mercoledì 22 luglio 2020

Artemis Fowl: il primo film tratto dalla serie di libri per ragazzi di Eoin Colfer



Artemis (Ferdia Shaw) è un ragazzino intelligentissimo, ricchissimo, carismaticissimo, elegantissimo, sportivissimo,“ intuitivissimo“. Perché anche se questa parola non esiste, lui lo è. È figlio di una specie di agente segreto/archeologo all'Indiana Jones/astronauta/Man in Black/Jedi/capocannoniere della nazionale di calcio e roba così (Colin Farrell), tutto insieme ad accumulo. Un giorno il padre scompare misteriosissimamente accusato di essere l’artefice di misteriosissimi furti di oggetti mistici, quasi ultra-dimensionali, probabilmente non elfici e il piccolo Artemis, il suo super maggiordomo (Nonso Anozie) con super nipotina (Tamara Smart) e tutto l’entourage fatto da super-villa, super-gadget, super macchine, super trappole, dovranno fronteggiare minacce interdimensionali al suo posto, confrontandosi per lo più con esseri fatati che appaiono quasi tutti anagraficamente minorenni, con le orecchie a punta e vagamente hi-tech come gli elfi di Babbo Natale di Santa Claus con Tim Allen. Presto troverà un’alleata nell’elfa Spinella (Lara McDonnell), il cui nome probabilmente omaggia la principale fonte di ispirazione della pellicola, insieme appunto a Santa Clause con Tim Allen. Laddove non interagisca con elfi minorenni, Artemis avrà a che fare con creature in computer grafica dall’aria buffa e mai terrorizzante, come il nano Bombarda (Josh Gad), troll e goblin, tizi così misteriosi da andare in giro con una luce sparata in faccia e... mi fa malissimo dirlo... Judi Dench. Judi Dench che quel sadico dì Kenneth Branagh, regista di questa pellicola, deve aver legato a sé con un patto faustiano che la obbliga a seguirlo in ogni suo lavoro al netto di permetterle ogni tot un ruolo in un adattamento di Shakespeare. Riuscirà Artemis Fowl a trovare il padre e a venire a capo dell’intrigo fantasy a base di oggetti magici e lotte di potere in cui è stato coinvolto?


Mentre Harry Potter macinava consensi in libreria e al cinema, Artemis Fowl era lì vicino, come Percy Jackson, sullo stesso ripiano dei libri fantasy per ragazzi, con l’idea di seguirne formula, target e successi ma in una chiave diversa, una “salsa diversa”. Se Potter è “polveroso”, imbevuto di un fascino antico ma senza tempo come Londra, Artemis è volto al futuro, all’hi-tech. Gli elfi di Harry Potter vanno in giro coperti di stracci anche se vivono nel ventesimo secolo sono in grado come ai tempi di Merlino di padroneggiare magie pazzesche. Gli elfi di Artemis  hanno tute e armi (rigorosamente non violente) futuristiche, visori ottici, collegamenti satellitari e vivono in un mondo parimenti tecnologico, usando astronavi come mezzo di locomozione. La cifra necessaria e interessante dell’Artemis Fowl cartaceo è come caratterialmente diverga e così si distingua da Potter, ponendosi come una specie di baby Batman che sovverte le regole, un genio riconosciuto, riverito ma incompreso, temuto e di conseguenza solitario. C’è ovviamente in Artemis un ingegno enigmistico pari al detective di Baker Street di Arthur Conan Doyle e a questo si aggiungerà un tono beffardo e organizzato alla Lupin nel modo in cui gestirà le sue imprese nei numeri successivi della serie, ma Artemis riamane un eroe emotivamente fragile nelle relazioni. Harry parte nel sottoscala degli zii babbani, è pieno di insicurezze, prova del legittimo rancore. Poi trova fiducia nel gruppo di amici, nella scuola, nella comunità dei maghi, in se stesso. Harry è calato costruttivamente in un contesto adulto, pur difficile. Cade e si rimette in piedi, fallisce, subisce lutti infiniti, trova di nuovo forza, diventa leader e in questo Harry è umanissimo, fallace, soprattutto nei romanzi Harry è descritto bruttarello, sfigato, tapino. Passando ai film, tanto Harry Potter che Artemis Fowl vengono “ridotti”, per certi versi semplificati. Daniel Radcliffe, lo dico ripensando a tutto il suo percorso di attore, è stato ed è straordinario. Credo che sia uno dei pochi attori bambini che sembrano “davvero dei bambini”. Se nel primo film era un bambino esteticamente di gran lunga più bello dell’Harry Potter cartaceo, il suo personaggio era parimenti umano, sofferente, per certi versi tragico. La sua dolorosa crescita durante la saga è stata ed è tuttora una forte ispirazione per molti giovani a non arrendersi mai, a credere negli altri, specie nei propri insegnanti, a comprendere le regole del mondo in cui si è calati. Artemis parte “mastermind” occhialuto (un po’ alla Detective Conan ma senza gap d’età), un super ragazzino figlio di un super padre. Il suo mondo costruito sulla razionalità si scontra con una visione più ampia, costituita dal riportare nel reale anche elfi e miti, ma siccome è un mastermind il nostro capisce e si adatta subito al nuovo scenario, senza battere troppo ciglio. Ferdia Shaw, ragazzino dallo sguardo vispo e completini firmati da baby 007, impegnato in una serie estenuante di facce da schiaffi si dimentica di trasmetterci “altro” sui di lui, omettendo quasi del tutto di parlarci dei suoi “difetti“. Così la solitudine, l’eccentricità e la sostanziale, benché dissimulata in azioni “estreme”, paura di uscire dal piccolo mondo dorato in cui vive Artemis sono aspetti solo accennati, peraltro nelle scene più meritorie della pellicola. Le continue sfide contro la natura cui Artemis si sottopone, esistenziali nei libri, nel film sembrano sterili atti alla Vin Diesel, espressione di un “marmocchio power” quasi più letale del recente “Girl power” di robe come Birds of Prey, M.I.B. International e altre cose moleste affini. Rischiamo a tratti la spaventosa deriva di Alex Rider: Stormbreaker, e Shaw rischia lo stesso infame destino di Alex Pettyfer. La stessa sensazione di vuoto e disinteresse del pubblico  per un personaggio principale  dal bel faccino e poco altro. 


Questo è un problema da cui correre ai ripari, perché la drammaturgia insegna che se abbiamo a che fare con un protagonista bellissimo, vuoto, onnipotente e onnisciente, il pubblico si annoierà presto di lui, non starà nemmeno a tifare per lui perché “non serve”, è troppo forte!! Artemis non trasmette, “fa e basta”. È un peccato quindi che il film fallisca strettamente sul piano emotivo, perché questo era l’ancora irrinunciabile per renderlo umano, per fare sì che gli spettatori si immedesimassero in lui come tutti ci siamo sentiti un po’ Harry Potter. Poi nell’ottica della saga nulla è scritto su pietra e un secondo film può anche aggiustare il tiro, ma se il personaggio non ingrana il film deve sostenersi con “tutto il resto”, dagli effetti speciali alle scene d’azione, passando naturalmente per gli altri attori in campo e alla brutale liturgia della messa in scena. Effetti e scene d’azione hanno il loro perché, soprattutto nell’ottica dei fruitori finali di riferimento, il pubblico dei più giovani. Come già detto, il riferimento mentale più diretto per le scene action sono i “bambini - elfi assaltatori e Hi-tech” di Santa Clause, in effetti un’idea che era carina. Piccola parentesi: il film utilizza molti giovani attori ed è una scelta coerente con il libro, anche se a volte è strano che sulla scena compaiano solo persone o di 10 anni o di 40. Chiusa parentesi, torniamo a noi. Tante esplosioni colorate, divertenti scene di volo elfico pure sulla nostra penisola, orchi buffi tirati nell’azione come i Tyrant di Resident Evil, “bombardati su un obiettivo”. Visivamente il gioco funziona, anche se un paio di topoi sono stra-noti, mentre il cast ha un paio di problemini. Josh Gad come Bombarda, che si occupa di narrare tutta la storia dal suo punto di vista dando un taglio pseudo spionistico al tutto, è per esempio un gigantesco buco nell’acqua, fin dal trucco che non sa/ vuole indossare con disinvoltura. Per dire, il suo personaggio è uno “zozzone “ coperto di terra e rutti, mentre l’attore che diede la voce al pupazzo di neve Olaf sembra continuamente e istintivamente volerlo ripulire, magari nel fuori scena o quando non è in primo piano, tirando fuori dei batuffoli igienizzati. Fate caso al trucco del volto e scoprirete il dramma di quest’uomo. Vuole inoltre e dovrebbe essere “l’Hagrid hi-tech“ della situazione, la guida brusca ma benevola, solo che come “adulto con cui confrontarsi” si trova quasi sempre “fuori campo”, altrove, magari a struccarsi, con la sua interazione con il bambino minima, se non nulla a parte immaginare che “abbia fatto Hagrid” in scene tagliate. C’è pure un particolare grottesco a peggiorare il tutto: a Gad per rispetto del character letterario, che lo vuole una specie di “nano mangia-terra dal corpo gommoso”, tocca un “effetto speciale” in base al quale la sua bocca si espande per farlo scavare ingoiando terra. Un effetto che fa letteralmente spavento al pubblico dei più piccoli, con questa bocca che allarga all’infinito tirandola con le mani, rivelandosi piena di denti. Peggio di It. Se il nano/gigante è stranamente pulito, poco empatico e inquietante, la piccola aiuto-ninja di casa, la bambina con i trecciolini interpretata da Tamara Smart, che si dice espertissima di arti marziali è pura tappezzeria e quando è in scena ricorda l’analoga bambina con i trecciolini di Jurassic Park 2. Quella che facendo le parallele abbatteva un velociraptor, per rinfrescare la memoria. Tutte le sue possibili battute sembrano inoltre essere  state “rubate” dalla Spinella, come se la Spinella le avesse mozzato lo sviluppo del personaggio. In compenso la Spinella, come il maggiordomo/Alfred sono personaggi ben riusciti e lo stesso si può dire per Colin Farrell. La Dench, benché abbardata in improbabili cappottoni militar-fantasy, si diverte un mondo e crea un personaggio con la voce rauca da consumata donna-pirata-tabagista.
Non sappiamo chi coinvolga Kenneth Branagh in queste imprese, ma alla fine il nostro riesce a finanziarci le trasposizioni Shakespeariane e può tornare al suo nuovo amore, gli adattamenti di Agatha Christie. L’assassino sul Nilo è già sui binari e noi tifiamo sempre a prescindere per lui, perché Branagh anche quando dirige “su commissione” lo fa con classe, ottima comprensione della messa in scena e inserendo i suoi amati attori shakespeariani. 
Artemis Fowl se avete 12 anni può essere molto divertente, se siate più grandi rimane un prodotto ben confezionato.
Ferdia Shaw intanto entra nella nostra lista nera dei giovani attori bellocci. Speriamo che il tempo sia galantuomo e ce lo faccia depennare. 
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