martedì 7 gennaio 2025

Cortina Express: la nostra recensione del cinepanettone “vintage” di Eros Puglielli, scritto insieme a Tommaso Renzoni, con protagonisti Christian De Sica, Lillo, Paolo Calabrese, Isabella Ferrari, Veronica Logan e Marco Mazzocca


Siamo in una Italia dei giorni nostri, giusto dal sapore “un po’ vintage”, in una delle città più iconiche e amate per glam e lusso nella stagione invernale. 

Sulle piste innevate di Cortina (che qualcuno scambiò per le Montagne Rocciose, nel film Cliffhanger), un piccolo e variegato popolo di autoctoni e turisti, allegro e felice, coperto da tute firmate e variopinte, scia spensierato sotto le note di un pezzo disco/pop “un po’ vintage”, che trasmette la sensazione agrodolce di una festa delle medie degli anni ‘80. 

In sottofondo, quasi fosse il prologo de Il signore degli anelli o di uno 007, prende vita, tra scintille dorate e la rotazione eperta di un tornio, un manufatto d’oro molto speciale: un anello nuziale adornato con le corna di un cervo, espressamente disegnate dalla novella sposina. 

Una classica cafonata dal sapore vintage, ma pure un simbolo di unione, lusso e corna, finalizzato a suggellare esattamente quanto promette. 

Promette infatti una “unione”, ma prettamente economica: finalizzata a  salvaguardare “il lusso” in cui vive una ricca famiglia della valle dalla bancarotta, i Giordano, a danni di una ricca famiglia più benestante, i De Roberti. 

Celebrato il matrimonio, la scafata e poco ingenua sposina Guendalina (Agata Samperi), sarà libera di mettere “le suddette corna” al giovane e un po’ minchione sposino/preda Andrea (Francesco Bruni), magari per buttarsi su un trapper un po’ bauscia come lo scarsissimo e iper narcisista Osso Sakro (Riccardo Maria Manera). Un piano semplice ma terribile, quasi perfetto, orchestrato, come in una telenovela un po’ vintage, da una “cattiva carismatica” come la risoluta imprenditrice discografica Patrizia Giordano (Isabella Farrari), insieme allo complicità, forse involontaria, dello stralunato e confuso consorte Aristide (Marco Mazzocca).

Un piano che tuttavia non ha tenuto conto di due variabili impazzite. 

La prima variabile è Lucio De Roberti (Christian De Sica), lo scafato e farfallone zio di Andrea, che si recherà di corsa a Cortina per fermare tutto, temendo la distruzione e dispersione di un patrimonio con il quale ha vivacchiato senza di fatto fare nulla da sessant’anni, buttando tutto su donne e nel gioco d’azzardo. Si impegnerà al massimo per mandare il matrimonio a monte, a costo di sputtanare il nipote, fotografandolo ubriaco mentre amoreggia con un travestito dopo una festa-trappola organizzata da lui stesso. Non si farà problemi a coinvolgere una escort nel furto dell’emblematico anello-cornuto, affidato come tradizione all’incasinato sposino, senza il quale tutta l’anima cerimonia potrebbe saltare. Nel frattempo, per tirare su due lire che non ha, Lucio cercherà di vendere a chiunque la sua Ferrari vintage rosso fiammante, tenuta come un cimelio in garage, almeno per 50 papagne: di sicuro non per 10, forse 40. 

La seconda variabile che potrebbe andare contro Patrizia è invece, ironicamente, proprio quello che per lei sarebbe stato idealmente “il piano B”, nel caso il matrimonio fosse andato a monte: l’ex cantante famoso e ora ristoratore romano Dino Doni (Lillo). A lui, che vive sull’orlo della disperazione, ha promesso con l’inganno una casa discografica in salute, oltre che una poco più che accennata speranza di una “liason amorosa direttamente con lei”. Tutte balle, ma balle a cui Dino, che un po’ vive ancora nel sogno vintage dello yuppismo anni ‘80, ha sempre creduto fortissimo. Al punto da prendere un treno diretto per Cortina insieme alla figlia Giorgia (Beatrice Modica), super fan di Osso Sakro, spendendo e sperperando migliaia di euro che non ha in taxi, hotel, ristoranti e vestiti, pur di arrivare a firmare quel contratto fintamente salvifico. Solo che Dino è così maldestro che è quasi programmato per generare un gran numero di sfighe, contrattempi ed equivoci che renderanno quasi impossibile la firma del contratto.

Dino e Lucio creeranno insieme così tanti “casini a valanga”da attirare pure l’attenzione della malavita locale, nella persona del truce ma pure un po’ “bonaccione” boss Alexei Smirnoff ( Paolo Calabresi). Un uomo pericoloso, con due occhi di colore diverso, ma molto legato al rispetto delle regole e alla musica di Dino Doni, che fa ancora fortissimo nell’est Europa. Alexei può essere anche simpatico e “giocoso”, ma vorrà infine anche lui un pezzo della torta.


Nonostante tutti questi giochi di potere, degni di una versione vintage del Trono di Spade, a Cortina c’è spazio anche per l’amore. Almeno “quattro tipi” di amore. 

L’amore “un po’ ninfomane”, che da anni cerca la ricchissima nobildonna Zanin (Veronika Logan), trascinando nella sua suite a cinque stelle ultra lusso camerieri e ogni tipo di giovane amante, pescato a caso dal ristorante per qualche ora di passione. 

C’è poi l’amore “a senso unico” che spinge Giorgia verso il trucidissimo e insensibile Osso Sakro: che la porta a cercare di entrare in intimità con lui nonostante il ribrezzo che prova per quasi tutti i suoi comportamenti.

L’amore “fintissimo, alternato da continua collera”, che in qualche modo misterioso lega quel povero ragazzo un po’ zerbinato di Andrea alla sua intollerante e dispotica sposina/carnefice. 

L’amore di Dino “per l’immagine grandiosa di Dino Stesso”: che lo costringe a pagare delle persone perché in un negozio di souvenir tipico qualcuno si fermi per “riconoscerlo”, come una grande stella della musica che brilla ancora. Così da “far vedere a sua figlia” che suo padre non è un fallito. 

Forse non le migliori premesse per un matrimonio o un qualche tipo di amore ma, in fondo, a natale sono “tutti più buoni”. Che da una tale sequela di tragedie, nel nome della ostentazione e della truffa, possa mai nascere qualcosa di davvero buono?  


A Natale, sono  tutti più brutti, sporchi e cattivi: “Marchette! Marchette!! Marchette!!!” Era questo il mantra dell’amatore seriale interpreto da De Sica, mentre spiegava perentoriamente a un figlio sparsato (un bravo Sermonti) il suo vero lavoro, nella precedente e riuscita opera diretta da Eros Puglietti:  la serie tv Gigolò per caso

Lì De Sica dava corpo a un “Trivellone” (storico personaggio dei cinepanettoni) nuovo, “moderno” o “2.0”. Un Trivellone che  non ostentava più  quella maschera di facciata, “socialmente e moralmente accettabile”, che era alla base della sua tragi-comicità, nonché pietra angolare di tutti gli anti-eroi protagonisti di questo filone cinematografico. Una maschera che reinterpretava l’arlecchino servo di due padroni ai tempi dello yuppismo“, presentandosi con poche variazioni ”fin dall’esordio del “genere/cinepanettone”: che per lo scrivente è più che altro riconducibile come archetipo a quel Pozzetto di Luna di miele in tre (che sarebbe potuto chiamarsi benissimo “Natale in Giamaica”), il primo film di Vanzina, datato 1979. 

Una maschera che ha accomunato tanti anti-eroi simili (coi volti di Pozzetto ma pure Banfi, Pippo Franco, Calà, Greggio e altri, almeno fino alla sua “strutturazione massima”, su De Sica), un po’ ruffiani e un po’ maldestri, spesso trascinati in una continua elegia di “travestimenti”, fughe da tavoli di ristoranti e camere d’albergo, con l’intento di “sdoppiarsi”, fisicamente e moralmente, per evitare randellate da parenti/potenti e mogli/opprimenti. Cercando narcisisticamente di apparire migliori, “almeno a Natale”, senza rinunciare alla loro personale “bolla di trasgressione” (spesso incarnata da una bella donna), fino a che ogni castello di carte insieme alla maschera cadeva, fragorosamente, sotto le risate della sala. 

Il De Sica diretto da Puglielli in quella serie tv era già diverso: rivelava candidamente di fare il gigolò, pragmaticamente, senza giri di parole, “marchette! Marchette! Marchette!”. 

Come di fatto tutti i personaggi di Cortina Express ci appaiono: “diretti”, senza filtro, pronti alla prima occasione che gli si propone a “svelare le carte” senza paura di apparirci orribili, opportunisti o superficiali. Tutti con licenza di essere cattivi, consapevolmente e candidamente in cerca di “sesso e soldi”, in una Cortina sbrilluccicante e super esclusiva che in quanto tale “nobilita tutti”, rendendoli “più candidi e carini”, sotto le luci e la neve di Natale. 

Cambia così il ritmo, ma anche la struttura del racconto, spegnendo quel “moralismo” che da sempre accomunava i cinepanettoni ai classici film di Natale americani, come ai film horror slasher di Wes Craven.

In un mondo di crociati del politicamente corretto, del resto, la “condanna all’immoralità” deve essere pure nella finzione cinematografica “a vita”, senza condizionale o possibilità di redenzione: chi ha toppato 30 anni fa, ha toppato per sempre, è “cattivo per sempre”. Ogni “tentativo di cambiamento”, ogni speranza di “essere migliori”: se vogliamo le “chiavi” e senso ultimo della lettura di film natalizio medio, dai tempi di Frank Capra, se non dai romanzi di Dickens, sono destinati alla irrilevanza. . 

E mettersi nei panni di personaggi come il Trivellonne di De Sica, in un mondo in cui non è più consentito nemmeno “pensare” fuori dalle regole come lui, non è più un lusso attuabile. 


Se l’antieroe si fa da parte, ci rimane la possibilità di empatizzare solo con il personaggio dell’“idiota”, il “candido” o “bambinone”. Certo, non lo troveremo mai “simpatico”: al massimo “buonino”, “innocuo”, “insapore”. A esagerare, una specie di Minions umanizzato. Quel non-personaggio, che da anni insegue Lillo, che in genere cammina dritto come un lemmings, buffo solo per il fatto di essere un lemmings. Buffo se non buffissimo in una serie di gag da pochi minuti, ma che su un film di due ore “si smaschera”, nel momento in cui lo spettatore medio “si sveglia e capisce”: come non può empatizzare per l’antieroe, lo spettatore non può riuscire nemmeno a empatizzare con un lemmings. Perché gli ricorda troppo il fatto che viviamo in un mondo in cui tutti, chi più chi meno, siamo ridotti dalla società alla stregua dei lemmings. Ridotti ad accettare tutto senza alzare la testa, sperando solo in sporadici “atti di pietà”. Ridotti a “elemosinare like” sui social, spesso fingendoci più “grossi” e “determinanti” di ciò che siamo, come Dino Doni elemosina a pagamento scampoli di una notorietà, che pensa sia l’unica panacea per “sentirsi bene”. È allora che si accende il “senso del tragico” e il personaggio tipico di Lillo, così passivo fino all’autodistruzione, ci fa avvertire tutta l’impotenza in cui viviamo. Una impotenza davanti alla quale una maschera come Fantozzi si ergeva potente ed eroica come una specie di titano, in quanto sapeva alzare la testa e criticare il potere, sebbene venisse puntualmente “rimesso nei ranghi”. 

Cosa ci rimane, se non possiamo più avere l’antieroe e l’eroe, pur comico, non è che un lemmings? 

Come nei cartoni animati, ci rimane da fare il tifo per i cattivi a tutto tondo. L’antieroe Trivellone, riciclato a cattivo, senza troppe sorprese funziona alla perfezione. Con lui funziona ancora e ovviamente un bravissimo De Sica, che rimane uno straordinario interprete. Come colpiscono in positivo, per stravaganza e codici morali “distorti”,  il villain lunare di Paolo Calabrese e il villain cinico di Marco Mazzocca. Come incarnano al massimo la sensualità e il cinismo senza compromessi le “femme fatale” di Veronica Logan e Isabella Ferrarri. 

Quanto sono belli, i cattivi. 

Solo che di colpo non si ride più come “aspetto principale” dell'esperienza, affrontando la visione direttamente come fosse un fumetto di Diabolik. C’è una location bellissima e lussuosa che profuma di ricchezza come Clereville (Cortina), c’è un oggetto prezioso da recuperare (l’anello cornuto), ci sono persone ambiziose quanto ambigue che se lo contendono (le famiglie di ricchi annoiati), criminali senza scrupoli per un paio di scene d’azione (i gangster dell’est) e un’auto di lusso che sfreccia sulle strade (una Ferrari al posto di una Jaguar). È letteralmente Diabolik, anche più della trilogia dei Manetti, con De Sica e la Ferrari che paiono Diabolik ed Eva Kant. 

Certo si ride ancora, facendo molto slalom tra il cinismo, ma è quasi una felice sfumatura extra: il prodotto finale è qualcosa dal sapore molto differente. 

Forse la serialità del precedente lavoro di Puglielli riusciva a preservarne maggiormente la verve comica. Forse Gigolò per caso, del 2023 era come opera stessa una versione riveduta e corretta meglio del lavoro ancora antecedente di Puglielli, il film del 2022 Gli idoli delle donne, in cui era protagonista un sempre insapore Lillo, nel solito ruolo “da Lillo”.

In Cortina Express si sorride, al più, assistendo a una specie di storia alla Diabolik. 


Finale: eccoci quindi al cinepanettone 2.0, debitamente ripulito anche di tutti quegli aspetti pruriginosi che tra docce sexy e giochini hot oggi sarebbero solo intesi come “sessisti”. Ripulito pure delle “note di trash”, al sapore di eloquio vernacolare, cacca di elegante o vomito verde-pesto, che hanno infuso una sorta di “eversione stilistica” nei cinepanettoni del nuovo millennio, perché “fa boomer”. Ripulito del “buonismo fuori tempo massimo” secondo quanto impone la “gogna social”, di cui abbiamo parlato poco sopra.  

Forse un cinema ancora poco ripulito dalle gag sulle imperfezioni estetiche, al punto che qualcuno potrebbe ridere del “vero colore” degli occhi del boss interpretato dal bravo Calabrese, che è esasperato a fini comici, mentre qualcun altro, inconsciamente, potrebbe già sentire il sicuro timore di offendere qualche minoranza, magari ancora non contemplata nel politicamente corretto.

Cortina Express si guarda come Assassinio sull’Orient Express: cercando sulla scena un cadavere e chi ne è colpevole. Qui il morto pare essere il cinepanettone in senso stretto: spolpato, macinato e ri-cucinato dai suoi stessi autori e interpreti, a vantaggio di una odiens moderna, in cerca anche di sapori nuovi e inediti. 

Ha un gusto effettivamente diverso dal solito, più cattivo e disincantato, meno divertente ma più luccicante. 

Presenta ancora delle suggestioni che richiamano gli anni ‘80, sapendo cullare il pubblico più antico con una parola magica come “vintage”, più e più volte esibita come una certificazione di qualità e di origine controllata su tutto quanto si vede e ricorda, dalle musiche alle automobili, dalle sempiterne piste innevate ai locali più in voga.

È un cinepanettone senza canditi però, la cui nuova forma andrà indagata a fondo, per capire se si tratta di rinascita oppure assassinio, sul Cortina Express. 

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