mercoledì 22 gennaio 2025

Il mio giardino persiano (My favourite cake): la nostra recensione della meravigliosa commedia “agrodolce” di Maryam Moghaddan e Bentash Sanaeeha


Nella Teheran dei giorni nostri vive la tenera e solare settantenne Mahin (Lily Farhadpour). Ormai vedova da molto tempo e con i figli ormai fuori di casa, se non direttamente fuori dalla nazione, Mahin vive da sola, prendendo ogni tanto il the con un piccolo gruppo di amiche. 

Con il tempo questa solitudine si fa sempre più opprimente, così un giorno Mahin, nel modo più diretto, buffo, “rivoluzionario” e sfrontato possibile, decide di “trovarsi un uomo”. 

Lo cerca a pranzo, in una tavola calda frequentata da camionisti ed ex miliari solitari, incrociando la sagoma rassicurante e gentile del taxista Faramarz (Esmail Mehrabi). Lo segue subito fuori dal locale, ma lui è già partito incontro a un cliente. Mahin si segna il nome della compagnia di taxi e il giorno dopo è già lì, in attesa di prenotare una corsa con lui, che si paleserà solo verso sera, a fine turno. 

In auto c’è un po’ di imbarazzo reciproco, proprio perché Mahin è molto “motivata” e a Faramarz la cosa non dispiace. 

Si parla del più e del meno, del fatto di essere entrambi “soli”, della voglia di trovare qualcuno con cui ridere e divertirsi come da giovani, magari quando lo Stato concedeva di bere qualche superalcolico. Mahin confessa che una specie di grappa iraniana abusiva lei la produce, di nascosto, direttamente nel giardino, insieme a tanta altra frutta e verdura. L’uomo fa una pausa in farmacia e poi decide di accettare l’invito di Mahin ad andare a casa sua. 

Mahin spalanca la porta e corre a sistemare soggiorno, camera da letto, tovaglia e trucco. Faramarz dovrà arrivare solo dopo, “facendo il giro lungo” e parcheggiando distante dall’entrata: per non allertare la vicina rompiscatole che ha sempre in mano il numero di telefono della polizia morale e non vede l’ora di chiamarla, nel caso “un uomo” intenda entrare nella casa di una donna sola. 

Il tassista entra sorridente e timido da Mahin, che truccata e accogliente dimostra quasi una quindicina di anni in meno, quando ecco, puntuale, la telefonata della vicina, che ovviamente ha seguito tutti i movimenti sospetti di prima. Al volo, si inventa che quell’uomo è un elettricista venuto a sistemare la luce esterna sul giardino, che effettivamente da tempo fa le bizze. Senza battere ciglio il tassista esce e ripara il fusibile fulminato e i due si intrattengo un po’ a parlare seduti sotto le stelle. 

Una piccola oasi di pace, l’unico posto in cui oggi Mahin si sente davvero felice. Anche per via della grappa. 

I due iniziano a bere, Mahin inizia a cucinare piatti esotici per un intero esercito, dimostrando capacità culinarie da master chef. A tavola tutto viene gradito, si riscaldano gli animi, partono le danze offerte dal giradischi, per una volta “a tutto volume” e “chissenefrega della vicina”. La situazione è super imbarazzante ma anche ridicola, perché la coppia è una vita intera che non fa cose di quel tipo: tra gli acciacchi e la mancanza di ritmo è per lo più una faticata, dove si ride per non piangere dal dolore. 

Un Faramarz particolarmente brillo propone “facciamo la doccia insieme”. Una Mahin improvvisamente casta dice che non se la sente di farsi vedere nuda da un uomo che ha conosciuto da poche ore. L’erotismo si stempera in pochi secondi, quando vediamo che entrambi sono effettivamente insieme sotto la doccia ma vestiti e ubriachi, seduti per terra, con tutti i terribili postumi del dopo sbornia. 

Ma l’energia giovanile è ancora tanta e la coppia è pronta per riprendersi e affrontare un nuovo round. Nuove confidenze e tenerezze seduti nel giardino e sotto le stelle, nell’attesa che la migliore torta di fichi di Mahin esca dal forno. 

Come finirà la serata?


Arriva finalmente nelle sale italiane il film che ha incantato la scorsa edizione della berlinale.

Una commedia divertente e tenerissima, notturna e malinconica, che arriva dal cuore dell’Iran, nonostante molte difficoltà produttive e i controlli del rigido sistema di censura di quel paese. Un film dal fascino universale che è un autentico inno alla “voglia di tenerezza”, per citare il classico di James L. Brooks, in un momento storico particolarmente difficile e allergico a ogni forma di leggerezza. Un racconto che viviamo “tutto in una notte”, per citare il classico di John Landis, romantico, surreale e satirico, che si regge sulle spalle di una coppia di attori davvero meravigliosi e affiatati, in grado di trasmettere con pochi gesti un intero caleidoscopio di emozioni e umori, senza mai apparire superficiali o scontati. Due “amanti/rivoluzionari”, soli contro un mondo che quasi non contempla la possibilità che due persone possano cercare intimità in età matura. Due “persone” e non “personaggi”, a cui presto si finisce per volere bene, per i quali anche si piange, per l’inaspettato evolversi degli eventi sul finale. Una piccola nota di amarezza che è anche metaforicamente una profonda riflessione morale, legata all’attualità di quella cultura, in grado con la sua carica emotiva di disorientare gli spettatori, portandoli a ragionare sui concetti di “destino”, “colpa” e “peccato”. 

Il mio giardino persiano è un film pieno di ritmo, colori, ottimi tempi comici e momenti profondamente romantici, struggenti. Un film con al centro due bravissimi attori che è una piccola perla, da scoprire in tutte le sue sfumature. 

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