mercoledì 28 febbraio 2024

La natura dell’amore (Simple comme Sylvain): La nostra recensione della nuova commedia sentimentale scritta e diretta da Monia Chokri, autrice canadese musa di Xavier Doland

 


Il rapporto tra la docente universitaria Sophia (Magalie Lepine Blondeau) e il suo finanziato Xavier (Francis-William Rheaume), intellettuale sempre in giro per conferenze a Ottawa, si è fermato alla pompa di benzina. 

Lui seduto in auto, lei alla pompa, a fissare una coppia più felice di loro a ruoli invertiti a pochi metri. 

Lui, finisco minuto e occhialetti rotondi, ha appena tacchinato una francese di nome Josephine e ora, a casa, sembra indubbiamente intenzionato a tradire la moglie, essendo cascato nel classico giochino psicologico femminile: “Mi tradiresti con questa tizia se tu e lei doveste essere gli ultimi uomini sulla terra?”. Lui è caduto nel tranello e ha risposto di sì, anche se gli sembrava impossibile sopravvivere per un mingherlino come lui, in un’era postatomica, rispetto al nascente popolo di “uomini medi /super atleti” dedito al crossfitness. 

Ma tanto è bastato per la crisi. 

A letto, in letti separati. 

La coppia inizia a vacillare.

Il giorno dopo lui parte per congressi e lei va a supervisionare lo stato dei lavori della loro nuova casa di campagna, affidata da un muratore del posto di nome Sylvain (Pierre-Yves Cardinal). Lui parla per ore di ripristinare tubature del 1942 e spera che il circuito elettrico regga. Lei vede un ragazzone affascinante enorme e barbuto in camicia a quadri da boscaiolo, ma dallo sguardo gentile. 

Gli piace, si sente “sola” e si sfoga. Lui mansueto la ascolta nei suoi drammi personali più che sulle richieste di un sottotetto con cappotto. La conversazione parte sul luogo dei lavori, passa nel folcloristico bar locale pieno di boscaioli e poi direttamente nell’auto piena di chiavi inglesi e attrezzi del muratore, con intenti sempre più peccaminosi. 

Dopo un paio d’ore fanno sesso direttamente in quella che sarà la nuova taverna. 

I giorni passano, ma Sophia sente sempre più bisogno di contattare Sylvain per parlare del cappotto termico. Un po’ a tutte le ore. 

La nuova relazione prosegue, mentre Xavier non se ne accorge anche perché ha problemi con il padre con l’altzeimer e la gestione di una madre super preoccupata per la discendenza della prole, che vuole nipoti già ora, subito. 

La suocera chiede anche a Sophia se è disposta per lo meno a congelare gli ovuli adesso, mentre è ancora fertile, nel caso dovesse protrarsi per troppo tempo la sua “mania carrieristica dall’insegnamento” per quel suo corso di filosofia per anziani che non servirà mai a niente e nessuno. La coppia originale piano piano si rompe del tutto, anche perché lei sa che di passione per il segaligno intellettuale non ne ha più e non ce ne era più già da tempo.

Basta salottini/conferenze per libri/ incontri chic con tizi che sproloquiano sulla fine del mondo, scenari da terza guerra mondiale, l’immigrazione e l’abbassamento dell’asticella del mondo verso il proletariato. Meno visite anche al fratello lunare di Sophia, il poliamoroso Olivier, come alla sua mamma perennemente depressa. 

Il marito Xavier  piange e se ne va con tutto il suo mondo. 

Ora Sophia frequenta i salotti più rumorosi e proletari di Sylvain, dove la gente urla, è promiscuamente attiva e le donne vengono trattate non troppo raffinatamente. 

La birra alla Alien ha in fondo spesso un sapore più buono delle bottiglie di vino di lusso. 

Ma in un attimo anche per il rude ma gentile Sylvain la gelosia pullula e galoppa. 

Accade per un vecchio giaccone di Xavier incautamente conservato da Sophia “solo perché comodo”. Il muratore in brevissimo mette fine alle gite sul gatto delle nevi, al nuovo sesso creativo sadomaso a base di collari, alle sue “sentite ma un po’ goffe” citazioni poetiche/amorose di autori controversi in odore di Xenofobia amati da lui. 

Sophia intanto cerca di venire a capo di quello che ha avuto e ancora vuole dall’amore, cercando di decifrarlo e comprenderlo nelle sue mille sfumature proprio a partire dagli insegnamenti dei filosofi che affronta in aula per i suoi studenti della terza età. L’insegnante sarà in grado di definire razionalmente la natura altalenante del sentimento confusivo e stordente che la sta travolgendo? 

O forse ciò che davvero sta cercando oggi è solo voglia di libertà? da ogni tipo di legame nei confronti di uomini così diversi ma in fondo ugualmente “tossici”?


Monia Chokri scrive e dirige una divertentissima commedia sull’amore e i suoi problemi tra “passione e quotidianità”, tra “cuore e cervello”, con al centro una irresistibile protagonista simpatica e stralunata con il volto della brava Magalie Lepine Blondeau. 

La nostra eroina riflette, si scervella, abbozza e soppesa ogni pro e contro, ma infine si muove come una palla impazzita tra ragione e sentimento. Dribbla i luoghi comuni tra borghesia e proletariato con un sincero “chissenefrega” di pancia, cambia stoicamente punto di vista.

Ma infine Sophia si invischia comunque nei casini di un troppo grande gioco di ruolo “sociologico/escatologico”, da lei stessa avviato ma forse più grande di lei, che in ultima istanza appare più tragico che erotico. 

Difficile non voler bene al personaggio della Blondeau, che in fondo è perfetta sintesi delle quattro donne di Sex and the City, specie quando sembra distaccarsi dal corso della trama e andare per una strada narrativa tutta sua, abbattendo i più triti luoghi comuni e dinamiche relazionali consolidate, in ragione di uno spirito più avventuroso che rivoluzionario. 

I suoi due “pretendenti” di contro, sospesi tra intellettualismo e machismo, sono entrambi destinati a soccombere dentro i cliché grandiosi che li muovono, autoparodizzati fino alla macchietta, tragicamente incapaci di reinventarsi guardando oltre al loro ego ed egoismo.

 Alla fine l’autrice di questa pellicola sembra quasi dire, con tutta la dovuta ironia del caso e tutta la forza della metafora, che chi mette la benzina nella propria auto è chi comanda davvero il suo destino, e forse deve pensarci più di una volta se caricarsi in auto un passeggero troppo ingombrante. 

La natura dell’amore non è quindi un film sull’amore per gli altri, quanto sull’amore per se stessi. È prima di tutto una ironica e irresistibile pellicola sulla “crescita personale”. 

Ottimi i tempi comici, brillanti gli interpreti, una narrazione sempre gioiosamente sopra le righe, ma anche un interessante utilizzo del pensiero accademico (qui si parla di filosofia universitaria come in Supereroi di Genovese si parlava di matematica) che sa dare più di una stoccata intelligente e originale all’intreccio. 

Un ottimo film per imparare ad amarsi prima di cercare il vero “grande amore”, se mai esiste. 

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