mercoledì 8 luglio 2020

Gli anni amari - la nostra recensione del film di Andrea Adriatico sulla vita di Mario Mieli, con interprete un grande Nicola Di Benedetto



Era eccentrico, eclettico, ironico, rivoluzionario, vanitoso e forse troppo fragile. La sua vita è durata un soffio come una candela che brucia da due lati, come per molte stelle del rock. 
Mario Mieli ha diretto giornali indipendenti, si è fatto promotore di reti internazionali di contatti, ha cercato pioneristicamente di innovare il dibattito politico in nome della parità di genere, ha creato un nuovo modo di fare comunicazione sociale utilizzando prima la televisione e poi il teatro. Ha provato a scavalcare il Muro di Berlino, ha sviluppato, legando insieme la filosofia e la psicanalisi, una teoria innovativa su come la società impedisca agli uomini di essere liberi. Come molti rivoluzionari fu molto amato e adorato e parimenti odiato, al punto che qualcuno si spinse a demolirlo personalmente e intellettualmente, con critiche di una ferocia assoluta che puntavano il dito sul fatto che fosse troppo “libertino”, sul fatto che fosse “gay”.
Non un omosessuale qualsiasi, ma uno dei fondatori del Movimento Omosessuale Italiano, cui oggi è dedicato il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli di Roma. Circolo che seguendo gli ideali di Mieli si occupa da anni di promuovere non solo i diritti delle persone LGBT, ma persegue anche  il rispetto dei diritti civili di ogni essere umano e la realizzazione della parità di genere. Inoltre promuove occasioni di socializzazione, è sede di gruppi di auto-aiuto, telefoni di sostegno per le fragilità. Dal 1989, per primo in Italia, ha creato un servizio di assistenza domiciliare per malati di AIDS formato da psicologi, assistenti sociali e volontari. La festa annuale con cui il Circolo si autofinanzia è il celebre Muccassassina, legata da sempre dall’ex parlamentare Vladimir Luxuria, prima persona transgender a essere eletta al Parlamento Europeo. 


Era difficile “ridurre in film“ una figura complessa e importate come Mieli. Adriatico sceglie un attore giovane molto bravo come Di Benedetto e con gli sceneggiatori (Verasani e Casi) racconta un Mieli intimo, descrive il suo mondo emotivo. Dagli anni del liceo in poi, fino alla fine, concentrandosi sul suo rapporto con la famiglia, raccontando il suo edonismo, la sua vita fatta di un continuo inseguire amori sfuggenti, la sua lingua arguta e tagliente, la capacità di parlare senza filtri e in nome di altri, l’entusiasmo. Non tutto è una festa, Adriatico rappresenta in modo spietato quanto umano le difficoltà incontrate da Mieli nel fare ascoltare la propria voce in un mondo concettualmente distante, avverso e “allergico“ al tema di una sessualità. Ma al contempo allega la “prova televisiva”, ricostruendo i filmati d’epoca che attestano come Mieli fosse riuscito a portare i temi a lui cari in Rai e poi a teatro. 
Scegliendo un ordine cronologico il film, usando spesso parole tratte dalla autobiografia postuma di Mieli, Il risveglio dei faraoni, parte da un giovane Mario Mieli che vive a Milano negli anni ‘70. La sua è una  ricca famiglia di origine ebraica, di Alessandra d’Egitto, che aveva patito le leggi razziali durate la Seconda Guerra Mondiale, riuscendo infine a uscire da quel periodo e tornando ad essere a capo di una importante azienda di filati, inaugurata negli anni ‘20. Il film illustra come Mario per il suo essere omosessuale vivesse uno “stigma“ per lui non troppo differente da quanto patito dalla sua famiglia durante la guerra. Trovandosi spesso per le strade di Milano alla mercé di persone “perbeniste” pronte ad aggredirlo simili ai persecutori nazisti, a cui lui però rispondeva, confondendoli e riuscendo a volte a scappare indenne, citando Joyce e  Oscar Wilde. La famiglia si era però “conformizzata”, per Mario non era più capace di capire “l’essere diversi” patito nella seconda guerra mondiale, non comprendendo la diversità sessuale del figlio. Per Mario essere gay, diventare “Maria” era una condizione sociale scelta liberamente, in tempi in cui le persone comuni vedevano l’omosessualità come una devianza mentale da curare, magari con gli psicofarmaci. Per questo Mario, passando idealmente nella narrazione all’età adulta, interviene a manifestare contro il Congresso di Sessuologia Internazionale di San Remo del 1972, momento a cui segue il suo attivismo e un periodo di scoperta dell’esistenza dei movimenti gay e femministi che in seguito appoggerà in nome della libertà di genere. Londra diventa la sua base operativa, luogo di sperimentazione e momento di creatività, fino a che incomberà la voglia di tornare in Italia e fondare la sua prima rivista.
Segue la narrazione del suo impegno politico, caratterizzato da un ritmo pop, sintetico ma chiaro. Nella parte finale ci si riallaccia alle primissime battute del film, riproponendo un contesto dal sapore teatrale.
L’omosessualità è raccontata senza filtri. 


La pellicola si sofferma più volte sulle scene di sesso, come ci sono numerosi nudi maschili, ma Adriatico non punta a un'ostentazione di tali immagini. Le usa per lo più per descrivere una quotidianità affettiva, quanto saltuariamente ne fa un uso simbolico. I corpi e i vestiti diventano qui una grammatica visiva del pensiero di Mieli. Ne è un esempio un momento molto teatrale, a inizio pellicola, al chiaro di luna presso un parco di Milano. I personaggi in scena parlano di ribellione, sembra che stiano improvvisando delle invettive nei pressi di alcune colonne che fanno da “teatro greco”. Per uno di questi poeti la poesia, lo scrivere in versi, è ribellione verso una realtà che riesce a parlare di sé solo tramite la prosa. Per un giovane Mieli, che fa eco al primo, la vera ribellione è un corpo che si trasforma in poesia, davanti alla quale non serve scrivere alcunché, basta “essere”. Per Mieli vestirsi da donna, come liberarsi di ogni vestito, diventava un gesto provocatorio, di liberazione dai ruoli di uomo (quello che lavora) e donna (quella che sta a casa). Ruoli imposti dalla società in cui viveva, per lo più specchio della famiglia media americana descritta dal sociologo Talcott Parsons. Per Mieli chi guardava un uomo vestito da donna entrava in una ulteriore crisi quando scopriva di sentirsi attratto da quell’uomo. Del resto i parchi notturni di Milano vengono descritti come brulicanti di uomini comuni in cerca di “trasgressioni”. Più volte il personaggio di Mieli provoca in tal senso la gente di strada che incontra di notte, con Di Benedetto che gioca sulla sensualità del trucco e del suo corpo per irretire e poi deridere i benpensanti. Di Benedetto si adegua al Mieli che evolve negli anni da ragazzino ad attivista a figura pubblica. Riesce bene a descrivere il  mutare del suo ruolo nel mondo che lo circonda, da uomo libero di spingersi in slanci emotivi estremi a “figlio non accettato”, compresso, schiacciato, in una gabbia emotiva familiare senza uscite. Ne esce il quadro di un uomo che ha ribaltato il mondo, creando qualcosa di importante anche per le generazioni future, pur di essere compreso in casa propria. Mieli diviene così eroe tragico, pronto ad automutilarsi simbolicamente, pur di ricevere quell’affetto negato. È centrale in questo ambito il personaggio della madre silenziosa, interpretata da Sandra Ceccarelli, il padre distaccato (Antonio Catania), il fratello (Lorenzo Balducci) che non condivide la condotta di Mario e che sarà l’erede della ricca azienda di famiglia. Ne scaturisce un disordine di sentimenti che spingono Mario a sua volta ad avere difficoltà in relazioni stabili, trasformando nell’ultima parte la pellicola in un dramma che è tragicamente comunque, universale, a molte vicende in cui l’omosessualità non è accettata. 


Gli anni amari è un film che descrivendo la vita di una figura centrale del Movimento Omosessuale ne accenna soltanto i successi, non li enfatizza. Preferisce invece una dimensione personale, intima quanto universale, fatta di slanci, sbagli, compromessi emotivi.  È un film che celebra ma non dimentica le pagine più difficili della vita.
Molto bella la fotografia di Gianmarco Rossetti. La Milano degli anni ‘70 che ci racconta è fredda, crepuscolare, dove gli omosessuali si nascondono tra le ombre di un parco malfamato. Londra appare irradiata di costante luce e pensieri positivi, le persone sono sudate e felici anche se hanno appena ricevuto un pugno sul naso. Ma il film sceglie la via crepuscolare, i “colori più caldi” escono da un televisore in bianco e nero. Una bella idea.
Ottimi gli interpreti, menzione particolare per un protagonista in grado di afferrare le mille sfumature di un personaggio sempre in movimento fisico ed emotivo, potente quanto fragile. Adriatico mette in scena una pellicola di stampo realistico, ma che sovente vi tinge di registri teatrali originali, di un riuscito stampo drammatico. Una pellicola piena di ritmo, che scorre veloce e sa appassionare.
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