti speciali. I due si conoscono, potrebbero essere
amici o rivali.
I quattro durante la settimana potrebbero
vedere i loro amici, visitare i luoghi della loro scomparsa, ragionare sulla
loro condizione e su cosa li abbia davvero convinti fino in fondo a compiere
quel gesto o magari anche solo rilassarsi. Potrebbero pure andare al loro
funerale, per vedere di nascosto l’effetto che fa. Di “nascosto” perché di
fatto i quattro saranno in uno stato simile a quello dei fantasmi, nel
quale nessuno li vede, non possono mangiare o bere un caffè, non possono
nemmeno fumare e, forse, nemmeno farsi del male. Una condizione tragica ma che
potrebbe apparire anche confortevole. Daniele dopo essere diventato famoso su
YouTube è perennemente perseguitato dai bulli e vorrebbe ora solo “restare”
invisibile. Arianna dopo la morte della figlia Olivia non ha più alcun interesse
nelle relazioni con le altre persone e anzi teme che con il tempo potrebbe
dimenticarsi di lei: la cosa che più la farebbe soffrire al mondo. Emilia dopo
le mille volte che è arrivata seconda in una gara non accetta di guardarsi più
allo specchio. Specie da quando dopo l’ultima caduta è costretta su una sedia a
rotelle. Napoleone non sa di preciso perché ha voluto scomparire dal
mondo gettandosi di notte da un ponte dopo aver guardato nell’acqua scura. Ha
passato la vita a risolvere i problemi degli altri ma forse non ha mai capito i
suoi. Riuscirà lo strano uomo con il cappello a convincere i quattro di
quanto il mondo sia meraviglioso? In fondo, come potrebbero non accorgersi
quelle persone di quanto il mondo è meraviglioso? Forse devono operare giusto
un cambio di prospettiva.
Se è vero il detto: “Abbiamo solo due
vite e la seconda inizia quando capiamo di averne solo una”, qualcuno di loro
adesso potrebbe cambiare idea.
Il primo giorno della mia vita di Paolo
Genovesi ha una atmosfera rarefatta e malinconica simile a quella del quadro
“The Nighthawks” (I nottambuli, del 1942) di Edward Hopper. Un quadro che
ritrae persone misteriose in un bar notturno (ci sono anche un uomo con il
cappello e una donna dai capelli rossi che parlano insieme, come Servillo e la
Puccini nel film), al di là del quale non c’è luce, la città è spenta. È
interessante come un’altra opera di Edward Hopper, Automat (tavola calda, del
1927), sembri invece descrivere un uomo solo al tavolo di un altro bar, simile
a quello in cui “operava” Valerio Mastandrea in The place, il precedente film
di Genovese. Edward Hopper dipingeva la solitudine e la disillusione del sogno
americano. I suoi dipinti hanno ispirato migliaia di autori che si sono
domandati più volte nel tempo: “Chi sono veramente le persone ritratte?
Qual è la loro storia e quali i loro segreti? Quale ruolo giocano nella società?”.
Domande che stimolano dei “giochi di ruolo” (usati nei fantasy ma pure nella
psicoterpia) che se vogliamo sono alla base di molto cinema recente di Paolo
Genovese, a partire da Una famiglia perfetta, del 2012, in cui un ricco
signore che soffriva di solitudine pagava degli attori per recitare la parte
della sua famiglia felice. Un gioco di ruolo era alla base del suo più grande
successo, Perfetti sconosciuti del 2016, che indagava sui segreti più
profondi che un gruppo di amici nascondeva nella “scatola nera” del proprio
cellulare, con il gruppo di partecipanti al gioco che ricercava negli altri una
“doppia faccia” o un “doppio ruolo”. The place era poi un vero e proprio
thriller a incastro multiplo dove il ruolo di ogni personaggio si svelava e
ridefiniva più volte, in base al percorso che veniva giostrato per loro da una
sorta di “burattinaio”, che se usiamo il gergo dei giocatori del role-game Dungeons&Dragons potremmo definire “dungeon master”. Anche nel film
Supereroi, del 2021, Genovese indagava sulla “identità segreta” di una
giovane coppia, domandandosi quanto possa complicarsi il ruolo di coppia e poi
di genitori, sulla base dello sviluppo di un “modello ideale” che non può in
realtà esistere, se non sulla carta, sui fumetti. Con Il primo giorno della mia
vita, il regista invece spariglia formalmente le carte, andando a raccontare di
persone che di fatto hanno rinunciato a un qualsiasi ruolo nel mondo, facendola
finita. O se vogliamo possiamo attribuire loro “il ruolo di chi non può
più avere un ruolo”. È un tema interessantissimo, che Genovese non banalizza
specie nello sviluppo del personaggio di Napoleone, ma che non basta da solo a
far risplendere nell’insieme la pellicola, che va incontro a un paio di
problemi complicati.
Il primo problema è il “magico”, l’elemento fantasy. Il film ha una componente magica strabordante, carica di
personaggi secondari misteriosi, regole di comunicazione e contatto tra vivi e
non vivi, regole di contatto con gli oggetti, regole che possono essere
palesate e regole che devono rimanere segrete. Se da un lato Genovese solleva i
personaggi dal logorio della vita terrena per fare in modo che possano riflettere
sulla loro esistenza con calma e totale tranquillità, dall’altro apre il
manuale delle creature di Dungeons&Dragons e sommerge i personaggi con
tutte le regole dello status di “fantasma”. E visto che siamo in Italia tutte
queste regole sono soggette a interpretazioni ed eccezioni infinite che
giocoforza hanno un grosso peso a livello di minutaggio nella trama. Minutaggio
che viene sottratto allo sviluppo dei quattro personaggi, di cui alla fine
purtroppo non veniamo a sapere molto nonostante la prova convincente di tutto il
cast. Sarebbe stato utile per lo meno sviluppare la metà dei personaggi o
strutturare l’opera in un’ottica più lunga come serie tv.
Il secondo problema è il confronto
inevitabile che questa pellicola può avere con uno dei più grandi classici
della storia del cinema: La vita è meravigliosa di Frank Capra, del 1946, con James Stewart. Rileggere Frank Capra nello stile ludico/psicanalitico di
Genovese è una scelta coraggiosa, anche perché il regista non cede del tutto
alle regole della favola e sa infondere nell’opera la giusta malinconia e
cinismo proprie di molte sue opere precedenti. Solo che è una battaglia troppo
scoperta e che Paolo Genovese avrebbe giocato meglio con un approccio più
defilato, magari “enigmistico”, magari battendo una strada più vicina a
Una pura formalità di Giuseppe Tornatore, del1994, con protagonisti Gerard
Depardieu e Roman Polanski. Purtroppo la misura e la grazia del capolavoro di
Capra sono irraggiungibili. Ma tanto di cappello per averci provato.
Il primo giorno della mia vita è un film interessante e dal carattere internazionale come sono tutti interessanti e dal carattere Internazionale i film di Genovese. Bravi gli attori e buona la fotografia e l’atmosfera generale, che fanno sembrare visivamente l’opera vicina a un quadro di Edward Hopper. Quando il regista riesce a dedicare il giusto tempo ai personaggi, questi riescono a brillare di luce propria, come nel caso del ruolo di Mastandrea. Quando il tempo è più esiguo rimangono un po’ abbozzati. La gestione dell’elemento fantastico è da rivedere o contenere in uno sviluppo narrativo che non la comprima troppo. Tra pregi e difetti è un film comunque godibile, a tratti commovente e ricco di idee originali, confermando Paolo Genovese come un autore da tenere sempre d’occhio nel panorama del cinema italiano.
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