Italia, giorni nostri. Da qualche parte
nel nord, tra le montagne, vive Orlando (Michele Placido). Orlando non è
“furioso”, non è nemmeno “cattivo, incazzato e stanco”. Parla una lingua tutta
sua che nella valle in pochi comprendono, si veste fuori dal tempo come Tomas
Milian ai tempi del Monnezza, se qualcuno lo cerca può lasciare detto al bar,
dove c’è anche un telefono. Orlando è semplicemente lì, da un tempo infinito,
uguale a se stesso, aggrappato tenacemente alla sua casetta e all’orto, con la
sola compagnia della fisarmonica e di troppi notti buie da trascorrere da solo,
in silenzio, dopo aver per un secondo dato uno sguardo alla foto della moglie
che non c’è più. Orlando ha chiuso ogni ponte con il passato, ma il passato non
è d’accordo e gli si ripresenta, sotto forma di un foglio di carta
appallottolato: con sopra scritto un numero e il messaggio “tuo figlio ha
bisogno di te”. Occorre andare al bar per usare il telefono e scoprire che è un
numero estero, di Bruxelles. Occorre cercare nella valle un pastore che,
richiamando quel numero, possa capire che cosa dicono dall’altra parte. Il
senso arriva ed è tragico: il figlio di Orlando sta male e Orlando dopo un
tempo infinito deve sradicarsi da quel posto tra i monti e prendere un treno.
L’arrivo a Bruxelles è confuso: un’agente di polizia lo scopre con i documenti
scaduti, vuole mandarlo all’ambasciata e per comunicarglielo dal tedesco
utilizza un cellulare che traduce in italiano, lingua che Orlando comunque non
mastica molto. Tra strade, treni e qualcuno che riesce a indirizzarlo Orlando
arriva a destinazione e trova il figlio già morto, pronto per un funerale a cui
dovrà andare tenendo la mano di una bambina che non conosce, Lyse (Angelica
Kazankova). È la mano di sua nipote e ora è suo compito non mollarla,
aiutarla ad andare avanti. La madre per la legge di quel posto non è stata
tenuta a riconoscerla e Lyse non sa dove sia. Il padre viveva con una ragazza
asiatica cui è scaduto il visto, Lyse avrà 13 anni ed è sola ma è autonoma,
spigliata, più grande della sua età. Orlando prova a portarla a casa sua tra i
mondi del nord Italia ma Lyse non molla, fino a che lui decide di provare a
stare con lei a Bruxelles, pagando di tasca propria affitto, scuola, corso di
pattinaggio e ogni altra cosa che serve per sopravvivere. Fino a che i soldi
finiscono e Orlando inizia a cercare lavoretti di ogni tipo, sottopagati e
usuranti. Gli stessi lavoretti che faceva a Bruxelles suo figlio, dal cameriere
allo spazzino all’addetto alle aiuole, spaccandosi la schiena pur di non
tornare in Italia. Solo che Orlando è un uomo anziano e anche se assomiglia a
Tomas Milian quella schiena può spaccarsela presto e gli assistenti sociali
locali sono pronti a togliergli l’affidamento di Lyse, se non potrà dimostrare
di riuscire a mantenerla.
Ha molti aspetti vicini al western urbano, questa crepuscolare pellicola scritta (insieme ad Andrea Cedrola) e diretta da Daniele Vicari, prodotta da Rai Cinema, Tarantula e Rosamont. La fotografia di Gherardo Gossi fa un grande uso di insoliti campi larghi/larghissimi che rendono Bruxelles più ampia del deserto del Nevada, il montaggio di Benni Atria è lento e meditabondo come una cavalcata anche se ci muoviamo su treni superveloci, la colonna sonora di Teho Teardo annulla i rumori del traffico usa tanti giri di chitarra dal suono caldo, con naturalmente qualche tocco di fisarmonica in onore di Orlando, ma anche in onore di quel western di Morricone e Leone. Michele Placido assomiglia con gli anni e con il trucco sempre più a come sarebbe oggi Tomas Millian (cogliete l’occasione e dateci un Nico Giraldi con lui, non perdiamo questa occasione!): ha un volto eastwoodiano affilato e quasi “intagliato dalle rughe”, un fisico ancora invidiabile e muscolarmente attivo, lo sguardo abbassato ma profondo, malinconico e al contempo titanico, di chi non molla. La brava Angelica Kazankova, biondissima e dalla chiacchiera infinita, non interpreta una damigella da salvare, anche se nei primi momenti può apparire come una bambina indifesa. La sua Lyse ha una “sensibilità corazzata” e riesce bene a tirare fuori il carattere di una piccola donna di frontiera da far West, una in grado di cavarsela da sola, rispondere a tono, azzerare le lacrime e contrattaccare. Placido e la Kazankova si muovono in questo paesaggio “western middle europeo contemporaneo” che come “italiani all’estero” percepiscono caldo e accogliente come un blocco di ghiaccio. Un luogo formalmente modernissimo, ineccepibile nella pulizia, multietnico e inclusivo, pieno di possibilità lavorative, ma nel quale vivere/sopravvivere non è per nulla scontato: la giusta immagine reale, confermata “da chi ci è stato”, di una Europa del presente non edulcorata dalla propaganda. Placido e la Kazankova si incontrano e si scontrano, cercano un linguaggio comune e una volta che si scoprono controvoglia “famiglia” aprono la pellicola a nuovi orizzonti. Dalle “atmosfere western” il film di Vicari qui vira, prova a creare piccole e felici incursioni nel cinema sociale belga dei fratelli Dardenne, qualche volta si fa documentario, qualche volta neo-realista, schivando di poco la “mina”, vicinissima, che lo farebbe finire dalle parti di Zappatore con Merola. Vicari ha buoni interpreti e personaggi solidi e così riesce senza difficoltà a dare corpo a una storia che sappia badare più al futuro che al passato, per nulla consolatoria e “pro-attivamente problematica”, “irrisolutamente” vitale nella ricerca della costruzione di un “domani”. In un cinema italiano come quello odierno, per lo più incapace di dare posto a pellicole che guardino al futuro, una pellicola come Orlando diventa quasi un film di fantascienza sociale. Un piccolo film, ben realizzato, dedicato a “chi non molla” e decide di poter cambiare la sua vita anche in età avanzata, con il coraggio e la malinconia dei cowboy.
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