C’era una volta, in un paesino di montagna dell’Italia dell’inizio del ‘900, un bambino di nome Carlo, figlio di un falegname vedovo di nome Geppetto (in originale con la voce di Adam Bradley). Carlo voleva seguire la strada del padre e lo aiutava nella creazione di un crocifisso in legno nella chiesetta locale, quando degli aerei da combattimento a corto di carburante, per “alleggerirsi” e arrivare fino alla base, decisero di liberarsi della loro bombe. Carlo aveva ancora in mano la pigna che aveva deciso di piantare per creare il suo personale “albero per fare i giocattoli”, quando la piccola chiesa esplose e Geppetto rimase solo. Il falegname piantò la pigna di Carlo in alta montagna e iniziò a perdere ogni interesse per il suo futuro, incominciando a bere. Anni dopo un grillo istruito e girovago (in originale con la voce di Ewan McGregor, che sarà anche il narratore di tutta la vicenda) cercava una casa in cui soggiornare e la trovò all’interno dell’albero di Carlo, ma subito dopo, in una notte piena di fulmini, Geppetto in preda a rabbia e disperazione decise di abbatterlo. Il falegname portò a casa il tronco e colpendolo con forza, tritandolo, sminuzzandolo, levigandolo e fissandolo a martellate con dei chiodi che ne facessero uno scheletro, diede così forma a un burattino che chiamò “Pinocchio”. Sfinito ma soddisfatto, andrò a coricarsi. Quella notte la signora dei boschi (in originale con voce di Tilda Swinton), una creatura che viveva tra il mondo dei vivi e quello dei morti e aveva particolarmente a cuore Geppetto, non volendo più vedere l’uomo in quello stato decise di dare vita a quel burattino. Perché diventasse una persona per bene, in grado di discernere il bene dal male, la signora chiese all’istruito grillo di stargli vicino, come maestro personale. Il giorno dopo Geppetto, sorpreso e un po’ spaventato alla vista di quella creatura di legno che lo chiamava “padre” (con la voce in originale del giovane attore Gregory Mann), si muoveva da sola sinistramente come un ragno e non faceva che distruggere la sua bottega con azioni inconsulte, decise di rinchiuderla in casa. Fino a che Pinocchio non riuscì a scappare e riapparire davanti a Geppetto in chiesa, durante la funzione, tra i fedeli che terrorizzati lo guardavano come un demone e il podestà (Ron Perlman) che invece lo osservava con interesse: come una strana e potente arma magica da presentare a Mussolini. Nei giorni che seguirono Geppetto cercò più volte di farlo “rigare dritto”, offrirgli una istruzione e considerare sempre più Pinocchio come un bambino vero, pari a suo amato figlio Carlo, ma il compito gli risultò particolarmente gravoso. Fino a che Pinocchio, per aiutare economicamente il padre, divenne la star dello spettacolo itinerante di marionette del losco Barone Volpe (Christoph Waltz) e della sua scimmia “Spazzatura”. Presto Pinocchio, seguito da Geppetto e dal Grillo di paese in paese senza che i due riescano a raggiungerlo, avrebbe incontrato anche Mussolini e forse il suo destino. Riuscirà Pinocchio a riabbracciare Geppetto e a farsi amare da lui come un bambino vero e non sono come “rimpiazzo” di Carlo?
Tra le mani di Guillermo del Toro e i
maghi della stop motion rinasce a nuova forma il Pinocchio di Collodi, simile
nella sostanza ma differente nel contesto. Abbiamo ancora negli occhi il cupo e
“anticato” Pinocchio di un Garrone ancora attaccato a Il racconto dei racconti,
già lontanissimo dal Pinocchio disneyano di Zemeckis del 2022 (il primo con un
Geppetto “vedovo”), ma il burattino dell’opera originale negli anni (e secoli)
si è declinato e aggiornato più volte. Ci sono stati autori che hanno smontato
e rimontato il contenuto del romanzo di Collodi, attualizzandolo o espandendolo
o rendendolo qualcosa di nuovo. Chi abbracciandone le suggestioni più
satirico/sociali, come il fumettista Vincent Paronnaud. Chi privilegiandone gli
aspetti più favolistici dell’opera come Disney ma anche Dreamworks. C’è stato
chi si è avventurato nella fantascienza portando l’elemento umano nella
macchina, laddove “c’è del Pinocchio” in Astroboy di Osamu Tezuka quanto nel
David di A.I. di Spielberg, ma anche “estremizzando” in Roy Batty di Blade
Runner, nel Ranxerox di Tamuburini/Liberatore e nel Tadashi di Galaxy Express
di Matsumoto. In quanto alla “forma” abbiamo avuto dei Pinocchio
disegnati “fatti di carne” (Ausonia), Pinocchio interpretati su schermo da
attori adulti (come Benigni), dei Pinocchio realizzati con effetti speciali
pratico/manuali (celebre quello di Rambaldi) o computer grafica (con il
Pinocchio di Shrek), abbiamo avuto un “Burattino senza fili” alla scoperta
delle pulsioni adolescenziali protagonista di una celebre canzone di Elio e le
storie tese. Ora siamo arrivati a questo nuovo e sfolgorante film in
stop-motion fortemente voluto, da anni, da Guillermo del Toro. È un Pinocchio
che seguendo la particolare poetica del regista messicano non poteva che
prendere vita in un modo sanguigno, rumoroso, cruento e spaventoso: quasi
“prometeico” nelle meccaniche di fulmini e viti che lo accomunano dalla creatura
di Frankenstein di Mary Shelley. È un Pinocchio che vive come la piccola
protagonista de Il labirinto del fauno all’interno di un cupo e tumultuoso
periodo bellico, più fatto di incubo che magia, in cui può per qualcuno essere
visto come un’arma, uno strumento inumano rinato dopo un sacrificio di sangue
come il Kyashan della Tatsunoko. È un Pinocchio a stretto contatto spirituale
con il culto dei defunti dei paesi latini, con rimandi alla stop motion de Il
Libro della vita (prodotto da Del Toro) e La sposa cadavere, abituato a
parlare con una “fata turchina” che è a tutti gli effetti una raffigurazione
della Morte nemmeno troppo dissimile da come sempre Del Toro la rappresentava
in Hellboy: The Golden Army. Il pescecane, seguendo l’amore di Del Toro per
Lovecraft non poteva che essere una creatura tentacolare alla Chtulhu, il
grillo non poteva che avere dei rumori sinistri simili alla creatura di
Mimic.
Ma soprattutto per Del Toro doveva
essere un Pinocchio “reale”, realizzato nel 2022 ancora in legno, con una
tecnica antica che permette di scolpirne i sentimenti a mano, da veri
“Geppetti”. Pinocchio in piena era digitale sceglie di rinasce “vintage”, come
pura “marionetta cinematografica”, creatura in stop-motion che viene realizzata
affettuosamente, come si faceva 50 anni fa, per lo scrivente in diretto
omaggio a uno dei più noti “Geppetti“ della clay-Animation, Will Vinton. A
partire dal pupazzo in stop motion di Geppetto, che dal volto e movenze
caricaturali ma estremamente umane richiama visivamente il protagonista di Le
avventure di Mark Twain, la sfortunata opera di Vinton del 1985 realizzata
all’apice della sua arte. Altri personaggi richiamano invece pupazzi
animati della versione odierna di quelli che furono i Vinton Studios, la
società Laika (nata a cavallo della realizzazione de La sposa
cadavere di Tim Burton per volere della “famiglia Nike”), come il Conte Volpe,
che per struttura, colori e movenze sembra uscito dritto da Boxtrolls, e come
il dinamico Spazzatura, che riprende moltissime movenze e dettagli della
scimmia di Kubo.
La scelta della stop motion non è quindi
casuale ed è interessante, laddove così sullo schermo, con la magia del cinema,
prendono vita davvero ”marionette senza fili”. Le immagini in stop motion ci
appaiono da spettatori in rapida successione, “vive”, ma in realtà
richiedono agli animatori un lavoro di costruzione di giorni e giorni, continua
rimodellazione e riposizionamento di personaggi e set, con ogni singolo
movimento ed emozione scolpita per dare corpo a 60 fotografie di pellicola al
secondo, con precisione e amore infinito. Per una tale magia era
necessario che molto dello “spirito artigianale” di Vinton albergasse tra
gli animatori di questo nuovo Pinocchio, che non a caso sono stati scelti
tra i geniali autori del dissacrante tv show Robot Chicken, lo studio americano
ShadowMachine, quanto tra gli inglesissimi maestri del Jim Henson Studios dei
Muppets e The dark Crystal. Studi di esperti che si sono gettati a capofitto
contemporaneamente nel progetto (per dimezzare i tempi) già da diversi anni,
in quello che a tutti gli effetti, per gli alti costi della stop-motion è stato
considerato un “Production hell”, fino a che Pathé e Netflix sono entrati
nella partita, insieme anche a nomi come Daniel Radcliffe, che si è
avvicinato all’opera prima come attore e poi come produttore. Un ulteriore
tocco “alla Del Toro” è arrivato dalle musiche del compositore di La forma
dell’acqua Alexandre Desplat, ma il regista messicano ha saputo anche
distanziarsi dal suo mood malinconico e donare all’opera un tocco di “vivacità
e freschezza”, affidandosi per i testi all’estro del canadese Patrick McHale,
uno degli autori-chiave del fenomeno Adventure Time. Il risultato dell’unione
di tutte queste suggestioni e artisti ha dato vita a qualcosa di davvero unico
e sorprendente, originale quanto fortemente attuale, vitale quanto
crepuscolare. Un’opera diversa nello sviluppo dei personaggi ma affine nello
spirito con il testo di Collodi. Il burbero Mangiafuoco viene mixato con la
scaltrezza della Volpe, dando vita a un “Conte Volpe” particolarmente seduttivo
quanto cinico, più esperto di propaganda che di marionette. Il paese dei balocchi
diviene il “paese della guerra”, dove i bambini sono spinti da sogno di
grandezza e eroismo a diventare non asini ma carne da cannone. La cultura
cattolica e la Storia entrano in dialettica con la favola quasi
“collidendo contro Collodi”, in forme che Collodi stesso ai tempi ha
sapientemente schivato (con la metafora, trasformando i personaggi di potere
in creature dai contorni zoomorfi) e che oggi invece è interessante e attuale
affrontare. Mette un certo brivido ascoltare il personaggio di Mussolini, pur
reso buffo e caricaturale dall’animazione, che a un certo punto dice: “Mi
sono sempre piaciuti i pupazzi”. È un Pinocchio che apre a molte riflessioni su
cosa comporti, ieri come oggi, essere considerati da qualcuno come un
burattino: “una testa di legno” da manovrare più che ascoltare nelle sue reali
inclinazioni come un libero essere umano. Per chi segue e insegue il burattino
“ribelle” c’è in ballo sempre un “tornaconto”, che può essere emotivo come nel
caso di Geppetto, quanto prettamente politico, socialmente o economicamente
desiderabile. Nella costruzione di queste dinamiche narrative giocano molto
bene in lingua originale, come performer vocali, Bradley ma anche Perlman e
Waltz, senza dimenticare il ruolo fortemente ascetico di Tilda Swinton (dovessero girare dei film su Ghandi o il Dalai Lama oggi segnerebbero per
interprete principale la Swinton). Poi ad alleggerire il carico arriva
Patrick McHale e il suo umorismo (il pescatore sembra uscito dritto da
Adventure Time), ci sono le sequenze più improntate sull’azione e la
meravigliosa chimica che si sviluppa tra il piccolo e “squillante” Pinocchio di
Mann e l’affannato Geppetto Bradley, c’è lo “spaesamento operoso” del divertente
Grillo di McGregor.
Una nota anche sulla poderosa e accurata
ricostruzione del periodo storico, con un numero incredibile di dettagli
realizzati con pignoleria, dalle architetture ai manifesti dell’epoca, dai
veicoli ai vestiti. Un lavoro davvero immane quanto visivamente appagante che
coinvolge ogni minimo fotogramma di girato.
Il nuovo Pinocchio di Del Toro è denso
di contenuti e amore per l’opera originale, pur reinventandosi in un contesto
del tutto diverso. È realizzato con cura nei più minimi dettagli, dalla storia
ai pupazzi e scenari, vantando un cast tecnico e artistico di alto livello e
per molti versi è una lettera d’amore all’Italia. Come molti dei lavori di Del
Toro può apparire come una favola gotica, un racconto dark che forse potrebbe
spaventare i più piccini, ma in fondo anche il Pinocchio di Collodi era pieno
di tocchi dark (ma ovviamente “non solo”). La maggior parte delle fiabe non
ritoccate nel 1900 sono dark, ma in effetti per i suoi contenuti l’opera di Del
Toro per i più piccoli necessita di una visione guidata. L’invito è
comunque di vedere il film magari in compagnia di un adulto, meglio se un
genitore o insegnante che aiuti per lo meno a contestualizzare il periodo
storico in cui è ambientata la vicenda.
Questo Pinocchio profondo quanto divertente, malinconico quanto estremamente dinamico è la più brillante dimostrazione di quanto il burattino di Collodi sia ancora un personaggio attuale e importate per “l’arricchimento umano” delle nuove (e vecchie) generazioni. Del Toro con questo film firma una nuova meravigliosa lettera d’amore per il personaggio.
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