Ci troviamo in un mondo fantasy fuori dal tempo (per i più pignoli il cosiddetto mondo di Abeir-Toril della campagna Forgotten Realms di D&D), pieno di creature mostruose e misteriose, reami medioevaleggianti, tesori ancestrali e “muffole”. Le muffole solo quei guanti corti che non coprono le dita. In una torre-prigione posta tra la neve e il ghiaccio di una impervia zona isolata dal resto del mondo in cui sembra sempre inverno, sono rinchiusi lo sgangherato e sarcastico ladro ex “arpista” Edgin Darvis (Chris Pine)e la taciturna e arrabbiata guerriera barbara Holga Killgore (Michelle Rodriguez). Sono lì da così tanto tempo che hanno imparato a cucire con le loro mani delle perfette, morbide e colorate muffole per il freddo. Ma oltre al taglio e cucito i due hanno in mente qualcosa ancora di più grosso per l’imminente futuro. All’ultimo piano della impervia costruzione carceraria ha infatti finalmente luogo la loro annuale udienza di revisione/scarcerazione davanti ai soliti tre giudici togati e questa sarà pure l’occasione per un contestuale, veloce quanto assurdo tentativo di fuga, pianificato con poca cura in modo abbastanza incosciente, temerario e aleatorio. Appena entra in seduta un giudice simile a un corvo umanoide i due gli si buttano addosso e si gettano insieme oltre la finestra, giù nel vuoto per i molti piani dell’edificio, sperando di rimanergli aggrappati mentre lui cercherà di planare in qualche modo prima di spiaccicarsi al suolo. Incredibilmente il piano funziona e la coppia inizia così un lungo viaggio che li porterà fino al reame di Neverwinter, in cerca dei loro vecchi compagni quanto del ricco e misterioso tesoro del loro ultimo e ardito colpo. Purtroppo gli amici di un tempo, l’egocentrico e vanitoso “briccone” Forge Fitzwilliam (Hugh Grant) e una strega incappucciata molto misteriosa e molto “rossa” di nome Sofina (Daisy Head), grazie ai soldi di quel bottino si sono incredibilmente arricchiti, vogliono continuare a essere ricchi e si rivelano in brevissimo tempo dei traditori conclamati. Dopo aver nuovamente imprigionato i nostri eroi meditano di ucciderli, ma non si può trattenere per lungo tempo degli esperti nella fuga in grado di abbindolare il primo guardiano sprovveduto, anche solo distraendolo parlandogli della manutenzione perfetta di un’ascia. Così dopo essere nuovamente e velocemente scappati alla esecuzione, i fuggitivi possono riorganizzarsi con “nuovi vecchi compagni” e trovare il modo di impossessarsi del prezioso tesoro che il briccone e la strega, ora a capo di tutto Neverwinter, custodiscono dentro una stanza protetta da un potentissimo incantesimo. Servirà l’oggetto magico giusto insieme alla fortuna, che nei mondi fantasy gioca spesso brutti scherzi. L’avventura gli farà incontrare maghi troppi giovani, volenterosi ma dai poteri “da affinare” (il Simon di Justice Smith), mutaforma ecologisti dall’aria innocente ma con un brutto caratteraccio e scarsa empatia (la Doric di Sophia Lillis), enormi draghi rossi e obesi, non-morti eroicamente smemorati e insopportabili paladini infallibili, bellissimi, potentissimi e “altruistissimi” (Xenk Yendar, interpretato da Rege-Jean Page). Ma la missione dei ladri oltre al magico tesoro va ancora oltre al cucire le muffole perfette, Neverwinter, i traditori e il grande tesoro. Puntano a recuperare qualcosa di ancora più prezioso e raro da ottenere in qualsiasi mondo fantasy e non: la fiducia in una figlia rimasta da loro lontana per troppo tempo (Chloe Coleman), che ora ha scelto di vivere con altre persone.
C’era una volta, prima dei libro-Games di Lupo Solitario, prima dei primi videogames, prima di Hero Quest, prima del Signore degli Anelli versione Peter Jackson, del “dark fantasy” e prima di moltissime altre cose, il mitico gioco di ruolo con il manuale “rosso”: D&D. Creato nel 1974 da Gary Gygax e Dave Arneson, assidui appassionati e divoratori di narrativa fantasy, quel gioco da tavolo portò a una piccola rivoluzione nelle serate di molti grandi e piccini e si impose presto all’attenzione del grande pubblico, grazie a regole semplici da approcciare ma non banali da padroneggiare, tantissimi dettagli ricchi e approfonditi, dadi colorati, schede personali personalizzabili, pupazzetti opzionali ma graditi e soprattutto con una inesauribile propensione ad adattarsi ed espandersi, stimolando quel tesoro segreto e per alcuni insperato che si chiama “fantasia”.
Incredibilmente, i giovani che si incontravano di sera per una partita di D&D “sapevano” giocare con la fantasia, scoprendo a loro insaputa di saper recitare un ruolo, essere divertenti e parlare creativamente anche di qualcosa che non fossero le pagelle di calcio.
Si prendevano di base alcuni amici, due birre per dare un senso al fatto di definirsi secondo le regole un “party” (è umorismo, lo dico perché non tutti lo sanno capire...), un paio di dadi e foglietti di carta e si seguivamo le istruzioni dell’amico che aveva il librone rosso, che diventava il “Dungeons Master”, architetto e narratore di una storia pre-impostata o del tutto originale piena di sotterranei, luoghi incantati, elfi, nani, orchi, maghi, barbari, regni lontani, tesori, non-morti, draghi, una montagna di altra roba e…“statistiche”. Era in pratica ascoltare una storia di avventure come quelle che si raccontavano intorno al fuoco in epoca ancestrale, ma in cui i presenti erano i protagonisti e potevano interagire tra loro e il contesto circostante, insieme a una montagna di statistiche. Immaginate Cappuccetto Rosso che incontra il Lupo vestito come la nonna e se fa un tiro di dadi +3 ,stimolando la sua “fortuna” e “intelligenza”, lo smaschera, contrattacca con un paio di dadi extra e qualche “oggetto misterioso”, libera la nonna dopo un combattimento originale quanto folle e “tutti vissero felici e contenti”. L’oggetto speciale potevano essere delle pentole per far rumore e attirare il cacciatore nelle vicinanze, poteva essere una mela avvelenata o una “scoreggia esplosiva”: si potevano inventare seduta stante le cose più assurde attraverso un dialogo ispirato o folle tra i giocatori e un “master” e la storia prendeva forma e migliorava a seconda di quanto ognuno sapeva interpretare in modo convincente la parte di un barbaro nerboruto o di un astuto truffante. Si poteva fare tutto in D&D, con la giusta inventiva e umorismo, grazie anche alla magia delle statistiche. Ogni giocatore impersonava un avventuriero e seguiva insieme al gruppo uno o più scenari che costituivano una missione o “quest”. Ognuno aveva caratteristiche uniche che i più bravi gestivano con una buona interpretazione “premiata dal master con dei bonus”. Ogni personaggio oltre che grazie al tiro dei dadi si formava attraverso statistiche dovute al tipo di avventuriero (e si poteva fare di tutto, compresi i cattivi psicopatici), all’equipaggiamento comprato o trovato, alla fortuna ai dadi, alla ”costituzione”, all’esperienza di combattimento propria o collettiva. A fine missione, dopo ore di una storia che spesso finiva all’alba del giorno dopo, quando il master non connetteva più e sotto richiesta unanime si “tagliava corto”, si ripartiva per una nuova avventura la volta dopo, magari conservano gli oggetti magici, i tesori e i progressi di ogni personaggio, verso mondi e nemici sempre più potenti le cui inarrestabili armi erano decantate nei manuali per i più esperti. Era molto divertente, se giocato con le persone “giuste”.
Jonathan Goldstein e John Francis Daley, registi di questa pellicola, sono sicuramente stati dei ragazzini che da piccoli hanno giocato a D&D nel modo più scanzonato e divertente. Già autori brillanti che hanno collaborato al successo di pellicole come Piovono Polpette e al “rinnovamento” Marvel Disney di Spider-man, la coppia dirige qui l’adattamento di una storia scritta dallo spassoso Chris McKay, autore di Robot Chicken, Lego Batman The Movie e il prossimo Renfield con Nicolas Cage. Fin dalle prime scene la direzione del film appare chiarissima: prendere il classico gioco di ruolo D&D nato nel 1974 da Gary Gygax e Dave Arneson e replicare la perfetta partita spensierata di super cazzeggio tra amici adolescenti che “impersonano” avventurieri fantasy. Una partita divertente in cui si passa molto tempo a prendersi in giro a vicenda, piena di combattimenti e battute umoristiche, tantissimi effetti speciali, mostri giganteschi ma anche buffi e un finale “enorme” con i fuochi d’artificio come è giusto che sia. Chi quindi predilige o ha vissuto una “versione personale” di D&D più seriosa, cupa, dalla trama molto articolata e dal respiro “alla Peter Jackson”, quasi dark fantasy potrebbe non trovare qui tutto quello che vuole, ma non è escluso che possa comunque divertirsi con quei ragazzacci di Chris Pine, Michelle Rodriguez e compagni, esultare alla visione di labirinti, orchi, portali dimensionali e spade magiche, sorprendersi per come si dipana con originalità ed estro una scoppiettante trama alla Ocean’s 11 in salsa fantasy. Tutto il mondo di D&D risulta con una fotografia calda e solare, le ambientazioni sono variegate e intriganti, i personaggi agiscono tra loro in una dialettica gioiosamente sopra le righe come farebbero un gruppo di sedicenni alle prese con D&D, negli anni ‘80 come ai giorni nostri. Si possono trovare narrativamente in questo approccio ludicamente riuscito similitudini con serie animate di culto come Adventure Time, come con la recente serie La leggenda di Vox Machina. Davvero sorprendenti le trasformazioni del personaggio mutaforma interpretato da Sophia Lillis, spettacolare l’uso della magia per far fluttuare tutti in aria o aprire passaggi verso altre dimensioni, elaborate e sontuose tutte la sequenze di combattimenti che culminano nello spettacolare momento del colosseo. Quasi simile a una dissacrante avventura grafica della Lucas Film Games è tutta la “quest” sul recupero dell’oggetto magico, in grado di strappare alla platea più di un momento di ilarità nelle sue fasi più assurde. Tutti gli attori sembrano divertirsi un mondo a impersonare i rispettivi personaggi, conferendogli con sapienza tanto aspetti “ricercatamente sopra le righe” quanto una interessante umanità, guidata da un comune senso di amicizia e cameratismo. La loro euforia e personalità viene ben trasmessa al pubblico in ogni momento, così che alla fine della visione si avrebbe voglia di ripartire subito dall’inizio per soffermarsi su tutte le chicche narrative e visive che in prima battuta potrebbero essere sfuggite.
Il film di D&D è una autentica lettera d’amore a chi negli anni si è divertito con gli amici a passare le serate in compagnia del celebre gioco di ruolo in modo spensierato. La produzione utilizza un budget molto importante che permette di creare al meglio le incredibili atmosfere fantasy del filone Forgotten Realms ed offre un ottimo biglietto da visita sul potenziale di questa formula nella prospettiva di future espansioni (diverrà come il Marvel Cinematic Universe?), tra cui già si segnala una serie tv di prossimo rilascio. Molto affiatato e convincente nel ruolo tutto il cast, divertente una storia amabilmente girovaga tra le lande più assurde del fantasy alla ricerca di tesori e amori perduti, anche se nella parte finale si può segnalare una repentina “accelerazione degli eventi”. Forse per qualcuno questo “finale compresso” può essere visto come un “ulteriore omaggio” al modo turbolento in cui molte partite del gioco reale si concludono a fine serata, quando il Master stanco potenzia tutti i personaggi in ragione del grande scontro finale per poi mandare tutti a nanna. Nel complesso un film divertente, movimentato, pieno di umorismo, paesaggi da sogno e una costante azione a rotta di collo, che fa davvero venire voglia di trovare due amici, due dadi e una birra per una serata da sotterranei e draghi. Preparate i pop corn e godetevelo su uno schermo gigante.
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