Siamo nella ricca e centrale Milano dei
giorni nostri, tra il CityLife e il Bosco Verticale, all’ombra del “Dito” di
Cattelan. Tony (Giuseppe Maggio) non vive lì, ma ci lavora. Ha un sorriso
perfetto, un corpo perfetto e una moglie perfetta. Il lavoro forse non è il
massimo e deve ancora ingranare “nel senso giusto”, ossia con un bell’aumento
di stipendio, ma sente di avere pochi rimpianti per il suo passato
“artistoide”. All’interno della spa di lusso dell’albergo del centro dove è
addetto agli asciugamani, potrebbe presto passare a responsabile della
piscina e poi, chissà, ”il solo limite è il cielo”. Paola (Margherita Vicario)
è contenta di Tony perché è il marito perfetto, che ha deciso per lei la
concretezza economica mettendo in cantina le sue velleità artistiche da
pittore/sognatore, destinato di certo al fallimento. Un “lavoro vero” per una
famiglia vera. Un lavoro che porta soprattutto i soldi per permettere a
lei di realizzare il suo sogno perfetto: aprire il suo negozio di
abbigliamento. Per questo sogno Paola sa di essere diventata per Tony la moglie
perfetta. Cerca di “essere perfetta”, nel senso di “figlia perfetta” e
“l’imprenditrice perfetta” anche la bionda Chiara (Carolina Sala). Cresciuta in
una famiglia di ricchi mercanti d’arte e mecenati, Chiara ha le conoscenze e le
competenze giuste e vuole essere presa sul serio dal mondo dell’arte, almeno
quanto i suoi genitori. Per questo punta a “creare artisti da zero”, facendoli
“crescere rigogliosi” sotto il suo tetto e le sue cure amorevoli da musa,
cercando persone disposte a essere guidate da lei un po’ come bambini e un po’
come amanti. Li scova e li porta in uno studio tutto suo, dal quale li osserva
da una camera al secondo piano nella quale ogni tanto gira nuda.
Il destino farà in modo di legare Tony,
Paola e Chiara in un gioco al massacro in cui ognuno sarà vittima e carnefice
dell’immagine che vuole offrire di se stesso agli altri. La ricerca di una
perfezione impossibile nella propria vita porterà tutti e tre in territori
effimeri quanto grotteschi, crudeli quanto pieni di vanagloria, dai quali sarà
impossibile uscire se non a scapito gli uni dagli altri.
Scegliendo la sfiziosa cornice del mondo milanese dell’arte moderna, citando a piene mani l’arte relazionale di Maurizio Cattelan fino a porci sotto la sua Breath Ghosts Blind del Pirelli Hangar Bicocca, il regista del Buchi neri Pappi Corsicato e lo sceneggiatore di Almost Blue e Brutti e Cattivi Luca Infascelli ci raccontano una storia a metà strada tra l’esistenzialismo della Commedia Umana di Balzac e l’estetica plastica e sarcastica di Paul Verhoeven. Come in Illusione Perduta di Balzac vanno in scena personaggi stregati dall’ossessione e l’illusione di “avere un talento” e giocoforza, in virtù di questo, poter esercitare un controllo sugli altri. Un controllo che non può essere mai confuso con la voglia di relazionarsi con gli altri, perché Tony, Chiara e Paola guardano solo alla loro auto-realizzazione, come perfette vittime di una società che si divide solo tra vincitori e vinti. Ognuno esercita una proiezione di aspettative sull’altro, di fatto rendendolo un oggetto impossibilitato a muoversi autonomamente. Ognuno ha per principale nemico se stesso, combattendo contro una atavica sindrome dell’impostore che lo porta a auto-squalificarsi. Come nel Verhoeven di Starship Troopers e Showgirls, ma anche come nelle Storie di Alta Infedeltà di Discovery+, i personaggi di Perfetta Illusione sono scelti tra attori bellissimi, a cui viene chiesto di essere sorridenti ed eleganti all’interno di una immagine calda e definita, quasi patinata. In questo modo Corsicato li trasforma in burattini plastici, eccessivi e sensuali, perfetti oggetti di satira, sesso e thriller pronti a essere sfracellati e distrutti come giocattoli gli uni dagli altri, nel modo più splatter e autodistruttivo. Dandoci la sensazione “salvifica”, propria dei cosiddetti “b-movie” di assistere a una specie di fotoromanzo o fumetto a tinte forti. Ma in realtà Pappi Corsicato come Verhoeven scava nello spettatore, lascia che siamo noi a leggere tra le righe di una realtà estetica quanto esistenzialmente arida, dove ci dovremmo domandare il motivo per cui “l’arte”, che dovrebbe essere anche lei una protagonista della storia, rimane così assente dalla scena. Non ci è mai concesso per tutto il film di guardare un singolo quadro del protagonista, anche giusto per capire se ci piace o meno, creandoci uno straniamento non dissimile da quello di L’Enfant dei Dardenne, film che parlava di un bambino non vedremo un bambino in tutta la pellicola. È un Pappi Corsicato critico e criptico, cinico, che non ci concede visivamente i voli pindarici e onirici dei suoi I buchi neri, come a suggellare che l’arte oggi è morta. Salvo lasciarci aggrappati almeno all’arte relazionale di Cattelan, come ultimo paracadute, ma senza offrirci alcun libretto di istruzioni per capirla. Lasciando allo spettatore la fatica di comprenderne la complessità o finire di guardare il tutto un po’ estraniato, come Alberto Sordi e Anna Longhi nel museo di arte contemporanea in Dove vai in vacanza?. Per questo Illusione Perfetta è un film curioso e scomodo, che può facilmente essere liquidato quasi come una storia da lotta di classe stile Il capitale umano di Virzì o una puntata di Alta infedeltà, ma che ha dentro qualcosa di più interessante, per chi ha la voglia di farsi trascinare dagli stimoli che la pellicola offre, a partire dal suo approccio strano e scorretto nel confronti dell’arte, che presto assume i contorni di una critica di costume. Molto bravi e adeguati gli interpreti, semplice ma tagliente la sceneggiatura, la scenografia e la fotografia descrivono una Milano austera quanto fredda, quasi da thriller scandinavo.
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