venerdì 24 gennaio 2025

Luce: la nostra recensione del film di Luca Bellino e Silvia Luzi, con protagonisti Marianna Fontana e “la voce”di Tommaso Ragno

Sicilia dei giorni nostri, in un assolato giorno di festa in riva al mare. La cuginetta, vestita da principessa, sorride e tiene tra le braccia un agnellino: forse è la sua prima comunione. Dietro di lei tutti i parenti chiacchierano, cercando di rimanere in posa, con lo sguardo verso l’obiettivo, simulando un sorriso all’attenzione del fotografo delle cerimonie. Dei ragazzini lanciano petardi e fermano la scena, Luce (Marianna Fontana) sorride a quegli scoppi. Sono scoppi simili alle martellante con cui, la notte prima, ha chiuso con forza un armadio della sua casa. 

Ma il sorriso in breve si fa malinconia. 

Luce lascia il gruppo e va verso la riva, a raccogliere acqua salata con una bottiglietta che pone nella sua borsa, mentre la cuginetta corre sul bagnasciuga vestita da principessa, inseguita e ripresa dal drone per il filmino della festa, che i parenti definiscono “un'americanata”. 

A fine giornata Luce, insieme all'amica Costa, fanno volare quello stesso drone con qualcosa legato con lo scotch sulla sua sommità, verso un’area militare interdetta. 

Il giorno dopo, le due sono al lavoro nella fabbrica di conciatura di pelli, agganciando anelli alle estremità di ritagli che forse diventeranno vestiti. È un lavoro a catena e il morale è basso: si litiga spesso e ce la si prende con la macchinetta del caffè, almeno prima di prendersi a parole l’una con l’altra. A fine lavoro hanno mani nere e un unico fon elettrico in comunque, per liberarsi di polveri sottili. 

Tra il caldo e la rabbia, la boccata d’aria per la pausa sigaretta, sulla terrazza del tetto che specchia tutta la vallata, sembra quasi un'esigenza di sopravvivenza. Una breve pausa da quella specie di purgatorio, forse non dissimile da quello in cui si trova il padre di Luce.

La telefonata, la prima di tante, arriva improvvisa. 

La voce (dell’attore Tommaso Ragno), che si palesa solo dopo una serie di chiamate di sospiri e rantoli, suona poco familiare, a tratti sinistra, ma Luce decide infine di volerla identificare come quella del padre. La voce la chiama sul lavoro, a casa mentre gioca con il suo gatto, la sera al locale di liscio economico infrasettimanale con gli anziani, in piena notte. È una voce intrusiva, più volte cattiva e perentoria nel dire di: “rispondere subito”, “non richiamare mai, perché solo lui può chiamare”. 

Ma è una voce che presto si scioglie in immagini oniriche, raccontando di viaggi insieme, padre e figlia, in un’isola lontana, circondata da acqua purissima, una volta che  sarà possibile per entrambi abbandonare quel luogo. 

Nell’“altro luogo” hanno insegnato alla voce a cucinare con il cibo scartato. Lì la voce può solo da sdraiati in terra, per poter guardare il cielo. È zona interdetta a un mondo ormai lontano, a cui la voce si può solo aggrappare solo per un istante, prendendo una boccata d’aria, ascoltano proprio il suono di Luce alla cornetta. Una voce che lui chiama, sempre più dolcemente, “picciridda”. 

Le amiche iniziano a preoccuparsi per Luce: troppa assorta nei suoi pensieri, assente, scontrosa. Il fotografo della comunione della cuginetta sembra chiederle di ottemperare a una promessa, qualcosa di importante, ma Luce sembra non ricordarsi nulla. 

Ormai la ragazza, che si è presa anche dei richiami sul lavoro, vive solo con la compagnia del contatto con il suo gatto. Con quella voce al cellulare, che ogni tanto si palesa anche lei infelice: preferendola nei pochi lontani momenti di una gioia passata, rispetto ai giorni presenti interi di malinconia.  


Luce è un film che vive di enigmi e “non detti”, costruendo un piccolo mondo carico di ambivalenze narrative e afflati quasi metafisici. 

Per volontà degli autori Luca Bellino e Silvia Luzi è un film “ellittico”, “da riempire” come un puzzle da 100 pezzi tutti uguali.

Il piano reale e interiore/onirico si mischiano e confondono nella narrazione, per spazio e regole, anche se la cifra stilistica delle immagini rimane sempre rigorosa, quasi documentaristica, quasi in sintonia con i primi lavori dei Dardenne. 

Al centro di tutto c’è Luce, interpretata dalla splendida Marianna Fontana come una creatura sfuggente e inquieta, alla ricerca continua di “contatti”. 

Un primo contatto le viene offerto dall’acqua: un “elemento” con cui è solita quasi ossessivamente lavarsi le mani, perennemente sporche di nero e forse anche ferite più in profondità. 

Un secondo contatto per Luce sono quelle “telefonate”, strane, dolci e a tratti inquietanti, con qualcuno che sembra burlarsi di lei mettendo in dubbio più volte di essere davvero “il padre”. Il terzo contatto di Luce  è puramente epidermico, con il suo gatto: una creaturina con il cui animo a volte la ragazza si specchia e ritrova, fino a seguire per se stessa una “leggenda urbana” che riguarda proprio i gatti.

Si spargono indizi e sta poi allo spettatore dirimere la matassa, anche con la sua fantasia, pur di averne a disposizione. 

Film vietato a chi manca di fantasia.

Confrontando più interpretazioni, specie se fantasiose, sembrano nascere pellicole diverse, a volte distanti o contraddittorie per la sensibilità individuale. Luce è così un racconto che si trasforma, secondo l’occhio di chi lo guarda, in un autentico generatore di storie. 

In un periodo in cui troppo spesso il nostro cinema è “scoperto”, fin troppo “chiarificato”, pure “confortante nella banalità”, i registi di Luce vanno all’opposto, amano farci masticare immagini e concetti, rendendoci partecipi della forza creativa di questo piccolo grande film. 

Astenersi chi nel cinema ricerca certezze o conforti. 

Ma troverà in Luce qualcosa di unico soprattutto chi, dalla forza e magia del cinema, vuole anche “l’esplorazione di quel tessuto tra realtà e onirico”. Un cinema che non ha paura di mischiarsi con l’inconscio.

Un cinema che può così muoversi, tra fantasia e psicanalisi, alimentando una ginnastica nuova e divertente per la mente. 

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