sabato 29 aprile 2023

Mon Crime - La colpevole sono io: la nostra recensione del divertente “giallo giudiziario” di Francois Ozon, con protagoniste principali Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder e Isabelle Huppert

Parigi, 1935. La giovane e avvenente attrice bionda Madeleine (Nadia Tereszkiewicz) e la giovane e avvertente avvocatessa mora Pauline (Rebecca Marder),  vivono insieme e squattrinate in un fatiscente appartamento in affitto, con già alcune mensilità non pagate sul groppone. Per le strade c’è la crisi economica e i clienti dello studio legale sono soliti pagare con cibo e non con banconote, anche perché “chi ha il soldi” non si rivolge a un “avvocato donna”. Di contro non c’è lavoro in qualche produzione cinematografica di spicco nemmeno per Madeleine, a cui arrivano solo proposte da “intrattenitrice per locali notturni”, se non proprio proposte oscene fatte e finite. La bionda torna giusto in mattinata dalla ennesima proposta indecente, presentatale da un arzillo produttore che ha anche allungato le mani costringendola a scappare dalla sua abitazione anzitempo. Madeleine è così depressa e indignata che vorrebbe usare la sua vecchia pistola “per difesa personale” per spararsi un colpo e farla finita con questa grama vita, ma Pauline la tira su con la proposta di una serata insieme al cinema che risolleva il morale generale. Nei giorni che seguono gli inquirenti riportano ai giornali che proprio quel produttore cinematografico è morto con un colpo della stessa pistola dell'attrice e nella sua abitazione non c’era all’epoca nessun altro al di fuori di Madeleine. Anche perché il giudice istruttore (Fabrice Luchini) ha in quei giorni già scientificamente escluso dalle dinamiche dell’omicidio tutti i facoltosi “amici sospettabili” che ha in comune con il produttore, depennando dalla lista persone che i testimoni avevano visto letteralmente andare e venire più volte dal luogo del crimine. La giovane attrice, del tutto estranea ai fatti ma già “colpevole perfetta”, rischia decisamente grosso. Ma con un brillante e ardito piano della sua amica avvocatessa Pauline può anche “rischiare grosso di diventare famosa”. La strategia difensiva comporta il riconoscere al cento per cento il reato come legittima difesa all’abuso sessuale del produttore, trasformando Madeleine nel dibattimento in una specie di eroina dai solidi principi e dal cristallino talento artistico: una innocente che si è ribellata a un sistema di potere maschilista ormai degradato e corrotto da abusi e nepotismi. Male che vada, a Chicago le “donne assassine” in quei giorni stanno diventando più famose delle star del cinema, con i loro processi che sono più seguiti dei più esclusivi eventi mondani. Potrebbe succedere con un po’ di fortuna anche con il “pubblico di Parigi”, magari. Madeleine si farà in previsione forse qualche anno di carcere, arriverà quasi sicuramente una riduzione di pena per buona condotta e poi giungerà in ogni modo il sicuro successo come star del cinema. Una Madeleine già nel ruolo di “femme fatale” accetta il piano. Si aprono le danze giudiziarie, l’avvocatessa fa le sue arringhe, l’attrice commuove la giuria e il pubblico, il pubblico ministero compare arcigno e dozzinale. Siamo solo all’inizio e già arrivano sulla vicenda le prime pagine delle testate giornalistiche e fioccano per l’attrice le proposte di lavoro, tra cui diventare la star incontrastata della nuova stagione teatrale. Le due amiche in breve tempo, al netto di qualche momento di tensione, diventano famosissime e ricercate. Possono ora comprare una casa più grande con i domestici tutta per loro e avere contratti e clienti che non pagano più con il pesce. Ma qualcuno rimasto nell’ombra (Isabelle Huppert) e che ha invidiato tutto questo “repentino successo” ha deciso di farsi vivo, rivendicando l’assoluta paternità dell’omicidio del produttore. Chi sarà il vero colpevole e vero idolo del gossip per via di un omicidio? 


Francois Ozon, uno dei registi più originali, prolifici e interessanti del cinema francese, a qualche anno da 8 donne per un delitto torna al suo cinema più disimpegnato e leggero, “ludico” quanto teatrale. Mon Crime è un film con attori brillanti e una narrazione “frizzantina” che gioca con divertimento sul fascino ambiguo con cui da sempre la  “cronaca nera” seduce il grande pubblico, rendendo nell’immaginario gli imputati non dissimili a degli attori protagonisti di un film thriller. Ozon gioca tra realtà e finzione e coglie l’occasione della cornice storica anche per parlare di come venivano affrontati nel passato temi a lui cari come la parità dei diritti e l’uguaglianza di genere, più volte esplorati anche di recente nella sua filmografia più “drammatica”. Lo fa sempre con estrema leggerezza e sorniona “complicità” nei riguardi delle due “trasgressive” protagoniste, che emblematicamente capovolgono la loro situazione sociale proprio “accettando proficuamente” una ingiustizia alla quale non potevano forse opporsi. Fabrice Luchini nel ruolo del “parzialissimo”, altero e goffo giudice istruttore “a salvaguardia della morale e degli amici” è davvero esilarante mentre si esibisce in alcune delle sue più caricaturali “facce sconvolte e pensose”. Il processo diventa a tutti gli effetti un palco teatrale in cui anche gli spettatori assurgono al ruolo di un coro greco. Un coro che va poi a sdoppiarsi e duplicarsi in uno gioco di specchi, quando vicende simili a quella giudiziaria diventano oggetto di una successiva rappresentazione teatrale con interprete principale sempre Nadia Tereszkiewicz. All’improvviso entra in scena anche il personaggio di Isabelle Huppert e Ozon le costruisce intorno un riuscito alone simile alla Gloria Swanson di Viale del Tramonto. Le carte si mischiano ulteriormente e la “realtà dei fatti” si ricostruisce di nuovo, in modo sarcastico quanto divertente. L’atmosfera generale si mantiene sempre su un registro gioioso, accostandosi stilisticamente a un film “sugli equivoci-reinterpretati” come Oscar, un fidanzato per due figlie di John Landis. 

Il nuovo film di Francois Ozon è una pellicola leggera leggera, dalla forti influenze teatrali, ideale per una serata rilassante nel segno dell’ironia e della satira di costume. Bravi tutti gli interpreti, interessante il modo in cui la trama con in esercizio di stile si sposti dal piano reale al piano processuale, fino ad arrivare al piano della rappresentazione “artistica dei fatti” per poi tornare a “riscrivere tutto facendo il giro”. Ozon conferma il suo grande talento nell’intrattenere il pubblico in modo sempre versatile quanto interessante: un cinema qui in grado di sposare la leggerezza ai temi sociali di attualità. 

Talk0

Nessun commento:

Posta un commento