giovedì 30 luglio 2020

Rajel - la web serie con la partecipazione del rapper Mahmood che ci racconta il mondo dei giovani italiani di origine straniera


-Sinossi: Raf (Ramzi Lafrindi) è un ragazzo di origine marocchina di nuova generazione che vive una vita tormentata fino a che viene scelto da una produttrice italiana (Annapaola Trevenzuoli) per essere protagonista di un progetto televisivo sull’integrazione. RAF è il protagonista, conosce i copioni ma non gli piacciono, per lui gli sceneggiatori non riescono a cogliere i veri problemi degli stranieri in Italia. Per questo si scontra spesso con il regista (Fabio Banfo) e la serie procede lenta, tra insulti e cambiamenti dell’ultimo minuto. Fatima (Dounia Filali)  è una giovane attrice, anche lei di nuova generazione. Nello stesso progetto ha un ruolo più marginale, ma non ci sta al fatto che Raf remi contro la produzione, crede che quello che stanno facendo sia per lo meno una occasione di lavoro che non vuole sprecare. 



-Storia del nome di una web serie: “Rajel” è una parola del mondo arabo che può essere facilmente traducibile come “uomo”, ma che suona musicalmente differente a seconda dei paesi in cui è pronunciata, variando a sua volta la portata del suo significato intrinseco da zona a zona. In Marocco “Rajel” significa così “essere diventato un uomo”, nella accezione di una persona “adulta“, “indipendente”, “responsabile“. Una parola apparentemente semplice come “uomo” può nascondere sempre significati “nascosti“, intrinsechi, a seconda della cultura in cui è nata e abitualmente pronunciata. C’è sempre una perdita di significato, un “Lost in translation” per dirlo come in un bel film di Sofia Coppola con Bill Murray, quando due persone di culture diverse si incontrano e pensano di comunicare tra loro usando in modo diretto, “semplice”, parole ritenute comunissime anche per un bambino. Nasce l’esigenza di un compromesso sul significato che può realizzarsi solo quando le due culture arretrano, comprendono il diverso punto di vista reciproco sul termine, giungono a una definizione comune. È in questi casi di “incontro felice” che si può parlare di multiculturalità. Laddove questo non si realizzi la gente utilizzerà Google translator nell’illusione che ogni parola straniera corrisponda al 100% alla propria definizione di una parola simile, venendo a considerare infine che gli stranieri “sono strani nel modo di comportarsi e vestirsi“, “non vogliono integrarsi, sono troppo chiusi” o peggio “fanno paura”. Questi fraintendimenti attecchiscono poi a ogni livello della società, creano barriere culturali invalicabili, separano “noi da loro”, al punto da farci immaginare nell’altro un facile nemico che vive vicino a noi, troppo diverso da noi, che probabilmente ci odia. È in questo terreno di coltura che trovano radice le “radicalizzazioni”, ossia il sentimento che spinge nello stare fermi sulle proprie convinzioni, considerare la propria cultura di origine come superiore, più morale, più giusta, l’unica che dovrebbe esistere. È così che nascono le guerre.
Si parla nel dibattito odierno della sociologia di una seconda generazione, o meglio di una “nuova generazione”, di giovani stranieri di recente trasferitisi in Italia con la propria famiglia o arrivati tramite i canali dell’adozione o nati in Italia da famiglie straniere. Sono loro i più esposti alle incomprensioni che nascono dall’essere figli di culture diverse. 


-L’arte di saper mettere insieme gli uomini di culture diverse passando per la musica e la rete: può essere una buona medicina per affrontare un mondo sempre più “melting pop” incontrare davvero le  persone di cultura differente, parlarci e condividere gli stessi problemi e passioni. È per questo che
Rajel
Mahmood, nato da madre sarda e papà egiziano, premiato a Sanremo, è stato scelto come “testimonial” della web serie
A creare la sigla della serie è stato invece chiamato il rapper Maruego, nato in Marocco e cresciuto a Milano. Chissà se le web-serie riusciranno a  parlare di integrazione in un modo schietto come sa fare solo il rap. 
-La voce dei giovani:
Ramzi “Ramzi” Lafrindi è uno youtuber molto bravo, uno stand-up comedian che si occupa attivamente e con originalità di tutte le particolarità, stranezze e desideri che scaturiscono dal trovarsi a essere un ragazzo di nuova generazione. Il suo Raf è un fuoco polemico che non riesce a trovare pace, in cerca di qualcuno che voglia davvero ascoltarlo, al di là del bonario e paternalista “cercare di capirlo” come “minorenne straniero in condizione difficile”. 
Dounia Filali, timida ma decisa, dà corpo a Fatima, la voce della ragione e della moderazione. Non è un personaggio fatalista, è ben piantata per terra e non si illude sulle difficoltà di essere guardata come una straniera.
I due dialogano insieme frenetici alternando parole in italiano e in marocchino, attraversando una periferia fotografata quasi in bianco e nero suggestiva quando fredda. Quando non sono in questo dialogo/scontro, affrontato con onestà e disillusione, i giovani si ritrovano con gli adulti “sul set”,  che li adulano e criticano in modo quasi uguale, con lo stesso trasporto verso di loro. Si parta di integrazione in una scuola, ma non cercando il realismo di opere come
-Conclusione: di 15 minuti l’uno, che sono stati rilasciati a cadenza settimanale dal 9 luglio, è un’opera che nasce dall’incontro di molte persone e culture, un lavoro soprattutto realizzato da giovani desiderosi di far conoscere il loro punto di vista, da “esperti per esperienza”, su quale sia il reale stato della inclusione sociale in Italia. 
È un lavoro molto interessante, originale e ben confezionato, che si impone un obiettivo ambizioso e speriamo lo raggiunga. Come speriamo nel futuro di vedere ancora più opere di questo tipo a favore dell’inclusione sociale.
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