Corea del Sud, anno 1986, siamo in un paesino della provincia avvolto in una vegetazione fitta e paludosa che fa continuamente sprofondare nel fango o rotolare giù in buche e dirupi chi prova a camminarci sopra. Cammini per strada e di colpo rotoli in un burrone, vai a scuola e di colpo rotoli in un burrone, fai la fila alla posta perché ti hanno perso un pacco, torni a casa e rotoli in un burrone. Questo non aiuta l'umore generale della popolazione, anche se fa buffissimo da vedere le prime 73 volte, così è normale che un serial killer in città sarebbe saltato fuori. Predilige giovani donne che spesso assale di notte per strade isolate, che ha prima controllato per non cadere sul più bello in un burrone. Le lega e le riempie gli orifizi di oggetti strani, le fa ritrovare in mezzo alla natura. In genere in un posto isolato e pieno di burroni, dove tutti i poliziotti e stampa accorrono e iniziano a rotolare. Nel disorganizzatissimo distretto di polizia, dove tutti hanno i pantaloni coperti di fango, brancolano nel buio. Sembra, tolto il fango, che manchino sui cadaveri i classici peli pubici dell'aggressore-stupratore e qualcuno con una intuizione creativa pensa che l'assassino sia un pelato, un monaco o uno che si depila nei paesi bassi. Per questo motivo gli agenti si recano alle saune pubbliche a sbirciare in basso i numerosissimi avventori di un paese costantemente fangoso. Qualcuno dei più paranoici è invece sicuro che quando l'assassino uccide la radio locale trasmetta uno specifico brano, una nenia romantica che un ascoltatore misterioso chiede ai dj di mettere in scaletta nel caso il clima si guasti e inizi a piovere, il legame pare "molto" evidente. I ragazzini hanno poi messo in giro la storia di un matto che vive nel bagno dietro la scuola locale per uscire solo di notte a uccidere, pericoloso accompagnato da un tanfo di popò. I morti aumentano e la cittadinanza richiede risposte, i detective Park Du-Man (il grande Song Kang-ho, visto in Parasite, Snowpiecer, Mr Vendetta, Lady Vendetta, The Host e in genere il 90% dei film coreani che sono arrivati in Italia) e Cho Yong-gu (Kim Roe-Ha) vogliono chiudere in fretta la questione e puntano il dito, nell'assenza più totale di indizi, su persone spiantate, asociali e con deficit mentale, spingendole a confessare i delitti con sistemi che vanno molto vicini alla tortura e a volte creando prove artefatte. Il detective di Seoul Seo Tae-Yun (Kim Sang-kyung) cerca di contrastare questo modo di fare, fornendo argomentazioni inconfutabili di quanto tali indiziati siano inadeguati e spesso attaccando briga con la polizia locale. In tutto questo, il killer non si ferma. Forse un test del DNA farà luce sull'identità? Intanto come canta Vasco, tra una scena del crimine e l'altra, il mondo rotola.
Abbiamo ancora negli occhi il folgorante e bellissimo Parasite, girato nel 2019 e trionfatore agli Oscar del 2020, in cui il regista Bong Joon-ho ci raccontava una storia di quotidiana incivilirà dei giorni nostri, con persone che ancora vivono in caste nette, ricchi e poveri, distinguibili per lo strano odore che emana il quartiere dove risiedono, con case costruite a ridosso delle fogne. Ora con Memories of a Murderer, girato nel 2003 dallo stesso regista, la sua seconda opera, troviamo ancora un racconto con al centro due "classi sociali", distinte e nemiche, i normali e i "diversi dal normale". Chi è troppo taciturno, che è brutto fisicamente, chi non può ragionare correttamente perché handicappato, chi "si è sputtanato" per una piccola e sgradevole perversione che è diventata nota (in un mondo in cui perfino il protagonista ne ha una peggiore, ma occulta e per lui non rilevante). Chi è "diverso" deve essere infelice e questo non può che portarlo a essere "cattivo", per una logica distorta approvata dalla popolazione "sana", che fa quadrato comune in quanto a gruppo. I detective del paesino di provincia sud coreano arrivano a credere, con questo modo di pensare, che il fantomatico Killer debba essere, in assenza di alcun riscontro effettivo, "per forza, un diverso". Perché è più accettabile, meno traumatico per la comunità, più facile da individuare. Le prove delle indagini allora non sono altro che pezze d'appoggio per certificare una pericolosità certa e considerata latente, al punto che sono considerate formalità da falsificare per ridurre i tempi delle indagini. Siamo nel 2000 e siamo ancora non troppo lontano dalla misurazione scientifica del grado di devianza sociale sulla base delle anomalie del foro occipitale di Cesare Lombroso, classe 1835.
Con la grande sensibilità che lo contraddistingue, Bong Joon-ho prende la tragedia di questo atteggiamento mentale e crea un'opera "totale", drammatica, vivida, pervasa dallo humor nero di cui i coreani sono maestri, ricca di colpi di scena e spietata. Un capolavoro che, come Parasite, punta a stravolgere ogni certezza su chi fa affidamento lo spettatore, prima tra tutte il fine ultimo del "mistery" cinematografico, gettandolo in continui e suggestivi vicoli ciechi dove è gustosamente bello perdersi. Con un minutaggio di tutto rispetto, durasse altre sei ore dopo i titoli di coda se ne vorrebbe ancora. Il ritmo è sempre incalzante, le interpretazioni degli attori meravigliose e mai banali.
Dopo Parasite arriva l'occasione ghiotta di gustare un altro capolavoro di un grande cineasta, come quando ai tempi di Pulp Fiction ritornò in sala Le Iene. Non fatevi scappare l'occasione.
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Lo vedrò in settimana. Parasite mi è piaciuto davvero tanto in un periodo in cui sembrava che nessun film riuscisse a sorprendermi.
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