(Sinossi ingannevole): France de Meurs (Lea de Seydoux) è la prima giornalista di Francia. Svetta su ogni rotocalco e
cartellone pubblicitario, sembra che abbia una tresca con il premier Nicolas
Sarkozy, fa milioni di ascoltatori con la sua trasmissione sulla tv nazionale.
È in prima linea a moderare i dibattiti tra i principali esponenti politici. È
in prima linea quando deve realizzare un servizio come inviata di guerra, dove
cadono le bombe. È in prima linea quando è importante mettere al primo posto la
famiglia, magari offrendo qualche comparsata tv per il nuovo libro a quel bolso
e scontento scrittore che è Fred (Benjamin Biolay), suo marito. Abbastanza
spregiudicata nel suo lavoro, vestita sempre in modo impeccabile, Francia ha un
sorriso che scioglie i cuori e può tenere testa a chiunque grazie a una
corazza emotiva a prova di bomba, sostenuta in tutto e per tutto dall’umorismo
acido dell’amica/agente Lou (Blanche Gardin).
Così un giorno Francia sembra far
arrossire Sarkozy facendo orgogliosamente la “stronza”(ipse dixit) a un
evento pubblico (possibile che sia il “vero” Sarkozy a interagire su schermo
con la Seidoux?). Il giorno dopo la giornalista “insegna” sul campo di
battaglia di un paesino arabo distrutto, a dei contadini ribelli, come devono
comportarsi davanti alla telecamera per apparire “più eroici”. Il
giorno dopo, il terzo giorno, è in abito principesco a parlare tu per tu nella
tavolata delle gioiose mega corporazioni che parlano della “fine degli Stati” e
della “gratitudine morale mondiale che porterà il capitalismo”. Poi arriva il
giorno successivo, quello in cui deve andare da ospite in un altro programma tv
che non le piace, e accade l’imprevisto. La mattina Francia è in macchina e ad
un incrocio tampona un ragazzo sullo scooter. La botta e la paura ci sono
tutte, ma è un incidente per il quale il ragazzo alla fine si riprende presto,
con una prognosi di tre mesi per una lussazione alla gamba (non che non sia
una brutta cosa, intendiamoci). Lo scontro è avvenuto mentre i veicoli
erano quasi fermi, il pronto intervento di vigili e ambulanza sono stati subito
allertati, zero contestazioni delle assicurazioni o problemi legali. Solo che
quando Francia esce dall’auto, per soccorrere l’incidentato, ecco che
compare un tizio che la riconosce e con un cellulare le scatta una foto. In un
attimo la nostra eroina di Francia diventa sulla rete una “pirata della strada”
e la sera, nel programma tv in cui Francia è costretta a partecipare, arriva
prontamente una domanda sull’incidente avvenuto poche ore prima. Francia, dopo
aver detto un paio di parole, piange. Piange distrutta e piange in tv,
sentendosi per una volta vulnerabile, sola, nuda. Una condizione fisica ed
emotiva nuova, quella imposta all’improvviso da quella maledetta “ghiandola
lacrimale”, che ferisce Francia dal profondo, la destabilizza. Decide di andare
a trovare in ospedale il ragazzo incidentato, poi va a casa sua con un assegno
da 40.000,00 euro per tutti i danni che sente di avergli arrecato, poi gli
compra un nuovo motorino, poi probabilmente, come sottolinea la acida Lou,
vorrà invitarli tutti a Natale da lei, incidentato e parenti. Ma questo non
basta a farla sentire meglio (e sembra che la sua magnanimità sia stata solo
marginalmente recepita dalla stampa) e quando, dopo una trasmissione politica
difficile, un ospite particolarmente bellicoso dice che la trova “attraente e
sensibile”, France impazzisce e decide di andare a recuperare la calma in
Svizzera, presso una clinica per curare lo stress ai vip grazie alla pace delle
montagne. Ma il suo percorso di “umanizzazione” prosegue imperterrito e le farà
presto incontrare, proprio in Svizzera, un professore di latino per cui
si sente attratta ma che non ha ma visto la tv e quindi non ha mai sentito
parlare di lei (Emanuele Airoli). Riuscirà Francia a trovare un nuovo
equilibrio nella sua vita?
O arriverà prima a versare 50.000
lacrime (Nina Zilli, cit.)
(Una lacrima sul viso, spremuta con
forza): Messa così, France potrebbe sembrare quasi una commedia sofisticata francese interpretata da una buffa Juliette Binoche vestita Armani, con Daniel
Auteuil a fare la parte del marito scrittore borioso e Omar Sy nei panni
dell’insegnante di latino. Magari potrebbe sembrare pure una commedia sulla
edonistica fragilità emotiva delle persone di potere, sulla linea di film
come Benvenuti a casa mia di Philippe De Chauveron. Ma questo Francia di
Bruno Dumont vuole “giocare pesante”, magari strizzando l’occhio (e
amputandoselo, alla fine) guardando ad altre opere francesi, quelle estreme del
“body horror”, come Irreversibe di Gaspar Noe (guardasi la scena
dell’incidente d’auto prolungato all’infinito e inesorabile verso la fine del
film) o Martyrs di Pascal Lauger (guardasi le scene di “estasi” quasi
mistica, a telecamera fissa, sul volto della protagonista). Ma il “body
horror” arriva solo come onda emotiva (lacrimale, appunto), quasi a reazione, a
“distruggere gli argini” di una esistenza, fatta di schemi e routine,
rappresentata nella narrazione con cicliche ripetizione e tic (il ripetere le
battute, il ballare prima delle dirette, il mantra “co co co” con l’amica Lou)
simili a quelli innescati da Sofia Coppola in Somewhere. In Somewhere la
Coppola metteva sulla scena le routine di vita e lavoro di un attore ed è
interessante come routine simili riescano qui a sposarsi bene anche per la vita
di una giornalista tv, di fatto rappresentata più come un’attrice che una
cronista. Abituata a ridere e piangere “sulla scena” di un’inchiesta, Francia di
colpo si trova incapace di scegliere tra riso e pianto nella “vita vera”, fuori
dal ruolo (infranto) della super-giornalista. È affascinante come le lacrime di
Francia nel corso del film si “radicalizzino nello schema”, diventino una parte
calcolata della sua “maschera di scena”, della sua quotidiana routine
espressiva lavorativa. Ed è qui che il film si fa ancora più “body
horror”, perché Dumont pretende dalla Seydoux spremute di lacrime a comando. Il
personaggio di France “deve” piangere, trasformare in automatico uno stato
emotivo a comando, seguendo i ristretti tempi televisivi, perché al pubblico
“piace”. La scena si ferma sul primo piano, al centro gli occhioni della
giornalista, nessuno se ne può andare via, telecamera e spettatori compresi,
fino a che gli occhioni non gocciolano. Spesso arriva in pochi secondi, qualche
volta serve un minutino, ma la performance “emotiva” dopo le prime due volte
appare come il trucco del Mangiafuoco al circo, una surreale ginnastica
muscolare. straniante ma affascinante, perché le lacrime della diva vengono
accolte nella pellicola come le lacrime di una madonnina che è passata dal
sorriso della Vergine di Lourdes, il suo primo “talento”, alle lacrime
della Signora di Fatima della “nuova svolta”.
Ma alla base delle “prime lacrime”,
quelle “vere”, cosa c’è davvero? Francia piange per una umanità ritrovata che
buca la corazza di austera superiorità o piange per una grandiosità
narcisistica che perde i pezzi? A Dumont importa molto, al punto da far girare
tutto il film intorno a questo risvolto emotivo, testando quasi
“scientificamente” quando a Francia imposti di apparire una donna di potere o
una donna che “può cedere alle emozioni”. Per fare questo il regista allestisce
un autentico tour de force emotivo inesorabile e crudele, che spinge minuto
dopo minuto la protagonista verso drammi esistenziali, privati o legati al
lavoro, sempre più grossi e distruttivi. Drammi introdotti quasi sadicamente,
con puro gusto per il black humor, dal personaggio di “Lu”, che alla fine
di ogni “dramma” ripete sinistramente: “Dai, non può andare peggio! Cosa
potrebbe andare peggio??”. In questo sadico e satirico rincorrersi di
catastrofi France assume aspetti ironici simili a quelli de La casa di
Jack di Lars Von Trier, dove i personaggi sono serissimi, si comportato
seguendo dinamiche solide, magari coerenti, ma di fatto stanno vivendo
dentro una sorta di barzelletta cattiva senza uscita.
(Finale) France è un film surreale,
scorretto e sulfureo, ma comunque divertente nel suo modo continuo di imboccare
strade diverse e “sbagliate” al solo scopo di martoriare una protagonista
troppo sicura di se stessa.
Certo France è un film spietato nei
confronti di chi si occupa di informazione per lavoro, che gode a metterle alla
berlina in modo chirurgico chi abusa di iperboli e morali per “vendere
storie” delle quali, a microfoni spenti (vedasi nel film una scena
particolarmente crudele sul discorso “microfoni”) non gli importa oltre che per
la gioia dello scoop. Ma la satira è anche questa ed è giusto che “tocchi a
tutti”, prima o poi.
France è anche un film difficile da
incasellare e per questo pure difficile da amare “tout court” per chi si aspetta
un film più canonico, composto, lineare. Lea Seydoux è un'attrice
premiata per quella bomba generazionale di La vita di Adele, ha
lavorato per Nolan, per Scott, Allen, Lanthimos, Gans, Tarantino. È stata
l’ultima bond girl dello 007 di Daniel Craig, per gli ultimi due film! È
bellissima e molto brava. In France è chiamata a un ruolo “matto”, più di
muscoli facciali che di cuore, che può spiazzare, può irritare, può creare
barriere emotive con il pubblico. La Seydoux impersona un personaggio
che indossa per sopravvivere una maschera statica, che si sforza di comandare
artificialmente anche le emozioni più sottili. Un personaggio che non può
essere empatico nonostante sforzi ogni suo muscolo facciale e ghiandola per
sembrarlo. Non è un ruolo facile, non riesce sempre a comunicare tutte le sue
sfaccettature, ma è un grande ruolo. Un po’ più meccanico il resto del
cast è abbastanza in disparte, svolgendo bene un ruolo per lo più di contorno,
con l’eccezione della causticissima Blanche Gardin, che dà vita a un
personaggio davvero sgradevole, “buffo nel modo sbagliato”, ma anche
importantissimo come “specchio” della protagonista, davvero riuscito.
Visivamente è molto interessante,
sposando una fotografia di stampo televisivo (i reportage) a paesaggi
rarefatti (come la clinica Svizzera, come la casa finemente arredata con
enormi quadri) quanto simbolici (il nevralgico traffico parigino intorno all’Arco di Trionfo, simile a un occhio), quanto plastici (il
percorso montuoso su cui vanno il marito e il figlio, che sembra quasi
richiamare i toni caldi di una pubblicità ma nasconde ben altro). Il ritmo è un
po’ lento, ma se si entra nella giusta prospettiva non ci si addormenta. La
colonna sonora non si imprime particolarmente in testa, ma è funzionale.
Francia è un film matto e come tutti i film matti dividerà il pubblico tra chi lo amerà, chi lo detesterà e chi lo detesterà per sentito dire. È un film iperbolico e se non amate le iperboli vi farà venire dei bei mal di pancia ad ogni “alzata di tiro”. È un film in cui è difficile mettersi nei panni della protagonista, che dura anche due ore e venti, che fa satira (e la satira non piace a tutti). Io vi consiglio di farci un giro, perché mi sono divertito e perché amo le cose matte e surreali. E voi amate i film matti e surreali?
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