Molti anni prima della ribellione di Katniss, a Panem infuriò una terribile guerra. Il conflitto durò a lungo e fu terribile, trascinando il regno intero nel sangue e nella devastazione e spezzando ogni tipo di legame tra i distretti. Poi, con la pace, arrivarono gli Hunger Games: un evento pubblico di sottomissione allo stato vincitore, che si teneva ogni anno nella sua città più importante, Capital City.
Fu così che nella capitale ogni anno cominciarono ad arrivare i “tributi”. Giovani ragazzi e ragazze, selezionati tra i 12 distretti secondo una lotteria dalle regole a volte oscure, scelti per affrontarsi in una battaglia mortale, uno contro l’altro, con l’ultimo sopravvissuto che poteva avere salva la vita e diventare ricco e famoso. Il copione era sempre lo stesso. Scaricati dai treni direttamente in un furgone dei rifiuti, i tributi venivano gettati in una grande gabbia dello zoo cittadino, dove tutti potevano essere osservati mentre, a fianco di leoni, scimmie ed elefanti, si rubavano il cibo, piangevano e cercavano di coprirsi dal freddo come potevano.
Oggi tributo veniva poi, per un breve periodo, accompagnato in un corso accelerato di lotta e tattica da giovani strateghi della capitale. Ragazzi spesso della stessa età dei tributi, ma scelti tra gli studenti più preparati, tra i più “nobili” e i più talentuosi. Quella che sarebbe stata la futura classe dirigente, imparava così da subito come occuparsi di uno schiavo.
Seguiva la lotta, ben ripresa dalle televisioni e sempre con il record di ascolti, all’interno dello show condotto dal popolare presentatore “Lucky” Flickerman (Jason Schwarzman, che impersona la versione più giovane del personaggio nella serie impersonato da Stanley Tucci). Dallo studio con i suoi ospiti ci si spostava presto nelle aree, spesso situante in zone dismesse un tempo parte delle macerie della vecchia città. Qui l’unica regola era sopravvivere fino alla fine, togliendo in fretta e senza troppi pensieri la vita degli altri ragazzini, a pugni o facendo uso delle armi proprie e improprie disposte sul campo di battaglia.
Alla decima edizione degli Hunger Games, mentre l’evento era sotto la direzione della spietata dottoressa Volumnia Gaul del dipartimento di guerra (Viola Davis) e del decano Casca Highbottom (Peter Dinklage), arrivò però un nuovo stratega: Coriolanus Snow (Tom Blyth, che riprende un personaggio nella saga interpretato da adulto da Donald Sutherland).
La famiglia di Snow era decaduta e aveva perso tutto durante la guerra, mentre lui e sua cugina Tigris (Hunter Schafer) si erano trovati ancora bambini soli e indifesi, per strada, sotto le bombe. Per Coriolanus i giochi così come concepiti, anche attraverso le idee di suo padre, non erano il “miglior spettacolo” possibile. Non si poteva portare sul palco dei ragazzini malnutriti tenuti in uno zoo, per poi vederli stremati ammazzarsi con dei sassi. Erano sì i “giochi della fame”, ma a combatterli dovevano essere dei gladiatori e doveva essere un grande spettacolo, pieno di colpi di scena e azioni eroiche.
Bisognava prima di ogni cosa mettere in forze i tributi, facendo in modo che anche la loro presentazione pubblica in tv, prima dello scontro, fosse un vero e proprio show. Da casa avrebbero potuto immedesimarsi in loro e magari per la prima volta “amarli”, al punto di devolvere per loro dei soldi che si sarebbero trasformati in “aiuti”: cibo, armature e armi da consegnare direttamente nell’arena grazie a dei droni. Per Snow per il bene dello show era lecito anche “barare” per favorire il proprio tributo, magari facendogli conoscere la planimetria di una Arena o offrendogli armi di nascosto: del resto le telecamere non riuscivano a inquadrare tutto. C’era nel ragazzo di sicuro il giusto cinismo per essere il migliore degli strateghi, ma forse nel suo animo stava nascendo qualcosa di diverso: era in fondo come loro un sopravvissuto.
Il tributo che aveva il compito di seguire Snow era una bellissima ragazza del distretto 12, Lucy Gray Baird (Rachel Zegler). Una cantante folk dall’aria malinconica, ma anche una incantatrice di serpenti in grado di usarli come arma quando occorreva. Lucy fin dalla cerimonia di sorteggio si fece notare per la sua voce quanto per le sue terribili e nascoste abilità combattive e Snow fin dall’inizio provò qualcosa di molto forte nel suoi confronti, qualcosa di “simile a lui”. Da quell’incontro e dai fatti che ne seguirono si avviò il lungo e travagliato processo che portò il ragazzo a diventare il presidente di Panem. Dopo i giochi Snow avrebbe iniziato a viaggiare come soldato in più distretti del regno, conoscendo luoghi, persone ed emozioni nuove, forti e contraddittorie, che avrebbero cambiato per sempre il suo animo.
Dopo la fortunata saga di Hunger Games, che al cinema ha visto come interprete principale una straordinaria Jennifer Lawrence, in breve consacrata a star, l’autrice dei romanzi originali Suzanne Collins scriveva questo prequel, La ballata dell’usignolo e del serpente, che faceva luce su tanti piccoli e grandi fatti ed eventi rimasti nei libri solo accennati. Parliamo della storia relativa alla grande guerra, i primi “esperimenti” per gli Hunger Games, ma scopriamo qualcosa di più anche sulla flora e fauna di Panem, sulle ghiandaie imitatrici, sul “distretto scomparso” e ovviamente sul principale “villain” della saga, ovviamente il presidente Snow.
Quello che ritroviamo ora sullo schermo in una sceneggiatura curata dalla Collins insieme a Michael Lesslie (Macbeth, Assassin’s Creed) e Michael Arndt (il primo Hunger Games ma anche Miss Sunshine), è uno Snow dal carattere particolarmente complesso, quasi un “giovane Darth Vader”, ma si potrebbe scomodare idealmente anche l’Innominato di Manzoni. Un ragazzo dall’aspetto regale e dai modi gentili, più volte spinto dagli eventi a impersonare tanto il ruolo di vittima che di carnefice. A tratti rivoluzionario a tratti fiero conservatore dello status quo, amante oppure spietato misantropo. Da sempre costretto a sopravvivere contro tutti e contro tutto, avventuroso, capace di incredibili slanci di amore quanto di terribili vendette e complotti.
Lo conosciamo da bambino mentre si nasconde tra le macerie di una città grigia e distrutta. Lo ritroviamo in cerca della grande occasione per salvarne il casato grazie a una borsa di studio che gli permette meritocraticamente di confondersi ai nobili. Lo vediamo indossare controvoglia la divisa “quasi da SS” da stratega, prima sotto la guida didattica del cinico e malinconico Highbottom (interpretato da uno straordinario Peter Dinklage), poi alla corte della folle dottoressa Gaul, che tratta uomini e animali quasi allo stesso modo: inserendoli in gabbie per fare di loro ogni tipo di esperimento e ricerca.
Viene educato a essere cinico ma nel frattempo Snow conosce Lucy Gray e tutto il suo mondo cambia, si “espande”. Il personaggio della Zegler, diametralmente opposto a quello di Katniss, è fragile e ambiguo, sfuggente e a volte introverso. La relazione che viene a instaurarsi tra lei e Snow vede all’inizio quasi imporsi quest’ultimo come figura “forte”, ma è un abbaglio e questo porta a un rapporto complicato e sempre più tossico. Il ragazzo è innamorato, ma più volte trova difficile proteggerla, facendosi spesso assalire da rabbia e malinconia. Lucy Gray è innamorata, ma più volte esprime il suo bisogno di indipendenza e libertà. È anche per questo rapporto tumultuoso, perennemente in bilico tra felicità e oppressione, che Snow viene a contatto con un mondo e modi di vivere per lui troppo pieni di contraddizioni e incertezze, conflitti ed emozioni forti spesso faticosi da gestire e inquadrare. È in fondo con l’idea di proteggersi e proteggere a tutti i costi le persone che lui ama, che in alcuni casi letteralmente muoiono sotto i suoi occhi senza che lui possa fare nulla, che il ragazzo inizia a indossare un'armatura emotiva e a progettare, per chi ama, gabbie sempre più articolate e stringenti.
Tom Blyth, che ha esordito piccolissimo nel Robin Hood di Ridley Scott e di recente si è fatto notare per una serie tv su Billy the Kid, assomiglia molto, anche fisicamente, a un giovane Donald Sutherland. È bravissimo nel descrivere le mille evoluzioni del suo personaggio, in modo coerente quanto umano, trascinandoci dentro al suo dramma emotivo poco per volta e fino a che, inevitabilmente, Snow scopre del tutto il suo lato più oscuro. È allora che anche la fisicità di Blyth si “contorce”, in una prova attoriale anche fisica e dolorosa. Il personaggio interpretato dalla brava Zegler ha invece ancora la voce e il sorriso della sua Maria del West Side Story dì Spielberg. Quando è sulla scena anche il film diviene più volte una sorta di musical, carico di sonorità folk. La sua Mary Grace accompagna tragicamente Snow in questo cambiamento, ma non rimane passiva o “complice” davanti alla sua trasformazione, tirando fuori una forza d’animo, una risolutezza e anche una capacità fisica di difendersi sorprendente. Può sembrare fragile, ma è solo l’apparenza.
Intorno a questa storia d’amore e dolore ci sono naturalmente gli intrighi politici, le rivalità tra strateghi, la tv di un Flickerman che non fa rimpiangere Stanley Tucci e ovviamente i giochi.
Giochi in una versione particolarmente cruenta e drammatica, che non fa sconti sulla rappresentazione della violenza e sulla progressiva follia, distruttiva e autodistruttiva, che pervade tutti i partecipanti. È uno scontro che si gioca sulla arena ma che spesso si trasferisce anche nella sala degli strateghi e in vicoli più bui. Ma non mancano “zone di confine” in cui i piani tra il campo di battaglia e le retrovie si sovrappongono e dove possono trovare la morte oltre ai tributi pure gli strateghi e i “nobili” stessi, in meccaniche al massacro più ampie, articolate, strazianti quando squisitamente “politiche”. Hunger Games descrive da sempre i difficili equilibri di una società divisa per caste di potere e anche questo nuovo capitolo continua questi ragionamenti attraverso una scrittura anche particolarmente satirica.
Molto valide anche le interpretazioni di Hunter Schafer e Joshua Kantara, nei panni di personaggi la cui presenza va ulteriormente a mettere in crisi ideali e sogni di Snow. Dinkage e la Davis impersonano invece creature così grottesche e spietate che non avrebbero sfigurato tra gli Harkonnen del Dune di David Lynch. C’è molta carne al fuoco e questo giustifica anche la durata poderosa della pellicola, che si assesta su tre ore abbondanti. Un tempo che comunque passa via che è un piacere, senza intoppi e tempi morti.
La regia di Francis Lawrence (oltre alla saga di Hunger Games, anche Io sono leggenda e Red Sparrow) è come sempre solida e capace di descrivere al meglio tanto le scene drammatiche che quelle d’azione, preservando sempre su ogni aspetto il leggero “tocco fantasy” della penna delle Collins, che sa bene attingere dal mito greco del Minotauro quanto dal Battle Royale di Fukasaku. Molto bravi tutti i ragazzi che rivestono il ruolo di tributi e strateghi. Menzione speciale per la Vipsania di Amelie Hoeferle.
Torna alla fotografia dopo la saga di Katniss anche Jo Willems, come tornano i costumi di Trish Summerville. Si continua a giocare esteticamente tra la fantascienza industriale della Metropolis di Lang e l’estetica asettica de Il trionfo della volontà della Riefensthal, assecondati anche dai ricercati set Art Deco realizzati da Sabine Schaaf (Iron Sky, La regina degli scacchi).
Le musiche di James Newton Howard sono epiche e avvolgenti, struggenti, incalzanti e adattissime anche ai “momenti cantati” in cui è protagonista il personaggio della Zegler, la cui novità è davvero piacevole.
Si parla già di sequel.
Si parla di riprendere la storia di Katniss.
Le premesse sono buone e questo ritorno a Panem ci ha decisamente sorpresi in positivo: il tempo passato dall’ultimo film sembrava forse troppo, ma siamo contenti di esserci sbagliati.
La saga continua e per chi non ha ancora iniziato ad appassionarsi ai libri di Suzanne Collins e ai film con Jennifer Lawrence questo nuovo Hunger Games del 2023 è un buon punto di partenza, per tuffarsi in una delle storie young adult più riuscite di sempre.
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