lunedì 11 ottobre 2021

Con tutto il cuore - la nostra recensione del nuovo film di Vincenzo Salemme

 


Ci troviamo a Napoli, al giorno d’oggi. Lo chiamano “o barbiere”, perché dopo averti ammazzato ti fa personalmente barba e capelli. È riverito come El Chapo, ha un enorme potere sul territorio, è il boss “che mette paura”. Ma è anche un ragazzo ancora giovane, l’orgoglio e l’amore della madre Donna Carmela (Cristina Donadio, la Scianel della serie Gomorra), che è solita ripetergli: “Sei così bello che ti sposerei io”. Ma negli anni si è fatto troppi nemici, O Barbiere, come “Mangiacarne”, un boss rivale che gliel’ha giurata e ha preparato un agguato davanti alla tripperia dove è solito mangiare. O Barbiere rimane ferito a morte, ma il suo cuore sopravvive, può essere trapiantato. Per Donna Carmela è il segno che il figlio non è davvero morto e può “risorgere”, vendicarsi, tornare a regnare su Napoli. Così la donna fa un patto scellerato con un medico cardiologo che le deve qualche favore (Maurizio Casagrande): il cuore di O Barbiere sarà trapiantato solo su un uomo forte e risoluto da diventare un boss. Con tutte le difficoltà del caso, perché chi è in cerca di un trapianto di cuore “non se la passa poi bene e in salute”, il medico ricattato accetta e chiede all’infermiere di spulciare sulla lista delle persone in attesa di trapianto il profilo più idoneo. Salta fuori quello di un pugile quarantenne, è l’ideale. Ma per un errore sul nome, per via di una assonanza, arriva sul tavolo operatorio Ottavio Camandoli. 

Ottavio Camaldoli (Vincenzo Salemme) è un insegnante di greco e latino sulla sessantina, carattere mite e zero muscoli. Ma ormai l’operazione si deve fare e il cuore del giovane boss va a lui. Ottavio riprende la sua vita come prima, subendo giornalmente continue vessazioni in quanto “onesto e fesso”, fino a che Donna Carmela non lo riceve a casa e non parlando con lui, ma direttamente al “cuore di suo figlio”, gli dà il bentornato. La famiglia di O Barbiere gira un video con al centro Ottavio, promosso a nuovo membro del gruppo, che subito diventa virale per tutta Napoli. Le persone che prima vessavano e deridevano Ottavio ora sono riverenti e gentili, perché il timido, onesto e malinconico insegnante è per la prima volta visto come una persona “di cuore”. Tiene un cuore che è quasi come “tenere e’ palle!!”. 


Vincenzo Salemme, attore, sceneggiatore, regista e produttore, trasferisce nuovamente sul grande schermo uno spettacolo del suo teatro popolare. Lo fa con lo stile e ironia di sempre, insieme al cast di attori e amici ricorrenti in tutti i suoi lavori e con nel cuore il pubblico che va a vederlo dal vivo. Se a Milano ci sono i Legnanesi di Felice Musazzi, a Napoli c’è il teatro di Salemme ma la tradizione e lo spirito sono gli stessi. È un teatro di bonaria critica sociale, fatto di giochi di parole e buoni sentimenti, dove ogni quadretto che compone la storia è uno sketch a sé. Uno sketch leggero. Allora a fianco della storia principale, che dovrebbe seguire idealmente i binari di un surreale film di vendetta e “cuori ancora vivi”, si susseguono come di consueto siparietti di siparietti. Siparietti sui luoghi comuni che però disinnescano un potenziale narrativo interessante. Ecco allora in questo ultimo film i siparietti sulla colf straniera travestita “di Pozzuoli”, sull’infermiere che “fa l’infermiere ma non è infermiere” e guida un carro funebre, sulla scuola a cui “non servono più le lingue morte” ma “fa figo dire che si fa il liceo classico”. Volevamo più “pappa”, per citare un personaggio-chiave del racconto. Lo scambio dei cuori diventa solo per un attimo uno scambio di vite, il fatto che Donna Carmela (migliore interpretazione) si rivolga al “cuore del figlio” è uno spunto geniale, ma che non si vuole approfondire (o forse non si può approfondire?). Si arriva a un passaggio onirico che è forse il momento più interessante del film, quello che potrebbe farlo decollare come un Johnny Stecchino,  ma che rimane, purtroppo, solo una parentesi, ancora potenziale inesploso. Il personaggio della Autieri agisce anche lei da “normalizzatore”, allontanando il sogno impossibile (ma che sarebbe stato davvero interessante) di una relazione tra i personaggi di Salemme e Cristina Donadio. Con tutto il cuore poteva fornire una interessante e sagace critica al “fascino del mondo criminale”, ma non riesce a graffiare. Come spesso accade in Salemme, manca forse la forza o la voglia di uscire dai binari rodati e ben conosciuti  del suo teatro popolare per scatenare appieno le potenzialità del cinema, magari riscrivendo in parte il lavoro originale. Per un istante sembra davvero possibile arrivare a Johnny Stecchino, ma dura troppo poco e quello che rimane è per lo più una barzelletta sagace recitata da Salemme sui titoli di coda. Una barzelletta, surreale e sagace, a base di persone cremate e mangiate, che se fosse stata trasposta in immagini sarebbe stata degna dei Monty Python e magari poteva essere una geniale e surreale parte del film. Ma alla fine è solo una barzelletta che rimane “narrata”, come recitata a teatro.

Si esce contenti dalla sala, se si ama il teatro di Salemme. È un po’ come rincontrare un amico e stare con lui un paio d’ore, tra battute di spirito e un po’ di malinconia. Per chi non può andare a teatro a vedere gli spettacoli di Salemme è un buon modo per approcciarsi al suo teatro popolare gentile e accogliente. Forse la prossima volta Salemme asseconderà chi ama di più il cinema e confezionerà un film che “sappia di più di cinema”, qualcosa di più esplosivo e meno spezzettato in gag recitate. Ma i suoi spettatori continueranno a voler bene al regista napoletano e al suo modo garbato e fuori dal tempo di raccontare storie, anche se rimarrà immutato. 

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