Oltre le nuvole c’è un paradiso che pare il monte Olimpo, “stile neoclassico”. È lì che risiede il Padre Eterno (Giovanni Storti) insieme alle schiere angeliche: lavorano h24, ricevono le preghiere che arrivano in lettere volanti dalla Terra, cantano divinamente, forse esaudiscono miracoli.
Ma oggi no, oggi in paradiso sono in crisi.
Ormai la misura è colma e dopo tante brutture come guerre, devastazioni e danni al clima, l’uomo non può continuare a essere graziato per sempre, giusto perché ha fatto sporadiche cose bellissime come la Cappella Sistina. Anche se a dirla tutta pure i santi rappresentati nella Cappella Sistina neanche assomigliano a quelli veri… E quindi al motto “Una volta qui era tutto dinosauri ed era meglio”, tutto è da rifare!
“Vai con il diluvio!”, decide il Padre Eterno in persona, ma “qualcosa” si intoppa.
La costituzione del paradiso ha negli anni riconosciuto una clausola/postilla/cavillo che recita: “In caso di decisioni gravi o divisive, deve pronunciarsi su queste tutta l’assemblea degli angeli”. Ed effettivamente lo stermino della razza umana può essere qualcosa di divisivo, anche se solleverebbe parte degli impiegati angelici dal dover continuare a lavorare all’archivio che raccogli ogni giorno nuove preghiere, un incarico un po’ noioso…
Si fa largo tra i santi l’ipotesi alternativa di inviare un nuovo salvatore: per cambiare il cuore degli uomini, migliorarli e prolungare in corner la vita della razza umana. Parte una votazione, come in Parlamento, con i pulsanti e le lucine che si accendono sul tabellone. Si decide infine per pochi voti proprio per l’invio di un nuovo messia, sollevando qualche critica legittima.
Ma chi ci va?
Di sicuro Gabriele no, che l’ultima volta è stato pure menato e poi la gente del 2023 è quasi peggio di chi si aggirava nell’anno zero. Tutti si defilano ma uno vuole andarci comunque, a tutti i costi. È un tizio proprio dell’ingrato reparto di smistamento preghiere, uno che aspetta da anni e anni di essere promosso al settimo cielo, quello dove si canta nel coro e dove lui è sicuro di fare grandi cose grazie a una voce bellissima. L’angelo con aspirazioni da cantante gospel si chiama Aristide (Picone), è biondo, ovviamente buono e dall’aria ovviamente angelica, forse un po’ sprovveduto ma determinato, così viene istruito subito per la missione. Dovrà solo scendere sulla Terra, entrare in un bar, “ipnotizzare” una candidata con quella particolare preghiere che prende il nome di “annunciazione”, provvedere “all’installazione del salvatore” attraverso il tocco della mano sulla sua pancia, ritornare e avere il suo avanzamento di carriera al settimo cielo.
Poiché non tutte le mani angeliche hanno di default la funzione ingravidante, la mano di Aristide viene messa a contatto con uno specifico liquido magico fumoso, per poi essere ricoperta per sicurezza da un guanto protettivo: l’energia che basta per un colpo, un colpo solo. Per farlo agire in incognito e risparmiarsi così le botte di Gabriele, viene confezionato per lui un “completo da terrestre” color azzurrino e si predispone una discesa rapida sulla terra, in una poco felice discarica in zona Napoli. Aristide è carico, determinato e pure armato di tutti i suoi specialissimi superpoteri angelici: come la facoltà di attraversare muri e ostacoli e la telecinesi per prendere gli oggetti a distanza.
Cosa potrebbe andare storto?
Al bar designato come luogo dell’incontro ci arriva in un secondo, la giovane barista che si trova davanti è proprio la candidata prescelta.
Aristide la segue e prova a ipnotizzarla, ma non ha fatto bene i conti con la sua memoria perché l’annunciazione non se la ricorda per niente. La predestinata sotto shock scappa via con il fidanzato, anche perché l’angelo in modo poco accorto e un po’ inquietante l’ha seguita nel bagno femminile cercando di toccarla, facendo la figura del maniaco. Con la nuova madonnina in fuga, deve trovare velocemente un modo per ritrovarla. Ma prima occorre una pausa per riprendersi e riorganizzarsi al meglio, che gli viene prontamente offerta con un giro di birra dal riccioluto Nicola (Ficarra). Nicola dopo cinque anni di fidanzamento e sette di matrimonio, si sta separando dalla moglie psicologia Giovanna (Maria Ventura) e si trova proprio in quel bar per riprendersi e organizzarsi meglio. A dire il vero è brillo già da un pezzo e ragiona sconclusionato sul fatto che le donne sono proprio strane, “troppo femminili” per essere capite da essere comprese dagli uomini.
Appena vede l’angelo gli offre una birra.
Un paio di ore e di birre dopo, seguite da una imbarazzante sessione al karaoke a tema canti della parrocchia, Nicola e Aristide vengono buttati fuori dal locale. Sono in mezzo alla strada, poco lucidi entrambi, cantano e fanno casino in piena notte. Poi Nicola sta per finire sotto un’auto e Aristide deve intervenire. Per salvarlo l’angelo lo tocca con la mano, che improvvisamente e improvvidamente si trova scoperta dal guanto protettivo.
Nicola è salvo ma ingravidato.
Nel caos e nell’impatto Aristide perde i poteri e finisce anzi proprio lui investito, senza memoria, in ospedale in coma, per tre mesi. Il Padre Eterno non la prende benissimo. Nicola smaltisce la sbornia e dimentica quasi tutto.
Tre mesi dopo, al risveglio, l’angelo caduto si ricorda di aver salvato la vita a Nicola e poco altro. Nessuno all’ospedale sa davvero chi sia questo strano paziente e così la polizia va a cercare il tizio del suo ultimo ricordo: il riccioluto “compagno di una bevuta”, nella scuola cattolica in cui lui insegna. Nicola è molto severo e poco amato dagli alunni. Insegue piccoli cospiratori che si burlano di lui con graffiti infamanti e non ha nessuna voglia di seguire la preparazione dello spettacolo natalizio del coro degli alunni, che viene delegato alla appena arrivata Suor Lucia (Giannetta). Zero spirito di Natale, zero empatia, zero voglia di cambiare.
Poi però, con l’arrivo di Aristide, le cose inizieranno a cambiare. Tra varie vicissitudini l’angelo ritroverà la memoria, riuscirà a farsi assumere nella scuola come elettricista e ad aiutare suor Lucia nella messa in scena del Marcellino pane e vino. Si installa questa volta lui stesso nella casa di Nicola, con l’insegnante che alla fine non riesce più neanche a mandarlo via.
Anche perché sono passati tre mesi e un paio di settimane e Nicola con il tempo appare sempre più gentile e accogliente, nella stessa misura in cui la sua pancia appare sempre più tonda. Magia della gravidanza, che presto viene confermata da esami clinici. All’inizio un razionale e incredulo Nicola aveva preso un po’ scetticamente tutta la storia di poter essere incinto, pur convinto dal collega insegnante di scienze della “molto remota possibilità” sulla base di precedenti della natura illustri, come la cernia/cernio e il pesce pagliaccio. Ma presto da irritato e scontroso Nicola passa a tranquillo e felice e arriva a commuoversi, con lacrime senza fine, durante il Marcellino pane e vino.
Quando però un medico un po’ impiccione rende nota in televisione l’ecografia dell’uomo incinto, come fenomeno unico nel suo genere da studiare, sulla vita di Nicola si scatena il panico. Telecamere, giornalisti, folle adoranti, haters, ristoratori e giostrai sono sotti sotto casa sua h24. I vicini impiccioni hanno sempre l’orecchio teso al muro e si fanno strane idee sulla presenza di Aristide in casa dell’insegnante, spopolano le magliette celebrative, non si riesce più a uscire di casa senza che qualcuno cerchi di toccare Nicola. Pure continuare a insegnare in una scuola religiosa appare…complicato…
Finché suor Lucia riesce a far scappare tutti di nascosto nel paesino tranquillo dove lei ha i genitori. Un paesino sui monti, accogliente, disposto con tutta la sua cittadinanza a rimettersi a nuovo per avere un nuovo nato, dopo tanto tempo, in quella zona. Si può per il nascituro ristrutturare la vecchia clinica. Si può chiedere al veterinario di occuparsi del parto. C’è un così grande andirivieni di persone pronte ad aiutare che il paesino sembra diventare un piccolo presepe vivente, pieno di lucine e di gioia. Insieme all’angelo e alla suora, ad accompagnare Nicola nella scoperta della maternità c’è anche Giovanna, di nuovo in crisi ma questa volta per colpa del suo nuovo amore franato, forse con la voglia di ricucire i rapporti con l’ex marito. Del resto ora finalmente Giovanna e Nicola hanno qualcosa in comune: sono entrambi incinti. L’atmosfera è felice ma il fatto di partorire in questo luogo quasi magico sulle montagne, lontano dalla città e dalla sua scuola dove insegna, non sembra per l’insegnante di matematica una cosa giusta. Anche se non è un pesce pagliaccio non ci dovrebbe essere nulla da nascondere in fondo.
Riuscirà Nicola a portare alla luce il nuovo Salvatore?
Il regista e sceneggiatore Francesco Amato lo abbaiamo già “incontrato” qui sulle pagine del blog nel 2020, grazie a un piccolo ma interessantissimo film drammatico con risvolti fantasy dal titolo 18 regali. È un autore che spesso ha dimostrato, come Alessandro D’Alatri, una particolare sensibilità nel trattare le relazioni umane e il loro sottile legame con il trascendente, scegliendo chiavi di lettura non banali, un approfondimento psicologico non scontato, una narrazione molto ritmata e una particolare vena malinconica di fondo. È questo il primo incontro di Amato con Ficarra e Picone, reduci dalla loro prova di maggiore successo con La stranezza di Roberto Andò. Il duo comico ha lì dimostrato di essere particolarmente bravo anche in campo drammatico e l’idea di vederli ora in un film di Amato fin dalle prime battute appariva qualcosa di interessante, anche nel segno di una rilettura sagace del tema natalizio legato alla maternità .
Santocielo viene definita una “favola civile” e vorrebbe giocare con gusto e ironia su temi dell’attualità caldi quanto ancora difficili e divisivi, ponendo i riflettori in senso positivo sulle difficoltà e bellezza della costruzione e mantenimento di una famiglia, sulla mancanza di “socialità reale” di persone troppo legate al mondo dei social, sulla necessità di credere nel trascendente senza aspettarsi sempre qualcosa in cambio come fosse un bancomat. Amato vuole ancora parlarci di legami e “quello che ci sta intorno”, vuole farci sorridere e riflettere sui tabù attraverso i topoi natalizi e trova nella sua personale “cosmogonia” un Giovanni Storti nuovo Padre Eterno/“Zeus” 2.0 unico, sagace quanto strepitoso nel suo battibeccare con gli altri santi dello “stato dell’umanità”.
Amato riflette in modo non scontato anche sul ruolo di distacco/sostegno verso il partner, esercitato dal personaggio della moglie psicologa interpretato dalla brava Barbara Ronchi, che in un processo di auto-analisi inizia a mettere in crisi le più forti spigolature del femminismo “più spinto” e “giudicante” proprio di questo periodo storico. I temi e le intuizioni ci sono, come la visione più “democratica e pragmatica” della religione (qualcuno direbbe “europeista”), ma la pellicola nella sua cornice super natalizia, colorata e piena di canzoncine, dove spesso si fanno largo dialoghi prettamente zuccherini, ogni tanto annaspa nella melassa. I più piccoli magari apprezzeranno, il pubblico adulto con problemi diabetici è però avvertito.
Le parole d’ordine sembrano diventare subito “leggerezza e innocenza a tutti i costi” e forse anche per questo appare un po’ forte l’accusa di blasfemia invocata dal parroco di Agrigento alla pellicola, ma il fatto stesso che sia tutto troppo, troppo, troppo leggero e innocente sembra essere il vero peccato originale di Santocielo, anche perché da questa leggerezza e innocenza i due attori protagonisti sembrano essere quasi del tutto immuni.
Ficarra e Picone dopo la prova drammatica tornano ad indossare le loro maschere consuete e come sempre scricchiolano nell’intesa a due, mancano di amalgama, viaggiano su binari narrativi ed emotivi sempre più lontani, senza che quel senso di millantata “amicizia”, più e più volte ribadita esteriormente in tutti i loro film, vada mai a palesarsi in qualcosa di autentico sulla scena. Manca complicità, manca spontaneità. I due sulla scena funzionano decisamente meglio da separati. La scommessa di far rivestire il ruolo “dell’incinto” a Salvatore Ficarra, nel duo il più “fumantino” e più portato alle gag facciali, è interessante ma si perde tra cliché scontati e luoghi comuni sulle “mamme pancine”, con l’attore che nella sua trasformazione al femminile si spiaggia su una condizione di “estasi” che assomiglia troppo esteriormente a un prolungato viaggio psichedelico senza ritorno. Ficarra “viaggia” e Valentino Picone con la consueta maschera del “fesso assorto” è però adattissimo a impersonare un epigono del Clarence di La vita è meravigliosa. Il suo angelo biondo e con gli occhi sognanti, puro quanto sbadato, è tenero ed espressivo quanto amabile, anche grazie al supporto dal personaggio della “suora gospel” interpretato dalla brava Maria Chiara Giannetta. Se la pellicola fatica ogni tanto a decollare e qualche volte si attorciglia su se stessa, al minutaggio appare realmente eterna nelle sue oltre due ore, magari più adatte a uno spettacolo televisivo in due parti.
Certo il film non scontenterà il pubblico di Ficarra e Picone quanto quel pubblico giovane che ha gradito la loro performance ne Il primo natale, ma il lavoro di Amato forse non riesce qui a esprimersi al meglio nella forma e sostanza di un pur garbatissimo cinepanettone.
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