Roma, più o meno ai tempi gloriosi della “dolcevita”.
La signora Elvira (Carmen Pommella) porta le figlie Mimosa (Rebecca Antonacci) e Iris (Sofia Panizzi) a vedere al cinema “Sacrifcio”, un film sul secondo conflitto mondiale ambientato nella capitale. Un soldato americano, interpretato dall’attore inglese Sean (Joe Keery), salva la vita a una ragazzina mentre la città viene liberata dal nazi-fascismo e gli ultimi atti di violenza e sopruso sono ancora in corso. La madre della piccola, interpretata dalla diva Alida Valli (Alba Rohrwacher) non è riuscita a fuggire alla mattanza, ma la paura è finta. Sullo schermo, nella scena finale, piazza di Spagna è quasi “magica”, del tutto diversa da quella reale, che si trova non molto distante dal cinema dove si tiene la proiezione.
È sospesa nel bianco e nero, deserta “nell’alba” alle prime luci del giorno, quasi intima nell’incorniciare l’incontro di due sguardi, la ragazzina e il soldato, riuniti in una unica carezza.
Il soldato si dilegua, titoli di coda.
In platea sono tutti a piangere ma anche a ricordare che “una volta i film erano più belli”.
Iris è ancora incantata e sogna di avvicinarsi a questo mondo fatato, quando quasi per caso è invitata da un ragazzo molto convincente ed “esperto” a partecipare a un casting, che si tiene il giorno dopo.
Cercano comparse per un film americano di stampo epico, quei “peplum” che a Roma chiamavano anche “sandaloni”, con protagonista una grande diva come Josephine Esperanto (Lily James) nel ruolo di uno spietato quanto storicamente oscuro faraone donna. E poi nel cast c’è alche Sean, il bellissimo Sean di Sacrificio.
Iris sogna in grande e prepara il vestito più bello e il trucco: anche se mamma e papà non sono decisamene d’accordo sui primi momenti, infine cedono a tanta passione. Mimosa neanche ci pensa, è ancora più difficile per lei sognare Cinecittà perché già fidanzata in casa, con un buon partito, magari un po’ impacciato e bruttino ma che di sicuro la porterà all’altare senza problemi, per poi farne un'ottima donna di casa.
Arriva il giorno delle audizioni e per circostanze particolari partecipano al casting sia Iris che Mimosa, mentre la madre aspetta fuori dalle porte.
Le ragazze sono in coda, hanno un numero, poi arriva il loro turno.
Davanti a una specie di piccolo plotone di esecuzione, distaccato quando intento a scrutare corpi e volti al microscopio con dei fari, le due ragazze sono chiamate, in momenti diversi, a spogliarsi dei loro vestiti. In pubblico, per la prima volta nella loro vita.
Gli egiziani erano nudi, non lo sapevate? Le ragazze non sapevano di questa richiesta, anche perché chi le ha portate lì è in fondo un tipo “improvvisato”, un amico di un amico che non aveva idea dei dettagli del provino.
Iris si spoglia e va avanti nel casting, al trucco e verso una scena di massa.
Mimosa non ci riesce, viene chiamata ad allontanarsi ma incrocia nei corridoi Josephine, la grande diva di Hollywood, la “faraona”. Il loro sguardo si incontra per un istante, come quello di Sean e della piccola protagonista di Sacrificio. Josephine ha indosso un elmo dorato e un trucco pesante che ne copre ogni espressione, Mimosa brilla nella sua timidezza e spontanea tristezza per il brutto momento di umiliazione appena patito.
La diva è colpita.
Mentre Mimosa vaga ancora verso la porta di uscita, cercando di capire che fine abbia fatto sua sorella o dove le aspetti sua madre, qualcuno richiama la ragazza appena scartata ma ora improvvisamente ripescata per volere di Hollywood.
Subito in sala trucco, perché la star la vuole al suo fianco nel ruolo di ancella, in primo piano e ben lontana dalla folla oceanica delle comparse mezze nude tra cui c’è Iris.
Siamo ancora a Roma ma di nuovo non è più Roma.
Cinecittà tra scenografie sontuose, abiti e trucco, centinaia di comparse, luci e sabbia si trasforma in un istante nell’antico Egitto.
Sean è un principe di un paese straniero che sceglie alla adulazione della sovrana l’amore della giovane principessa, interpretata dalla stella nascente di Hollywood Nan Roth (Rachel Sennott), ponendola al di sopra del suo esercito e dei suoi uomini. La regina egizia, tradita e abbandonata, interpretata da Josephine, lo annichilisce uccidendo gli uomini del principe davanti ai suoi occhi, con un ordine che ha il sapore della vendetta.
La sua ancella, Mimosa, assiste alla scena e piange. Il trucco del suo viso incipriato di bianco si scioglie lasciando il posto alle lacrime. Josephine la guarda e al contempo si commuove lei stessa. La scena è perfetta. Il momento è perfetto e unico.
Le riprese finiscono ma Josephine non vuole in alcun modo abbandonare Mimosa: vuole che sia ospite sua e di Sean per la sera, tra ristoranti e una festa molto esclusiva che si tiene in una villa in riva al mare. Una festa sontuosa è immensa, piena di ospiti come Alida Valli e cantanti di grido (Michele Bravi quasi in versione David Bowie). Per Mimosa è un'occasione imperdibile, ma quel luogo è stato di recente anche tristemente noto per misteriosi fatti di cronaca. In tutto quel caos Mimosa troverà però un amico, il galante e sensibile albergatore Rufo Priori (Willem Dafoe).
Saverio Costanzo scrive e dirige un film frenetico e drammatico, sfarzoso quanto inquietante, che ci pone all’interno di una “dolcevita felliniana” gargantuesca e luccicante ma piena di pericoli e insidie, dove la natura umana dei personaggi è più volte svilita e schiacciata, dalle passioni e dalle pulsioni che si rincorrono lungo una notte infinita di eccessi e traumi, dove le logiche di potere e sopraffazione valgono più dei sentimenti.
Quasi un film horror, dove la fragilità del personaggio meraviglioso interpretato dalla brava Rebecca Antonacci viene costantemente posto a contatto e in sfida ad autentiche “tigri di celluloide”, donne aride e crudeli (quanto intimamente parimenti fragili) disposte a tutto pur di entrare o emergere come figure dominanti, di un piccolo dorato mondo dello spettacolo che invece Mimosa attraversa con una classe e naturalezza quasi aliene, incantando pubblico e critici con la sua espressività.
Un po’ come il neo realismo che gli americani ci hanno sempre invidiato.
Mimosa come Cappuccetto Rosso finisce presto vittima di un ambiente sadico quanto pregno di rituali relazionali quasi “pagani”, da setta elegante alla Eyes wide shut, immergendosi in un labirinto emotivo carico e caotico in egual misura di lusinghe e trappole mortali dal quale non potrà salvarsi, se non perdendo un po’ della sua ingenuità, tirando fuori anche lei gli artigli. Molto brava Lily James nel vestire i panni di una diva complessa quanto crudele nella costante paura che i riflettori su di lei possano spegnersi da un momento all’altro, perennemente in cerca di vittime sacrificali per allentare la sensazione di essere lei stessa vittima del sistema in cui abita. Molto bravo Joe Keery nel rivestire i panni di un uomo che malinconicamente ha scelto di abbandonare i suoi sogni e i suoi freni inibitori non riuscendo a essere l’uomo perfetto che avrebbe voluto essere, abituandosi a rivestire il ruolo di estetico ma un po’ vuoto “figurante” anche fuori dalla scena.
Straordinario Willem Dafoe e il suo amico-tuttofare-altolocato, che riesce a guardare la bellezza del mondo del cinema perdonando gli eccessi e drammi interiori al suo interno, guardando paternamente bonario e misericordioso i piccoli attori disperati che lo abitano, ricordando loro che nonostante tutto, per moltissime persone, loro “sono stelle”.
Cinecittà e il “mondo che la contiene” è maestosa nelle ricche scenografie di Laura Pozzaglio, nei centinaia di costumi di Antonella Cannarozzi. Il piccolo mondo riverbera dei colori brillanti della fotografia di Sayombhu Mukdeeprom (apprezzato anche per Suspiria di Guadagnino), che più volte reinventa Roma tra la finzione del cinema e il “reale“, facendo dialogare le due grandi facce della stessa capitale in scenari iconici come piazza di Spagna.
Le musiche di Massimo Martellotta giocano tra la modernità e il classico, conferendo un senso avvolgente di glorioso disincantato che cita e reinterpreta un passato glam anche grazie alla sfiziosa voce di Michele Bravi .
Il film corre veloce, il montaggio di Francesca Calvelli prima ci inebria in modo estatico del grande pathos febbricitante del set intorno al film peplum, poi ci trascina in un labirintico mondo notturno noir, poi sa tornare alla lentezza e alla contemplazione degli “attori senza le maschere” nell’ultima parte, malinconica quanto “liberatoria”.
Grande cinema, da apprezzare al meglio in una grande sala. Un cinema non conciliante ma concitato, gustosamente sarcastico ma che non perde occasione per trasportarci con le sue inquadrature ricche e avvolgenti dentro Il romano sogno di celluloide che da sempre affascina la nostra settima arte. Per chi ama il cinema, ma anche per chi non lo ama troppo.
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Dico la verità, a me non ha convinto del tutto... specie la parte finale. Però è indubbiamente un film coraggioso, dal respiro epico, che ha il coraggio di osare. E anche molto raffinato. Per certi versi mi ha ricordato Babylon di Chazelle che a me è piaciuto molto. Avercene di film così "imperfetti" dove però si respira cinema e passione.
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