giovedì 11 novembre 2021

Un anno con Salinger (My Salinger year): la nostra recensione del nuovo film di Philippe Farardeau


Siamo a New York nella seconda metà degli anni novanta, prima che i social invadessero il mondo. La nostra protagonista ha gli occhi azzurrissimi e sognanti e il sorriso enorme, ingenuo e con i dentoni, dell’attrice Margaret Qualley, figlia di Andie McDowell. la chiamano tutti “Jo”, come la protagonista di Piccole Donne che da grande vuole fare la scrittrice. È giovane, intelligente, laureata in lettere a Londra e già autrice di poesie, pubblicate su una piccola rivista di settore. Jo ha così deciso di “essere straordinaria”, diventare poetessa a tempo pieno. Primi obiettivi: affittare un appartamentino a New York in un quartiere tranquillo e vivere lì, come quegli scrittori bohémien che stanno tutto il giorno a comporre seduti in un bar. Arrivata nel quartiere “giusto”, Jo inizia a bazzicare il Panama Cafè, dove la sera si esibiscono i “poeti off“ e alla fine trova casa insieme a uno scrittore giovane, proletario e maledetto di nome  Don (Douglas Booth). Ora basta solo mandare curriculum e aspettare che bussi alla sua porta la “grande occasione”. La sua grande occasione non tarda ad arrivare, si chiama Margaret e ha il volto da “tipa tosta” di Sigurney Weaver. Margaret è un'importate agente letteraria a cui serve un’assistente e questa sembra subito per Jo l’occasione per entrare nel mondo dell’editoria newyorkese, ma ciò che la aspetterà è un incarico un po' speciale. Tra i clienti di Margaret c’è anche lo scrittore J.D.Salinger (Tim Post) e Jo dovrà occuparsi principalmente della sua corrispondenza. La procedura è in tre fasi: leggere una lettera, rispondere selezionando una delle “risposte-standard-preconfezionata” adattandola un minimo, imbustare, inviare al fan, distruggere la missiva in un trita documenti. Spesso per tutto il giorno, perché Salinger, soprattutto  da quando ha scritto Il giovane Holden, riceve da anni centinaia e centinaia di lettere di ammiratori, ai quali non risponde mai direttamente un po’ per timidezza, un po’ per paura, un po’ perché non può uscire tutti i giorni a pranzo con loro. Un po’ perché una volta gli si stava bruciando la casa e non sapendo cosa fare aveva chiamato prima dei pompieri la redazione ed essendo le tre di notte la casa è finita in cenere. Insomma, il grande autore è un po’ eccentrico, motivo per cui Margaret si occupa di lui con particolare cura e apprensione e vuole che tutto “fili liscio” e senza intoppi. L’incarico di Jo prevede che si occupi della corrispondenza ma subito si allarga a anche al “rispondere al telefono ”a Salinger”, in linea diretta dedicata. Sono mansioni delicate, ma se verranno eseguite alla perfezione consentiranno alla ragazza di accedere allo step successivo: la fantomatica “pila per il macero”. In questo luogo mistico si raccolgono le opere prime dei nuovi scrittori mai pubblicati e “scegliere quello giusto” dal mucchio può essere un trampolino per diventare a tutti gli effetti una editor della casa. Certo il lavoro per Margaret sembra allontanare Jo un bel po’ dal suo sogno originale di fare full-time la poetessa, anche perché nella casa editrice vive lo strano dictat che “gli impiegati non sono scrittori”, ma il ruolo le risulta da subito stimolante e presto si lascia davvero travolgere dalle mille lettere dei fan di Salinger. Ogni lettera racconta una storia personale, condivide passioni e dolori, invoca e prega per un incontro con il grande artista. Un incontro con il proprio “scrittore preferito che potrebbe anche essere il tuo migliore amico” che in qualche misura era evocato dallo stesso giovane Holden nei primi capitoli del libro (nello specifico “per noi Italiani” a pagina 23 in alto della edizione Super ET del 2014, tradotta da Matteo Colombo), ma che di fatto non avverrà mai. Così un giorno Jo sente che le risposte standard, al netto dei “grazie, ma l’autore è impegnato” conditi in varie salse, le stanno strette. Cosi Jo si mette a rispondere direttamente alle lettere degli ammiratori, iniziando a escogitate modi per cui alcune missive, le più “sentite”, potessero per davvero arrivare nelle mani di Salinger. Questa condotta della ragazza potrebbe forse essere un problema per l’editore e per la privacy del suo primo scrittore, ma potrebbe anche aiutare Jo a capire davvero cosa vuole fare realmente lei, “da grande”. 

Il primo vero passo di questa “scoperta di se stessa” sarà proprio leggere Il giovane Holden, libro che paradossalmente non aveva mai letto pur rispondendo già da mesi alle lettere dei fan. 


Il regista Philippe Farardeau ci raccontava in The bleeder, la sua precedente pellicola uscita nel 2016, la storia vera e poco favolistica di Chuck Wepner, interpretato su schermo dal bravo Liev Schreiber. Conosciuto come il “pugile sanguinante per la sua attitudine a incassare e non mollare, di estrazione popolare e poca fortuna negli incontri, il buon Wepner si distinse in un incontro incrociando i guantoni con Mohamed Ali in un match storico da “occasione della vita” nato per intuizione del super impresario Don King. Questa storia avrebbe ispirato Sylvester Stallone nella creazione del personaggio di Rocky Balboa e Wepner da allora viene chiamato “il vero Rocky”; spesso attribuendogli il modo bislacco e buffo di esprimersi proprio di quel personaggio. Oggi Farardeau ci parla di nuovo del confine tra mito e realtà usando la leggendaria figura di Salinger, padre della letteratura americana moderna, per lo più nascondendocela sullo sfondo, facendone quasi un deus ex machina ultraterreno. Una specie di Papà Gambalunga che risponde al telefono della nostra protagonista mentre da dietro una finestra osserva nel suo giardino un pavone dalle piume calate. Salinger “esiste”, ma per una intuizione registica non ne vediamo mai il volto. Per  i suoi fan lui è spesso “Holden” o almeno c’è la convinzione che moltissimo dell’autore sia “dentro Holden”. Holden è divertente, sfortunato, “autentico” e se leggete il libro nell’adattamento italiano, magari immaginandolo con la voce di Ferruccio Amendola, ha lo stesso modo, un po’ bislacco e buffo, del Rocky di Stallone. Holden-Salinger diventa per molti lettori un amico immaginario che li ha accompagnati, divertiti, commossi e ispirati parlandogli senza fronzoli, magari scorbutico, di vita reale. Questi fan scrivono nelle lettere: “Penso a Holden quando mi sento sopraffatto dalle mie emozioni” perché si riconoscono in lui. È qualcosa di decisamente “potente” questo amore enorme e incondizionato, al punto che nel film i fan vengono evocati, nella loro “urgenza di una risposta”, come dei fantasmi che letteralmente si impossessano della scena della piccola redazione dove lavora Jo, quasi perseguitandola. Redazione dove in sottofondo si sente il rumore delle lettere frullate in pezzi nel trita rifiuti, mentre quasi assaporiamo l’odore della carta ingiallita della stanza dove si trova la terribile pila del macero. Solo che il personaggio di Salinger, in questa strana epoca pre-social-digitale fatta di carta tritata e ingiallita in cui è ambientato il film, non è e non può essere Holden. È una persona riservata, schiva, un po’ con il momentaneo blocco dello scrittore, un po’ fissata sul passato più che sul futuro e non parla come Rocky. È un uomo anziano e forse anche un mentore per il personaggio di Jo, ma non può che apparire per i suoi fan sideralmente lontano. È una persona “molto umana”, che non può rispondere a tutti i fans h24 o non farebbe altro nella vita. 


Il film di Falardeau potrebbe prendere in ogni momento la strada de Il diavolo veste Prada o meglio di Una Donna in carriera, replicando così per Sigurney Weaver un ruolo che l’ha già resa celebre. L’ambiente letterario si presenta subito affascinate, ricco di glamour e strane regole di interazione, di artisti eccentrici e del feticcio della scelta delle copertine e rilegature, lo scenario ideale per un confronto tra due donne che rappresentano idealmente un “prima” e “dopo”.  Ma non lo fa. La pellicola ci tiene ad immergerci invece quanto più possibile proprio nella “strana magia” che scaturisce dall’atto creativo di “scrivere”. Perché la magia risiede “in quanto è scritto”, non necessariamente nella vita quotidiana degli artisti. Scrivere è “un dono”, un’ispirazione. Chi è in grado di scrivere (ci racconta Salinger) deve onorare e difendere questa attività “come un santuario interiore”, almeno dedicandole 15 minuti al giorno. Quando un testo ultimato arriva al lettore, l’opera diventa di quest’ultimo a pieno titolo, con la piena autorizzazione a ritrovare se stesso dentro quel romanzo o quella poesia, anche nell’interpretarlo in un modo del tutto diverso da quanto pensato dall’autore. Nel mezzo, tra pubblico e autore, ci sono gli editor, ossia quelli che stanno nella posizione più scomoda di tutte. Devono tutelare l’autore e la sua privacy, devono valutare la vendibilità di un’opera, devono dire tanti “no”, saper ascoltare i lettori e sobbarcarsi il peso di mille giudizi errati su tutto il processo. È un ruolo ingrato quando complesso, che il personaggio della Weaver riesce a esprimere al meglio, dando corpo a una donna molto complessa quanto affascinante, quasi tragica, che svela la sua intimità solo a frammenti. Il personaggio della Qualley, con tutta la sua energia giovanile, sta invece in bilico tra il sentirsi autrice ed editor. Si rimprovera alla sua Jo, in una scena-chiave, che come autrice deve saper amare di più  gli “autori in vita”, più che ricordarci il suo eterno amore per Gustave Flaubert. In un’altra scena, la ragazza si scopre poi spronata a vivere la propria vita in modo nuovo, proprio dalla lettura di Franny e Zooey di Salinger. È un film che parla dell’amore per i libri, della reale possibilità di “dialogare” con loro, dell’istinto innato di voler diventare scrittori e di quanto serba invece per noi la “realtà”. Oggi nel 2020 la comunicazione editoriale e il rapporto tra autori, case editrici e fan sono diversi, forse più immediati quanto “ruvidi”. Per raccontare con ironia questo passaggio epocale, già nel 1997 fittizio del film appare sinistro, nella redazione della tecnofobica Margaret, un primo personal computer collegato alla rete. Nero e oscuro come un monolite, pronto sicuramene a fare danni “con tutte le diavolerie che contiene”. Un nemico da affrontare analogicamente, trascrivendo rigorosamente, a macchina da scrivere, ogni suo contenuto riguardante gli autori patrocinati. In questa ossessione per la carta battuta a macchina, tritata o ingiallita, il film apre a una sorta di ideale grande battaglia finale tra il mondo della carta e il digitale, tra il mondo di lettere scritte e spedite a mano e le email superveloci, tra i libri e futuri ebook. 



Molto interessante, ben recitato, con la capacità di mettere in corpo una voglia irrefrenabile di leggere e ri-leggere Salinger (e non solo). Il film tra le sue qualità è anche un’autentica lettera d’amore a chi vive dietro le quinte di una redazione, in questo molto vicino al bellissimo I sogni segreti di Walther Mitty di Ben Stiller. Davvero brave e molto affiatate le due attrici principali. 

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