giovedì 23 gennaio 2025

Nosferatu: la nostra recensione della nuova pellicola horror di Robert Eggers, con Bill Skarsgard nel ruolo del celebre “non morto” di Murnau

  


Sinossi: Siamo nella città di Wisburg, in Germania, nei primi anni dell’Ottocento e in una notte stellata. La giovane Ellen (interpretata da Lily-Rose Depp) entra in contatto con una entità misteriosa, che giunge in suo “soccorso” dopo che lei, disperata, ha invocato l’intervento di un angelo. 

Forse il suo è un “risveglio di coscienza” prima del risveglio del corpo, come nella paralisi del sonno. Forse le accade quello che succedeva alle sacerdotesse greche che comunicavano con gli dei. 

Ellen si trova comunque in uno “stato ipnagogico”, che le permette solo di osservare, senza potersi muovere liberamente, la creatura che la assale, giunta come da un’altra dimensione. 

È una creatura contraddittoria, imponente ma fragile. 

Ha un corpo aguzzo e allungato ma filiforme. Anziano e molle, quasi millenario, ma ancora energico, scattoso. È scomposto e ricurvo, glabro e smunto, scheletrico ma vivido, viscido, come un serpente. Ha occhi cattivi ma infantili, come una bocca aguzza ma triste, in cerca di cibo, come un bambino sperduto e affamato. 

Il mostro la penetra ed Ellen non può che urlare e insieme “cambiare/mutare”, per sempre. La creatura si fonde in lei e con lei, cercando nel mentre di divorarla, tra dolore e piacere. 

La notte finisce, gli incubi sono solo all’inizio.

Da quel momento Ellen continuerà ad avvertire qualcosa al di là del razionale, vivendo di presagi e terrore continuo, additata da tutti come “strana”. Spesso “strega”.

Fino all’incontro con un uomo giovane e buono come Thomas Hutter (Nicholas Hoult), in grado di placare le sue paure e farla sentire per una volta al sicuro, non bisognosa di essere guidata e sorvegliata, tenuta e trattenuta come una pazza.

Nel 1938 Hutter è l’impiegato di una società immobiliare gestita da un capo dispotico e sinistro, forse amante compulsivo dello spiritismo: il signor Knock (Simon McBurney). Il loro nuovo cliente, strano quanto lui, è un nobile che ha deciso di spostarsi dal suo castello, disperso nei Carpazi più rurali e medioevali, per trasferirsi ed estendere la sua influenza proprio nella moderna e industriale città di Wisburg. Si chiama Orlok (Bill Skarsgard), è ricchissimo e vuole concludere quanto prima il contratto per l’acquisto di una grande villa. 

Hutter deve correre subito da lui, prima che cambi idea, partendo per le montagne alle prime luci dell’alba, a cavallo. Il viaggio sarà così lungo che potrà trovare riposo solo a tarda sera, presso un punto di sosta con locanda, per poi ripartire il giorno seguente all’alba con un cavallo fresco e giungere solo a tarda sera presso il castello. 

È un viaggio che si preannuncia eccitante, con tutto il sapore dell’avventura, che aiuterà il giovane a fare carriera in poco tempo.

Ellen sente qualcosa di strano e sinistro in tutto questo affare, ma non riesce a dissuadere il marito dall’entusiasmo. Per i giorni della sua assenza andrà a stare da sua sorella Anna (Emma Corrin) e da suo ricco marito Friedrich (Aaron Taylor-Johnson), scrivendo e ricevendo lettere con l’amato.

Il viaggio di Thomas lo porta più lontano di quanto lui potesse immaginare: nel cuore  in una natura selvaggia e primitiva, sospesa tra sogno e realtà, tra boschi fitti carichi di predatori e nebbie dense di spettri e superstizione. Sinistre leggende zingare prendono vita, mettendolo a stretto contatto di strani riti per contrastare dei mostri ancestrali, che tuttora vivono in quei luoghi, nutrendosi della terra e del sangue dei vivi: le creature “non morte”, in rumeno “nosferatu”. Thomas assiste a cose indicibili fino a che da solo, a piedi, derubato di tutto, giunge infine al rudere di un enorme castello simile a un guscio vuoto, dove lo attende nel cuore della notte Orlok. 

È un uomo imponente e ossuto, dalla folta barba e gli occhi scavati. Vestito in abiti eleganti quanto con decadenza consunti: potente quanto antico. Ha una voce inumana, modi al contempo seducenti quanto brutali, cambi di umore continui, sparisce anche per ore.


Tutto si fa se possibile ancora più confuso quando, tagliando una pietanza, Thomas quasi si recide un dito con il coltello: Orlok non nasconde una fame improvvisa e incontenibile alla vista di quel sangue. Come non nasconde nemmeno un interesse folgorante e misterioso per il ritratto di Ellen, che Thomas porta con se in un medaglione. Il contratto sembra essere pronto per l’esecuzione, dopo mille dettagli, ma Thomas non riesce più a uscire dal castello e tornare a casa. È imprigionato in una stanza chiusa con una finestra che dà su un baratro, mentre il conte, che si rivela essere un autentico nosferatu, viaggia verso Wisburg su una nave, all’insaputa dell’equipaggio. Nascosto in un sinistro carico, composto da più bare ripiene di terra e orribili topi infetti della peste nera. 

La nave irrompe nel porto insieme alla peste, allungando l’ombra sinistra di Orlok su tutta Wisburg. Knock sembra impazzito del tutto: parla per enigmi, si comporta come un animale e si fa internare. La città è nel caos e una morte incontrollabile e incontenibile comanda sulle strade. Uomini di scienza come il Dottor Sievers (Ralph Ineson) e l’occultista Prof. Albin Eberhart Von Franz (Willem Dafoe) cercano soluzioni, rimestando tra testi di medicina e alchimia, ma spesso brancolano nel buio: il loro nemico, questo “caos ancestrale” è sempre diversi passi più avanti di loro. Il ricco e potente Friedrich, uomo forte, pragmatico e moderno, si sente schiacciare da una forza che non è in grado di fronteggiare perché incapace di comprendere. 

Ellen sente di essere sul punto di dover incontrare di nuovo il suo destino: il suo finto angelo.


C’era una volta Nosferatu: il 4 marzo 1922 veniva proiettato a Berlino un misterioso film muto, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e prodotto dalla Prana Film, fondata da Enrico Dieckmann e dall’occultista Albin Grau. La “Prana” prendeva il suo nome dal termine delle religione indù che racchiude le definizioni di “respiro/vita/spirito”. Il suo intento, specializzarsi in pellicole a tematica soprannaturale ma anche curiosamente “autobiografica”: la principale ispirazione di Grau per Nosferatu veniva infatti dalla sua passione per gli spiriti e dal suo incontro, in tempo di guerra, con un contadino serbo che asseriva che suo padre fosse un non morto. La sceneggiatura era stata affidata a Henrik Galeen, già autore dei film sul “Golem” e una delle voci più note del romanticismo gotico. Il suo lavoro consisteva in una poderosa revisione del romanzo Dracula di Bram Stoker dove venivano cambiati nomi e luoghi, alcuni personaggi-chiave scomparivano (Van Helsing) o venivano molto contenuti (Harker). La storia si incentrava molto di più sul “lato femminile”, valorizzando simbolicamente il ruolo “moderno” della donna, che tra mille difficoltà si metteva in antitesi con un vampiro: immagine di un potere maschile dai tratti aristocraticamente medioevali. Altre novità rispetto a Stoker erano i topi e soprattutto, quasi profeticamente, la peste: un male che presto avrebbe di nuovo invaso l’Europa, insieme alle profezie di Nostradamus su un “re del terrore” che si facevano sempre più concrete. 

Perché il film facesse ancora più paura, la Prana sceglieva Murnau in quanto esponente già affermato dell’espressionismo tedesco: una corrente che proponeva di usare il cinema anche come nuovo strumento di indagine visiva ed emotiva per l’onirico e l’incubo. Un cinema che giocava molto nella costruzione della scena e delle scenografie anche con influenze pittoriche di autori romantici, come Caspar David Friedrich (Donna alla finestra, del 1822). Era da incubo pure il nome dell’attore teatrale chiamato a impersonare Orlok: un “Max Schreck”, che in tedesco suona più o meno come “Massimo Terrore” e dietro cui si era diffusa la leggenda (smentita) che si celasse, sotto il trucco, lo stesso Murnau. 

Certo la Prana non navigava nell’oro.

Per location non si poteva usare un castello in Transilvania: gli interni furono girati a Berlino e ci si accontentò per gli esterni del castello di Orava, in Slovacchia, come dei Magazzini di Sale di Lubecca per la residenza cittadina. Il budget permetteva l’uso di una sola telecamera e di un quantitativo di rullo molto limitato: tutto doveva funzionare al millimetro.

Abituati alla grandiosità del “Dracula che sarebbero seguiti”, fa quasi strano vedere in una scena Orlok che tra i campi si porta da solo la sua bara in spalla, senza calessi e senza servitori. Un Orlok che così, in fondo, ci ricorda il Django di Corbucci. 

Tutto funzionò al millimetro e Nosferatu divenne in breve un film di culto: di fatto il primo film ad “adattare” il più celebre vampiro di Stoker: anche se non lo sentiremo mai chiamare “Dracula” per problemi di diritti. Problemi di diritti che si concretizzarono comunque a breve dall’uscita nelle sale, nella forma degli incazzatissimi eredi di Stoker, che fecero causa alla Prana per plagio, vincendo e di fatto ponendo fine alla appena iniziata vita della casa di produzione a vocazione “spiritista”. 


Ma i “Nosferatu” per definizione “non muoiono”. Così Werner Herzog, giudicando l’opera di Murnau come il film più importante della cinematografia tedesca, nonché ritenendosi lui stesso erede di quel cinema, in quanto “neo-espressionista”, decise di realizzarne un remake. Un remake “più in grande” e che ripristinava e re-integrava anche i nomi e personaggi dell’opera originale, in un clima in cui gli eredi di Stoker erano scomparsi e non erano più un problema legale. 

Werner Herzog scelse per il suo nosferatu il “principe della notte” Klaus Kinski (visto che in questo blog adoriamo Nicolas Cage, vi abbiamo più volte sicuramente detto come il nostro ami definirsi, per il suo particolarissimo metodo, come il “Californian Klaus Kinski") , suo attore anche in Fitzcarraldo. Proprio in merito alla lavorazione di Fitzcarraldo, Herzog in una intervista definiva in questo modo quello che ricercava artisticamente nella creazione di un suo film:  

“Un luogo dove la natura non è ancora completa… un luogo dove Dio, se esiste, ha creato con rabbia… dove anche le stelle in cielo appaiono in confusione”. 

Una definizione che sarebbe piaciuta alla Prana Productions e calza a pennello anche per la ricerca artistica di Herzog per il suo Nosferatu, il principe della notte, del 1979. 

A fianco di Kinsky, Bruno Gantz e Isabelle Adjani. Ma Mina, la figura femminile/chiave, simbolo dello “scontro più diretto” tra eros/thanatos era interpretata dalla stessa moglie, nonché musa di Herzog,  Matje Gorhmann. Altra curiosità: era Herzog stesso l’unico della troupe a toccare i topi sulla scena, un po’ per questioni sanitarie e un po’ “alla Dario Argento”. 

L’arrivo al castello del conte veniva ora sottolineato nientemeno che da una delle più celebri arie di Wagner: il “preludio” all’atto 1 de L’oro del Reno. Il castello ancora una volta non si trova nei Carpazi ma in Slovacchia: a Strecno. 

Anche in questo caso il successo fu enorme e Nosferatu avrebbe trovato nuove occasioni per rivivere. 

Tra le varie, un sequel “non ufficiale” come Nosferatu a Venezia, di nuovo con Kinsky. 


Negli anni '80 un Nosferatu “zio del conte Dracula” compare pure in un mai dimenticato classico senza tempo di Neri Parenti con protagonista Paolo Villaggio: Fracchia contro Dracula

Negli anni 2000 arriva un meta/ film sulla realizzazione del Nosferatu di Murnau, L’ombra del vampiro: di Elias Merhige, prodotto da Nicola Cage (che abbiamo poco sopra citato), con Willem Dafoe nei panni di un Orlok che di fatto non è “impersonato da un attore”, ma è un vampiro vero, in carne putrefatta e ossa. In questo caso un Murnau interpretato da John Malkovich, insieme al produttore Grau, interpretato da Udo Kier, si limiteranno quasi a girare un documentario. 

Ma Nosferatu è tornato di fatto pure nell’action quasi-supereroistico Dracula Untold, con le fattezze di Charles Dance e il nome “fittizio” di Master Vampire. Un “Nosferatu” che qui conferisce i suoi poteri vampirici a un “giovane Dracula”. Un passaggio di testimone in piena regola. Di fatto il primo Dracula cinematografico è sempre e sarà per sempre solo il Nosferatu di Murnau. 


“Divorare o fondersi”- le parole chiave del cinema di Eggers: Robert Houston Eggers, classe 1983, newyorkese, nato da un padre biologico sconosciuto e cresciuto da un professore di letteratura inglese dell’Università del Wyoming, ha sempre amato un cinema misterioso e rarefatto, simile a una favola nera come quello di Murnau.

Nel 2015 il suo film d’esordio alla regia, The VVitch, riceveva importanti riconoscimenti al Sundance Film Festival, trovando poi la distribuzione della prestigiosa A24, proponendo un racconto che parlava di streghe e demoni, superstizioni e follia. In un paesino segnato da carestia e malattie, del New England del 1600, la giovane contadina Thomasin, interpretata dalla meravigliosa Anya Taylor-Joy, veniva tacciata di portare la sventura e forse avere rapporti carnali con il maligno, con il suo stesso padre che finiva per inforcare la torcia contro di lei. L’atmosfera è “magica, sanguigna e peccaminosa”, quando il cinema moderno aveva già tantissima paura di parlare di “sesso”. Il male “celato nelle ombre”, antico ma in fondo “solo fumoso”, faceva molta meno paura di un “male sociale” dilagante, carico di torce infuocate e incazzate, che trasforma ogni contadino in un pazzo in cerca di vendetta contro sedicenti “streghe”. C’erano già in The VVitch tutte le suggestioni del cinema di Murnau, compreso un incedere narrativo e visivo lento, contemplativo e “solo suggerito”:  ancora una volta in antitesi con un “cinema horror del presente”, che pretende velocità, azione e colpi di scena. Non sorprese nessuno, anzi piacque a molti, il fatto che Eggers dichiarasse che la sua pellicola successiva sarebbe stata proprio una nuova versione di Nosferatu. Poi, come capita spesso nel cinema, i progetti si accumulano o spostano di anni, così Eggers prima confermava il suo stile di cinema “espressionista” nel 2019, con un interessante omaggio a H.P.Lovecraft, The Lighthouse, claustrofobico e per qualche verso premonitore del periodo Covid. Poi nel 2022 firmava The Northman, un dark fantasy cupissimo e rarefatto, sulla linea anche del Valhalla Rising di Refn, con protagonista di nuovo la Taylor-Joy, ma pure con una “strega” con il volto della cantante Bjork, amata/odiata da Von Trier in Dancer in The dark. Rimane in tutte queste iterazioni riconoscibilissimo, in controtendenza, amato/odiato per gli stessi motivi che ne caratterizzano da sempre lo stile. 

Poi venne il turno di riprendere Nosferatu. Per enfatizzare e rendere ancora più centrale la forza e fragilità del personaggio di Ellen, Eggers sceglie (sembra dopo l’impossibilità della Taylor-Joy e l’incredibile opzione del cantante Harry Styles, durata un paio d’anni) gli occhi profondi e le forme quasi eteree della brava Lily-Rose Depp. Che sarebbe una perfetta interprete de “L’urlo” di Munch, ma ha nasconde una grande personalità e femminilità. “L’immobiliarista-avventuriero” Hutter ha invece il volto del timido e impacciato  Nicholas Hoult. Lo scombinato prof Von Franz porta il ghigno sornione di Willem Dafoe. Il “capovillaggio” ha i muscoli e l’imponenza drammatica di Aaron Taylor-Johnson. Ma rimangono figure maschili per lo più “contrite e contratte”, rispetto ai vari eroici Ammazzavampiri alla Van Helsing, che non a caso manco comparivano nell’opera di Murnau. 

Serviva invece un Orlok nuovo e convincente. Così Eggers si premura di trovare uno degli interpreti degli “incubi di celluloide” più interessanti: quel Bill Skarsgard che ha dato il volto alla più recente forma del pagliaccio It di Stephen King e di recente prova a diventare il nuovo Corvo. Bill possiede tutta l’eleganza, l’altezza e la possanza del mostri di Doug Jones, quelli dei film di Del Toro. Ma al contempo sa conferire alle sue creature una aggressività feroce e quasi nobile, al punto che per Orlok si studia un particolare dialetto desueto della Dacia per dargli un’aria ancora più regale e decadente.


La costumista Linda Muir gli dona gli abiti realistici di un militare dei Carpazi del 1600, enormi baffoni a manubrio compresi. Eggers vuole che sembri un non-morto/demone del folklore popolare, se vogliamo più simile a uno zombie che a un vampiro. Il make-up è poderoso, si estende su tutto il corpo e richiedeva all’attore 6 ore di trucco giornaliere, con la bellezza di 62 parti scolpite distinte, opera del designer Colin Jackman. 

Iconograficamente si ispira molto al demone del sonno protagonista del dipinto  “L’incubo”, di Johann Heinrich Fussli. È un Orlok del tutto nuovo, ma davvero magnifico. 

Finalmente il budget ha permesso pure di avere un castello “transilvano doc”: il castello rumeno di Corvin. 

Tutto il film ha il sapore di un lungo viaggio mistico e per molti versi erotico, ma anche eroico, reso ancora più sognante dalla fotografia del sodale Jarin Blashke.

Il cinema di Eggers si conferma come un luogo in cui i personaggi vivono sospesi in costanti balletti emotivi tra amore e odio, sensualità e lotta, all’ombra di un grande caos che cerca di inghiottirli. Personaggi che si avvicinano nell’intento impossibile di provare una “vicinanza emotiva”, una tenue solidarietà “fusionale”, ma con incontri/scontri che il più delle volte si trasformano in guerre all’ultimo sangue, fino all’annichilimento/“sbranamento” dell’avversario. 

È come se Eggers, dietro la patina “anticata” di cui ricopre tutta la sua arte, riflettesse proprio sul nostro mondo odierno: un società sempre più incapace di comprendere le relazioni umane e i segnali della natura; una civiltà che dopo aver “distrutto la religione” si sente sempre più sola, in balia di quanto razionalmente non si è più in grado di comprendere. 

Finale: Nosferatu conferma tutto il talento e la poetica di Eggers. È ancora una volta un film vivido e  contemplativo, spietato quanto intrinsecamente romantico. Ancorato a una estetica da horror del passato che rende tutto simile a una favola nera. 

È un lungo viaggio tra incredibili paesaggi da sogno rarefatti, in compagnia di personaggi scontrosamente incapaci di comprendersi e capirsi, perennemente divisi, contemporaneamente a cavallo tra presente e passato, spiritualità e scienza, ma senza mai avere una qualsiasi idea di “futuro”. Straordinaria l’anti-eroina di Lily-Rose Depp, magnifico il conte non-morto di Skarsgard. Piccoli e amabilmente/umanamente patetici i “non eroi” di questo racconto: un piccolo manipolo di uomini comuni, scienziati e pazzi pertanto interpretati da un gruppo di attori tutti meravigliosi. L’intreccio appare semplice e diretto, come sempre in Eggers, ma sempre carico di spunti di riflessione.

Chi non ama Eggers non cambierà certamente idea sulla sua arte dopo questo Nosferatu, ma anche i detrattori più severi si porteranno a casa qualcosa della magia di questa pellicola. 

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