Italia, giorni nostri. Il regista
cinematografico settantenne Nino (Giorgio Colangeli) vive chiuso e
recluso nella palazzina dove abita da sempre, per lo più guardando la tv e
cucinando da solo. I pochi contatti con l’esterno avvengono con il telefono o
con il pc e da quando Angela (Rosanna Gentili) non c’è più lui non esce
proprio più di casa, come se il mondo oltre la porta non esistesse, come se lui
stesso per gli altri non esistesse. Anche il suo lavoro è ormai fermo,
nell’attesa perenne di qualcuno che si ricordi di lui e gli commissioni una
nuova pellicola, ma Nino non demorde, si muove mezzo nudo per casa carico di
energia, cantando, fiducioso che qualcosa possa cambiare. L’occasione buona
arriva. Arriva con una strana telefonata del suo amico produttore Fredo (Claudio Alfredo Alfonsi). Gli propone di portargli un progetto, un “qualsiasi
progetto” purché sia pronto a breve, perché ha trovato dei finanziatori che
vogliono investire e partire subito. Carta bianca e nessun vincolo di spesa,
basta che li stupisca. Nino sogna: potrebbe scrivere magari un western
come ha sempre sognato, potrebbe finalmente avere l’opportunità di creare
l’opera per cui sarà ricordato. Nino raccoglie al volo la sfida di Fredo con
entusiasmo e sfodera la sua amata macchina da scrivere, la tira a lucido e si
mette al lavoro, anche se il tempo concesso è davvero troppo esiguo e
l’incarico presto assumerà probabilmente l’aspetto di una vera corsa contro il
tempo. Nino cerca di coinvolgere nei lavori attori e amici, ma senza risultato.
Nino si sente solo. La sua agente, che per anni non si è fatta sentire,
ora lo tampina perché vuole essere maggiormente coinvolta nel contratto e
Nino è ancora al palo, i giorni passano e non ha ancora scritto nulla. Così
l’entusiasmo si mischia presto con la paura e infine con la paranoia. Se solo
ci fosse ancora Angela al suo fianco a ispirarlo. Uno strano incontro, reale o
forse sognato, e Angela riappare nella sua vita per un istante. È la scintilla
e Nino inizia a scrivere la bozza di un film di guerra, che presto gli viene
“dettata” da una versione di se stesso in uniforme militare, che si materializza
nel suo soggiorno. Chi sarà davvero questa apparizione e cosa vorrà da
lui?
Il film è girato in un piccolo
appartamentino con la telecamera di un cellulare o durante videochiamate al pc
registrate senza tagli di montaggio. È ispirato per molti aspetti visivi,
narrativi e sonori a Dillinger è morto di Marco Ferreri, con la
particolarissima colonna sonora con brani ad opera del compositore Teo Uselli,
realizzati nel 1968 per il film La rivoluzione sessuale di Riccardo Ghione.
Tra momenti onirici, depressione, thriller ed euforia creativa, l’opera di
Basso è una vera sorpresa, inaspettata quanto gradita in un momento in cui il
cinema italiano è un po’ avaro di opere così sperimentali. È un film che ci
riporta emotivamente al periodo della pandemia, in cui tutti vivevamo isolati
nelle nostre case, avendo conversazioni a distanza e lavorando a progetti che
non eravamo sicuri di riuscire a ultimare. È un film sul potere dell’arte (e
dello scrittore) di modellare la realtà che ci circonda per offrirci una via di
fuga, quanto specularmente un film sulla difficoltà sotto stress di distinguere
reale da immaginario. È un film sul linguaggio del cinema e sulla voglia di fare
del cinema che lo interpreti nel modo più duttile, attraversando i generi in
modo trasversale e permettendo allo spettatore di giocarci, trovare una sua
personale lettura dell’opera. C’è quindi nel lavoro di Basso un omaggio
al Ferreri più criptico e audace (Ferreri era sempre criptico e audace), ma anche un po’ del “mattino ha l’oro in bocca” dello Shining di Kubrick. C’è
una realtà/finzione “plasmata dalla carta e dai fantasmi” come in Barton Fink
dei Coen e c’è una punta malinconica che lo avvicina al mai troppo celebrato
Una pure formalità di Tornatore, ma il bello risiede proprio nel modo in cui
Basso riesce a giocare con la pirandelliana “inconoscibilità del reale”,
spargendo a strati indizi e suggestioni narrative, anche forti e fuorvianti, che fanno di Mindemic un’opera complessa, stimolante. Un’opera che si muove
quasi unicamente grazie alla presenza scenica di un attore, Giorgio Colangeli,
protagonista (quasi) unico e mattatore della pellicola. Colangeli si mette a
nudo, si sdoppia e si triplica, diventa vittima, carnefice e spettatore degli
eventi, autore e personaggio. Grazie al grande talento e generosità espressiva
di Colangeli, Nino è un rebus che si svela nel tempo, in modi imprevisti quanto
titanici, tenendoci inchiodati alla sua storia con partecipazione e una punta
di timore dalla prima all’ultima scena.
Girato in modo sobrio ed essenziale, con una narrazione veloce e ricca di suggestioni e un ottimo interprete, Mindemic è un film interessante quanto originale che per una novantina di minuti riesce a trasportarci in uno sfaccettato quanto intrigante labirinto emotivo. Giovanni Basso ha molto stile e conferma ancora una volta che, quando ci sono alla base delle idee interessanti, si possono produrre anche in Italia e a costi contenuti pellicole “di genere” originali e affascinanti.
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