Siamo di nuovo nella zona del Cadore e nel più bell’albergo di tutte le Dolomiti, quello gestito da Lorenzo (Diego Abatantuono). Questa volta il Natale si celebra davvero a dicembre e non a ferragosto (come avvenuto in Natale all’improvviso) e secondo tradizione: cenone, albero, presepe, coro, parenti, Babbo Natale, guerre a palle di neve. Tutto il “pacchetto completo” più una sorpresa speciale, voluta fortemente da Lorenzo, sembra essere pronto nei tempi giusti.
Forse.
“Forse” perché il nuovo sindaco (Elio) ha deciso di rinnovare, svecchiare, fare tutto più moderno: un Natale 2.0. Basta vecchi alberi di Natale in piazza, benvenuto cilindro in bio plastica compostabile natalizio. Basta vecchi cori della parrocchia con le solite canzoncine delle feste, benvenuto nuovo coro del comune che può cantare pure le canzoni degli amatissimi Ricchi e Poveri e con guest star amate dal pubblico giovane. Basta il presepe, che sarà sostituito da un avveniristico spettacolo di immagini oleografiche da proiettare sui palazzi che costa un occhio ma sarà una figata. Basta luminarie che consumano troppo e le bollette poi si sentono. Basta giochi a palle di neve che intralciano il traffico e con gli schiamazzi intralciano la quiete. Basta alla tombola, che è in fondo la porta d’ingresso alla ludopatia.
Tanti cambiamenti insomma, ma Don Michele (Frassica) non ci vuole stare. Anche perché ha già avviato il casting del presepe vivente e ha trovato un bambino ricciolino che è perfetto per il ruolo, alto il giusto per lo meno. Don Michele cerca alleati ma il suo amico di sempre Lorenzo sta pensando ad altro.
È da alcune settimane che frequenta Serena (Carol Alt), conosciuta mentre era in cerca di una buona birra artigianale al negozio di alimentari biologici/agriturismo/fattoria del solito, unico, simpatico e un po’ scroccone agricoltore di zona (Paolo Hendel). Serena è bellissima e solare, americana, amante del pilates, della cucina sana, delle discipline orientali, del Feng Shui e dell’armonocromia. Serena sta piano piano cambiando la vita dell’albergatore e in meglio, perché Lorenzo dopo tanti anni la vede e non pensa più alla moglie scomparsa: Lorenzo sente di nuovo le farfalle in pancia. Per amore è diventato forse un problema pure far coesistere sull’albero di Natale dell’albergo le palle colorate rosse e verdi, così come tocca spostare i letti nelle camere per avere l’energia positiva del sole, servono più piatti a base di verdura, tappetini per lo yoga… ma alla fine sono solo “dettagli”: Lorenzo non si sveglia più a mezzogiorno, è meno malinconico, “sta bene” e sorride molto, tanto ma tanto più del solito.
Anzi, quest’anno la sorpresa misteriosa la spoilera subito ai parenti: non sarà il Natale in agosto, ma il suo matrimonio a Natale.
Del resto c’è sempre una prima volta se ne vale la pena.
Tutti questi cambiamenti, armocromie, Feng Shui e farfalle in pancia un po’ spaventano la figlia Alberta (Violante Placido), che come ogni anno ha lasciato la città per arrivare all’albergo di Lorenzo per le vacanze di Natale. Timorosa del fatto che questa Serena oltre che una rivoluzionaria sia “troppo bella per essere vera”, l’avvocatessa agisce. Sguinzaglia gli investigatori dei quali si serve abitualmente per ricerche informatiche, catastali e al casellario penale mentre, da buona figlia preoccupata, inizia a occuparsi personalmente di pedinamenti e ricerche in loco. Il marito di Alberta, Giacomo (Primo Reggiani, che qui sostituisce nel ruolo Lodovico Guenzi), cerca di contenere la moglie in questa specie di caccia alle streghe, ma nel contempo ha il suo da fare per trovare un po’ di tempo da passare con la figlia Chiara (Sara Ciocca), che quando sono in vacanza dal nonno è tutta presa dai suoi amici e ora pure mezza innamorata di un cantante che spopola sui social.
Giacomo sogna magari una camminata con le ciaspole, ma Chiara quest’anno ha soprattutto, come primo obiettivo, mettersi “in prima linea” con Don Alberto, per salvare il Natale tradizionale dalle follie moderniste del sindaco. L’unico felice e spensierato sembra Lorenzo, ma l’idea di mettere al primo posto un nuovo amore, decidendo di non occuparsi più h24 dell’albergo, lo rende un po’ pensoso. Anche perché il suo concierge/capo cuoco/giardiniere/commercialista/compagno di bevute/tuttofare Otto (il mago Forrest) è uno di cui ci si può fidare, ma fino a un certo punto.
Riuscirà Lorenzo a sposarsi sereno con Serena senza venire truffato come Alberta prevede? Vinceranno Don Michele e Chiara la partita delle feste contro il sindaco? Giacomo avrà la giornata delle ciaspole con la figlia?
Torna in sala e poi su piattaforma Amazon l’allegra brigata di Natale all’improvviso, in quella che sta diventando quasi una tradizione annuale.
La formula, tanto per cambiare, è sempre la stessa (questa è una citazione colta..). Un Abatantuono, divertito e compiaciuto, un po’ Orson Welles, gigione ma anche molte sensibile, che viene sempre più calato nella personificazione vivente di Babbo Natale. Un Mago Forrest lunare e folle alla Peter Sellers, mattatore assoluto in tutte le gag fisiche e battute fulminati. Un Frassica perfettamente liturgico, quanto amabilmente fraterno nei confronti del personaggio di Abatantuono. Un cast di giovani capitanati dalla Ciocca che rimette centrale nella trama i più piccoli in un ruolo ancora una volta quasi “politico” (nel primo film dovevano salvare l’albergo da loschi imprenditori esteri, qui sono per la preservazione delle tradizioni natalizie), volto alla preservazione di un territorio che gli adulti stanno “svendendo”. Una giovane coppia moderna, quella della Placido e Reggiani, che cerca di fare la quadra tra lavoro e figli: tra le ossessioni professionali e il tempo da dedicare a una famiglia e una figlia, qui ancora più indipendente e “adulta”. La formula riesce e chi aveva già amato il primo capitolo si sentirà a casa, ma la presenza di Elio e della Alt offrono anche qualcosa di nuovo e interessante.
Il cantante è un vero mattatore e si ritaglia il ruolo di un sindaco tanto buffo quanto “luciferino”.
Il personaggio della Alt, super sorridente, con le sue manie new age e un accento americano che storpia le lettere come Tini Cansino negli anni ‘80 a Drive In, è così solare e innocente da non risultare mai antipatico nonostante tutto il gioioso trambusto che continuamente scatena. La sua Serena ha poi un'ottima chimica con il personaggio di Abatantuono, nella trama ancora più “conteso” tra la Placido e la Coccia in un triangolo generazionale inedito.
Il film di Pantiero funziona e diverte nel suo presentarsi come il più classico e canonico cinepanettone 2.0. Tra buoni sentimenti, aria natalizia sparata a mille e scene divertenti pensate per far ridere anche (e soprattutto) i più piccoli, è il perfetto intrattenimento per i pomeriggi delle feste con i parenti: una “farsetta” da gustare a casa mentre si gioca a tombola o quando si arriva al cinema e ci si spiaggia sulle poltrone, con il bicarbonato e ancora i postumi del cenone. Astenersi se diabetici o se il cenone non si riesce a buttarlo giù neanche con il bicarbonato. Astenersi se si cerca qualcosa di diverso dalla più classica commediola italiana di Natale che esce classicamente a Natale.
Improvvisamente a Natale mi sposo non inventa o innova niente. Certo, è un modo di fare cinepanettoni “2.0”: con più giovani sulla scena, più temi familiari e sociali a veicolare la trama, zero volgarità e una strizzata d’occhio alla commedia americana per tutte le famiglie. Ma rimane ancora un progetto fieramente nostalgico, ancorato a meccanismi comici vintage e a una tradizione che per molti è già molto oltre il vintage. Tuttavia se siete sulla quarantina/cinquantina e se cercate quei sapori e colori che sapete possono farvi tornare negli anni ‘80, come quella “fragranza” di erba sintetica e lampadine un po’ fulminate che ogni anno riscoprite aprendo la scatola di cartone dove è riposto l’albero di Natale, il nuovo film di Abatantuono reca con sé quei profumi. Con onestà e anche un po’ di trasposto, al netto che vi piaceva davvero quella commedia anni ‘80.
Chi cerca esattamene quello, qui lo troverà e potrà anzi vederlo per una volta con i nipotini piccoli. Anche per via dei tempi che cambiano, la spregiudicatezza di certi classici di “Boldi/De Sica” effettivamente qui non c’è più, anche se a molti un po’ di quei doppi sensi, donne sotto la doccia e battute cinico/cattive mancheranno nell’impasto generale.
Siamo davanti a un cinepanettone 2.0 “senza uvetta” quindi, magari un po’ vegano, ma che nel postprandiale delle maratone culinarie con i parenti può sempre dare, a chi lo ricerca fortemente e con nostalgica costanza, il familiare sapore delle tradizioni cinematografiche festaiole classiche.
Il cinepanettone è sempre il panettone del resto. C’è chi preferisce il pandoro poi, ma è un’altra storia…
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