La storia è ispirata a fatti realmente
accaduti intorno al 1300. Siamo in un medioevo europeo fangoso, opulento ma
poco eroico, dall’aria autunnale, (fotografato a tinte oscure dal grande
Dariusz Wolski, che con Scott abbiamo apprezzato particolarmente in Prometheus)
pieno di cavalieri in armatura e in cui i combattimenti sono all’ordine del
giorno. Siamo lontani anni luce dal sogno arturiano e dall’amore cortese, è
tutta una questione di tasse e terreni. È in una terra francese difesa e
onorata col sangue, tra sontuosi castelli e (tanti) brulli campi di battaglia (ma resi magnifici dalle scenografie di Arthur Max, che Scott si porta dietro
da Le Crociate) che nasce, germoglia ed esplode l’odio tra due uomini che “un
tempo si dicevano amici”, Jean de Carrouges (un massiccio Matt Damon) e
Jacques Le Gris (uno sfuggente Adam Driver). Prima sodali scudieri del re di
Francia Carlo VI (un giovane Alex Lawther che conferisce al personaggio in
parti uguali ingenuità e sadismo), con il tempo sempre più distanti e invidiosi
delle rispettive fortune, infine nemici, uno contro l’altro, “duellanti” fino
alla morte, in una giostra in cui è in gioco l’“onore”. Un onore calpestato e
vilipeso da anni, tra infiniti rancori su “chi è più nobile” tra i due, ma che
esplode in guerra per una donna, la bella Marguerite (resa complessa e
sfaccettata da una straordinaria Jodie Comer). Non una guerra “per
poterla amare” purtroppo, quanto una guerra “per averla e basta”. Per il rude
Jean de Carrouges (Matt Damon), indomabile guerriero sui campi di battaglia,
Marguerite è una “sposa comprata”. Poco più di un cavallo da monta per darsi un
erede e un castello, riabilitando un nome e fama decaduti “per fortune
avverse”. Non gli interessa conoscere il mondo interiore della ragazza, non gli
interessa nemmeno badare al castello e alla corte: De Carrouges vive per stare
su un campo di battaglia a spaccare teste per la sua gloria, anche se
l’irruenza ne fa spesso un perdente. Marguerite per lui deve essere fedele
incondizionatamente, ne va della sua discendenza di sangue. Per il subdolo
Jacques Le Gris (Adam Driver), combattente diventato presto uomo di fiducia
dell’ingiusto e vizioso cugino del re, Pierre d’Alencon (che Ben Affleck rende
particolarmente dionisiaco), i privilegi di corte superano di gran lunga il
fascino dei campi di battaglia. Lui ha studiato, lui è altolocato, lui ha la
Chiesa dalla sua parte. Marguerite diventa il suo sogno proibito: una donna
bella e forse intelligente “quasi quanto lui”, amante dei libri “quasi quanto lui”
e delle lingue straniere “quasi quanto lui”. Una donna con cui poter enunciare
in tedesco le storie di Sigfrido e rimembrare il dramma di Lancillotto e
Ginevra. Marguerite è per lui un sogno e pertanto, narcisisticamente, pretende
di stuprarla a piacimento mentre il marito di lei è in una delle sue mille
battaglie, senza che Marguerite si ribelli o che il marito si ribelli, in
quanto lui più nobile d’animo, più acculturato, più vicino alla chiesa e
potente nella gerarchia del regno. Da quell’atto di violenza che è più una
“concessione di reciproco affetto”, Le Gris ne è convinto, la donna dovrebbe
diventare con il tempo sua amante senza battere ciglio, accettandolo magari
anche solo per abitudine, nel silenzio, fino ad amarlo
incondizionatamente.
Ridley Scott nasce come il regista dei
Duellanti, del 1977, una ballata action sull’amore e odio infinito tra due
uomini, che si perpetua attraverso il tempo e i confini geografici. Oggi in
qualche modo Scott torna a quel concetto di guerra infinita, a tratti simile
all’amore, con questo “Ultimo duello” che cita i “suoi” duellanti, ma porta su di
sé anche quanto Scott ha raccolto nei 44 anni di carriera.
Ogni tanto Scott ci porta su un
campo di battaglia, spesso seguendo le catastrofiche imprese di De
Carrouges, ricordandoci le frecce infuocate del suo Robin Hood, gli
scontri corpo a corpo violenti, scomposti e “pesanti” del Gladiatore, le file
degli eserciti schierati sotto il sole e il sudore delle sue Crociate. Ma
l’azione dura poco, perché Scott vuole qui volare altrove e raccontarci
una storia diversa, quasi di matrice giudiziaria, seguendo una trama che va a
comporsi come un puzzle. Prima della giostra finale, divisi in capitoli,
assistiamo agli antefatti, raccontatici da un montaggio che segue il punto di
vista dei vari personaggi. Prima Jean de Carrouges, poi Jacques Le Gris, infine
la prospettiva di Marguerite. Scott cerca di costruire e incastrare
progressivamente le tre prospettive, costruendo tassello per tassello la
completa storia finale, mente noi, come spettatori, diventiamo così gli
unici depositari della tragica realtà nel suo complesso. È attraverso il
montaggio ardito e questo gioco di specchi e prospettive che The Last
Duel assume il fascino quasi di una tragedia shakespeariana e Scott riconferma
di nuovo di essere uno straordinario narratore per immagini.
L’ardita struttura narrativa a puzzle riesce a tenere desta l’attenzione dall’inizio alla fine. Gli attori danno voce e volto a personaggi sfaccettati, tragici in quanto imprigionati in ossessioni che ne castrano ogni sentimento. L’azione, quando infine emerge, deflagra con tutto il suo realismo e violenza, andando a costruire sulla scena straordinari quadri medioevali in movimento. The Last Duel è uno spettacolo affascinante e raffinato, sontuoso quanto brutale, in grado di porsi come un’opera senza tempo. Un nuovo grande regalo di Ridley Scott per i suoi numerosissimi fans e un’opera che ancora una volta dimostra l’infinita bellezza del cinema.
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