giovedì 28 ottobre 2021

Ron, un amico fuori programma: la nostra recensione nel nuovo cartone animato distribuito da Disney

 


È compatto, resistente agli urti, componibile, completamente personalizzabile, ricaricabile, wireless, con internet veloce, parla, canta, suona, ce lo porti a scuola, ci fai le foto, ci giri i video da mandare sui social, studia con te, balla con te, ti porta le cose, può trasformarsi in veicolo: è “un amico”. L’amico 2.0. Lo produce la “Bubble”, quella grossa multinazionale che vende il Bubble-phone e del Bubble-Watch, e forse per il “Bubble-brand” costa un po’ caro. Per prenotarne uno c’è almeno una fila di attesa di tre mesi, è disponibile solo presso i Bubble-Point, è stra-esaurito. Ma quale bambino o bambina non può volere, per il suo compleanno, un amico come lui? 

In questo futuro non troppo lontano dal nostro presente il “Bubble-Bot” o “B-Bot” ha così cambiato i social che sono anche cambiati i modi di relazionarsi con gli amici. È letteralmente lui “che ti cerca degli amici” sulla base dei gusti e preferenze personali, istallandosi direttamente nelle scuole, dove ha una zona riservata per ricaricarsi proprio accanto alle classi.

È forse un po’ invadente per la privacy, ma è ormai letteralmente “nelle case e nella vita di tutti”.


Di tutti tranne uno, ossia il povero Barney. Di origini russe, che vive in una casetta un po’ sfigata con ancora il televisore a tubo catodico e la radio enorme con l’antenna analogica. Il babbo vende roba assurda di chincaglieria su internet, la nonna riempie la casa di maglioni e cibo etnico e per il cestino del pranzo gli prepara le zampe di gallina fritte. Barney vorrebbe un B-Bot per il suo compleanno, come tutti, anche perché senza un B-Bot la situazione sociale a scuola è diventata altamente complicata per lui, quasi al punto che non può partecipare ai gruppi di studio o pensare di poter giocare con qualcuno. La maestra è così preoccupata per la socialità di Barney che nell’intervallo invita i ragazzini a sedersi vicino a lui, nel cortile, sulla surreale (e abbastanza discriminatoria) “panchina della felicità”. In una scena devastante la maestra, per rendere più “accattivante” essere amici dei ragazzo, rivela a tutti che è appassionato di “sassi” e da allora Barney si becca tutta una serie di scherzi a tema “sassi”.  Visto l’andazzo, vista la malinconia negli occhi del bambino dopo una festa di compleanno in cui non si è presentato nessuno amico, (anche perché tutte le chat sono collegate “all’avere un B-Bot”), il babbo e la nonna di Barney un po’ ci provano, a trovargli un robottino. Ma il massimo che riescono a fare è dopo un paio di vani tentativi caricarsi in macchina un B-Bot da rottamare recuperato di straforo sul retro di un Bubble-Point, che il ragazzino accoglierà comunque con gioia chiamandolo “Ron” (in originale con la voce di Zack Galifianakis e in italiano con la voce di Lilo, che fa un ottimo lavoro). Poi quasi subito la gioia finisce, perché Ron appare parecchio danneggiato. Si collega al modem con la rapidità di un processore del 1998, riproducendo pure quello strano e inquietante suono metallico del telefono (che in sala profuma molto “di nostalgia”). Ha lo schermo che sfarfalla, non riesce a scaricare i dati dalla rete social per svariati errori di sistema, la batteria non si carica se non dopo ore, non si trasforma in veicolo. Tutto quello che dopo un fortunoso backup Ron ha memorizzato nel suo processore sono le voci del dizionario con la lettera “a”. Barney, sconfortato, lo sta portando direttamente al Bubble-Point per cambiarlo, quando sulla strada incontra dei compagni di scuola un po’ bulletti, che lo stanno massacrando da giorni, specie da quando hanno scoperto la passione segreta di Barney per “i sassi”. Ma a sorpresa il robottino sfigato Ron interviene e difende lo sfigato ragazzino. Lo fa proprio perché il suo sistema operativo è incompleto per il backup parziale e non sottostà per questo ai classici vincoli di programmazione dei robot, primo tra tutti, come Asimov insegna, il non attaccare gli esseri umani. Così Barney decide infine di non portarlo indietro al negozio e colmare magari col “fai da te” i problemi di programmazione di Ron. Iniziando con l’insegnargli cosa significhi per lui la parola “amico”. Sarà l’inizio di una amicizia più analogica che digitale, in un periodo in cui ormai tutto è fin troppo spinto verso “il futuro”. 


“Che cos’è un amico” è la bellissima e profonda domanda sulla quale si fonda questo ottimo e intelligente ultimo lavoro di Twentieth Century Studios e della londinese Locksmith Animation (un team formato da esperti della computer grafica che hanno co-realizzato con la  Aardman gli ottimi Pirati! Briganti da Strapazzo e Il figlio di Babbo Natale), distribuito nelle sale da Disney. 

Che cos’è “un amico” nel 2021? È uno che ti segue su Instagram e con cui condividi la passione per la Nutella e The Walking Dead? È uno che crea e carica i video migliori per intrattenerti sulla sua pagina di YouTube? È uno con cui giochi online e scambi le opinioni sul forum dei fumetti? 

È di fatto, seguendo la tesi del film, sempre più difficile che un amico sia “la persona che hai fisicamente davanti”, quella con cui giochi nello “stesso spazio”. I bambini della pellicola, al di fuori del protagonista “fuori dal mondo”, sembrano costantemente intenti a “fare gli attori” davanti al loro B-Bot per ottenere dei followers online, vivendo la frustrazione di non essere sempre all’altezza e per questo “perdere amici virtuali”. La diabolica Bubble svela senza troppo mistero che il “robottino amico” serve a profilare i dati dei ragazzini per vendergli dei prodotti, l’algoritmo dei B-Bot in una scena veloce quanto spietata dimostra che due persone non possono diventare amici, anche se sono compagni di classe, perché non hanno le stesse preferenze “merceologiche”. La tesi del film è che la tecnologia stia costruendo un mondo di persone sempre più sole e narcisisticamente chiuse in se stesse e forse la vera rivoluzione sarebbe riportare la tecnologia a un ruolo meno centrale nella nostra vita. Magari spingendo i ragazzini a incontrare un amico per una pizza, piuttosto che parlare con lui in chat a soli due isolati. Magari spingendo i ragazzi a preferire un paio di amici veri rispetto a preferirvi centinaia di amici virtuali, ma solo meccanicamente pronti a mandare like o dislike, cambiando opinione dal giorno alla notte, giusto per idolatrare o deridere con un click (la scena del film della “ragazza pupù“  è davvero emblematica di questo concetto) in virtù dell’intrattenimento che “un amico” gli offre. 



Il succo del film non è però un manicheo “era meglio quando si stava peggio”, perché Ron non è un film contrario alla tecnologia e sa anzi esporre bene anche i molti vantaggi che un uso oculato della tecnologia può portare nella costruzione di mondo migliore. I robottini sono impegnati nelle forze dell’ordine, aiutano gli anziani, rendono meno faticosi i lavori di casa e permettono di fatto una comunicazione più semplice. Ma Ron è soprattutto un film sui “giusti confini” che dobbiamo cercare di ottenere per non perderci troppo nel mondo virtuale, ri-definendo il ruolo delle persone che chiamiamo “amici” in un’ottica maggiormente relazionale.

La pellicola riesce così bene un questo intento che andrebbe fatta vedere nelle scuole, anche per il linguaggio semplice e chiaro che usa nel maneggiare questi temi.

Visivamente è molto colorato, l’azione è sempre movimentata e la sceneggiatura riesce a regalare momenti pieni di azione, a  volte  malinconici, ma anche con tantissimo umorismo. La relazione che si instaura tra Barney e Ron è incredibilmente matura, sfaccettata e “in continua evoluzione”, descrivendo in modo limpido e molto originale quello che per un ragazzo di oggi dovrebbe essere  la costruzione sana di un rapporto umano. 

Dal trailer può apparire come un prodotto destinato ai più piccoli, ma la pellicola ha molto, molto di più da offrire e riesce a incantare davvero spettatori di tutte le età. Da segnalare l’ottima prova di Lilo nel doppiaggio del robottino Ron. 

Ron: un amico fuori programma è una piccola gemma che non ti aspetti, un film che con il passaparola può diventare un piccolo cult, anche in ambito educativo.

Un film che speriamo possa crescere e avere successo con il passaparola, per avere tutto il riconoscimento che si merita.

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