giovedì 20 giugno 2024

The Kill Room: la nostra recensione del surreale film sul mondo dell’arte di Nicol Paone, con protagonisti Uma Thurman, Joe Manganiello e Samuel Jackson

Ci troviamo in una New York periferica dei giorni nostri, tra le strade popolari di Hoboken. 

La gallerista Patricia (Uma Thurman), che si ritiene una delle migliori professioniste nel suo campo, è in crisi. La sua pittrice di riferimento, la giovane e insicura Grace (Maya Hawke), per la quale sente una specie di affetto materno, non vende più come prima ed è scontenta del patrocinio. La galleria è sommersa da debiti, l’edificio è molto fatiscente e tutto da ristrutturare, la stagista “che sembra un minion” Leslie (Amy Kewn) non aiuta e ci sono da pagare pure i debiti di Patricia. Debiti che “in periodi di crisi” sono nei confronti di persone un po’ losche, che occasionalmente le forniscono gli psicofarmaci necessari per reggere lo stress. 

Piegarsi e vendere tutto alla civettuola gallerista rivale Anika (Drew Hamingway) sembra ormai l’unica soluzione, quando dallo scaltro malvivente Gordon (Samuel L.Jackson), all’apparenza un panettiere jiddish di Hoboken, autoproclamatosi il miglior panettiere Jiddish di Hoboken, arriva un'inaspettata soluzione. 

Anche a Gordon gli affari vanno male, specie da quando hanno arrestato gli addetti della sua organizzazione adibiti al riciclaggio. La “crisi” è per tutti, ma la soluzione può essere “l’arte”. 

Gordon pagherebbe sottobanco per dei quadri-patacca che Patricia certificherebbe come opere d’arte di svariati mila dollari e poi entrambi dividerebbero in percentuale gli utili di soldi puliti. È una truffa bella e buona, ma Patricia è una gallerista di arte moderna credibile, decaduta ma affermata, e l’arte moderna risulta “soggetta” a valutazioni spesso “fuori parametro”, che coprirebbero in parte le sue balle. 

Titubante, la gallerista accetta. 

Ma servirebbe anche trovare un nuovo artista in grado di suscitare interesse e dare credibilità al tutto, magari un tizio nuovo, misterioso e carismatico. Gordon propone Reggie (Joe Manganiello), un tizio che lavora per lui, più che altro sulla base del ragionamento che per l’arte è tirare pennellate a casaccio su un foglio. 

Reggie non ha mai espresso velleità artistiche, è più famoso come killer che usa come modus operandi soffocare le vittime con sacchetti di plastica, ma fin dalle prime pennellate a casaccio ha del “potenziale”.  Di sicuro è anche lui il migliore nel suo settore. 

Il nome d’arte scelto è “The Bag Man” (letteralmente “l’uomo dei sacchetti”) e Gordon si premura di non rivelare altro su Reggie neanche alla gallerista. 

Ma ecco che la voglia di emergere di Patricia, in coppia con la voglia di Reggie di emergere come pittore e quella di Gordon di fare soldi, iniziano a mescolare le carte.  Le opere di The Bag Man, pur poche e blindatissime, pur stranissime e per alcuni osservatori parecchio brutte, funzionano.

Succede per via di svariati giri di parole e strani e immotivati incrementi di prezzo, più il passaparola, più “il mistero”, più il fatto che ognuno ha una propria visione dell’arte. I quadri, che sembrano fatti con pennellate simili a coltellate, e poi le sculture, a base e “tema” di sacchetti di plastica rosso sangue, iniziano ad attirare l’attenzione di collezionisti e critici d’arte leggendari. Tra questi, la quotatissima e terribile Kemono (Debi Mazar), che adora Bag Man. 

A Patricia viene così data l’opportunità di allestire un'importante esposizione con performance dal vivo di The Bag Man in un museo prestigioso. Kemono vuole un'intervista esclusiva tutta per lei e questo significherà una recensione leggendaria. 

Reggie grazie a questi riflettori pensa di riuscire a cambiare vita ed estinguere i debiti con l’organizzazione. Ma tutti questi risvolti non piacciono molto ai superiori di Gordon, una famiglia di malavitosi ma anche i migliori ristoratori di cotolette di maiale di Hoboken.  

Non piace il fatto che Reggie, che era bravissimo come killer, ora non si possa più utilizzare come tale. Non piace il fatto The Bag Man vende troppo e loro non ricevano una maggiore fetta di torta. Vogliono anche loro fare e vivere di arte, come di fatto ci vivono i clienti della gallerista concorrente di Patricia, che si occupano primariamente di traffico internazionale di armi. 

Intanto tra Reggie e Patricia nasce una particolare intesa che si trasforma in breve in rispetto artistico: i lavori del killer hanno di fatto qualcosa di speciale e unico, vivido quanto disperato. Un “dolore“ che la gallerista riesce a riconoscere e apprezzare, fino a che inizia a spaventarsi e a comprendere il reale lavoro di Reggie. All’improvviso la donna capisce che Reggie è davvero un killer. 

Lo scopre in diretta streaming e ha un attacco di vomito, che esprime dentro una scultura di The Bag Man: un sacchetto rosso sangue dove immagina di vedere dentro una testa soffocata. 

Riuscirà l’arte a essere più forte di tutti questi imprevisti? 

Riuscirà The Bag Man a diventare il migliore autore di arte moderna del futuro? 


Dopo lo straordinario, bellissimo e controverso The Square, con Uma Thurman  produttrice torniamo a vedere un film “mille volti” dell’arte moderna. 

Anche se Nicol Paone a prima vista sembra confezionare un film abbastanza divertente e sopra le righe, per molti versi anche abbastanza convenzionale e non esplosivo nella messa in scena, The Kill Room è dotato di un'importante dose di cinismo e scorrettezza che ne fanno un’opera del tutto singolare, crudelmente sarcastica quanto a tratti quasi tetra.

The Square ci parlava di “spazio”, del confine più o meno valicabile tra l’arte moderna e il mondo fisico, portandoci alla ricerca di simboli, segni e forme,  che nel loro atto realizzativo “si fanno e diventavano” anche performance disturbanti degli stessi artisti, primitive quanto potenti. The Square puntava con intelligenza e ironia sul valore espressivo, sulla ricerca di emozioni forti attraverso un medium come l’arte. 

The Kill Room ci parla invece di denaro e affini, che si moltiplicano in virtù della prezzatura di un’arte nata senza intento artistico, riconoscibile però emozionalmente in termini di forza e violenza realizzativa. L’atelier del killer Bag Man è così una “Kill room”: un mattatoio dove rappresenta su tela l’unica cosa che ha imparato a fare negli anni, cioè uccidere. Tuttavia, essendo “arte moderna”, perfino la gallerista impersonata dalla Thurman ci mette un po’ a decodificare il significato delle sue opere. Per poi indignarsi. Per poi un secondo dopo ritenerle nuovamente delle belle opere e ritenere di nuovo Bag Man effettivamente un talento. 

Il film di Paone vive su continui “cortocircuiti” di questo tipo: storie di truffe e truffatori che forse non sono però del tutto accreditabili come tali “perché dietro c’è comunque del talento”. Magari non talento “a 360 gradi”, ma comunque del talento che può essere riconosciuto. 

È un film che si radica quasi su una “ossessione per il talento”, malattia di cui soffrono tutti i protagonisti sulla scena, ma che gli permette la ricerca di un loro ruolo nel mondo.

Il serafico personaggio di un Samuel Jackson è un malavitoso controvoglia, ma con grande talento è anche un panettiere. La Thurman è una pessima gallerista in bancarotta ma ha talento per dire balle. Bag Man un killer infelice, ma col talento per la pittura. L’organizzazione criminale funziona meglio come ristorazione. 

Sono tutti ossessionati dallo spreco del loro per talento. 

Un'ossessione che poi diventa talento quasi per “autocertificazione”, di fatto spernacchiando un po’ la critica e i suoi mezzi di valutazione basati su parametri “materialistici”: come la presunta “preziosità” di un oggetto sulla base di recensioni favorevoli (che si possono falsare) disponibilità sul mercato (che si può falsare), prezzo (che si può anche lui falsare), firma di un autore (falso). 


Solo dopo che sono state “certificate come  arte”, le opere di Bag Man diventano di colpo opere piene di fascino e significati profondi… che vanno anche al di là degli effettivi intenti. È solo allora che “il primitivo diventa arte”, sembra suggerire Nicol Paone. Decisamente un punto di vista scorretto, ma in qualche misura anche squisitamente “critico” di un sistema che oggi potrebbe, per qualcuno, far fatica a smentire che le cose possano di fatto accadere in questo modo. 

Interessante e davvero inquietante il ruolo di Joe Manganiello, che nemmeno per un istante assume i contorni comici che ci si aspetterebbe. Il suo Bag Man, killer sul serio con velleità artistiche, in qualche modo rimane impresso e ci fa temere sul possibile “cuore nero” degli autori di certe opere d’arte decisamente disturbanti. 

Anche il fatto che venga dipinto un mondo dell’arte in perenne balia di ricchi e loschi faccendieri mette una certa ansia, piuttosto che stimolare ironia. Adeguato, ma un po’ convenzionale, il lavoro del resto del cast.

Scorrevole la scrittura, sebbene ogni tanto il ritmo si faccia altalenante e la “transizione” tra i momenti più leggeri e quelli drammatici non sempre appaia riuscita.

L’idea alla base della costruzione del film è però davvero stimolante e fa meritare a The Kill Room di Nicol Paone almeno una visione. 

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