martedì 23 gennaio 2024

Foglie al vento (Fallen leaves): la nostra recensione del nuovo piccolo capolavoro, romantico e ironico, del regista finlandese Aki Kauriamaki

Finlandia dei giorni nostri, con alla radio le notizie sempre più drammatiche sulla evoluzione del conflitto russo ucraino.

Nei supermercati le persone riempiono i carrelli di tutti i generi di prima necessità in attesa di tempi difficili, nei bar si fuma e si beve molto, ovunque si respira cinismo e nervosismo. 

C’è ovviamente poca voglia di parlare a Helsinki e spesso, nel silenzio, la voce interiore che anima i sogni e le passioni di ognuno è demandata alle parole delle canzoni popolari trasmesse in filodiffusione nei locali, sulle onde della radio della sala da pranzo, tra i microfoni e gli accordi stonati degli avventori del karaoke.   

Il signor Holappa (Jussi Vatanen), con nome di battesimo a tutti ignoto, è un uomo sulla quarantina dai capelli biondi, la barba di un paio di giorni e l’aria stanca. Sotto una specie di scafandro ignifugo lavora come saldatore, tutto il giorno, per una misera paga in un piccolo distretto industriale. Beve molto perché è depresso ed è depresso perché beve molto. Poca voglia di parlare ovviamente, se non che l’amico di cantiere che meno disprezza lo invita il venerdì sera al Karaoke. È poca la voglia di abbandonare il suo fumetto di Superman e la sua branda nel vagone/albergo dove riposano di operai del cantiere, ma con un po’ di buona volontà Holappa arriva al locale e scopre che il posto è carino e l’amico ha pure una meravigliosa voce da soprano/tenore (o quelle cose tecniche lì…). Canta bene e in più l’amico fa colpo su un paio di bionde sedute in un tavolo vicino a loro, una delle quali è davvero molto carina quanto purtroppo tremendamente timida (Alma Poysti). Gli sguardi di Holappa e della ragazza  si incrociano e forse nasce qualcosa, anche se ancora faticano a guardarsi a lungo. 

A fine serata la ragazza ritrova Holappa addormentato ubriaco sulla panchina in attesa del tram e colta dalla sicurezza di vederlo in uno stato di semi incoscienza decide di sfiorarlo: un po’ per sincerarsi che non sia morto, un po’ per regalargli una carezza. L’uomo rimane privo di sensi in tutto e per tutto, ma quando il tram con la ragazza si allontana apre gli occhi, la cerca, scopre di essere stato travolto da qualcosa di bello. 

Il destino li fa incontrare di nuovo davanti a un bar, dopo che il padrone del locale in cui la ragazza lavorava da poco come cameriera è stato arrestato per traffici loschi. La ragazza è la seconda volta che perde il lavoro nel giro di pochi giorni e per cause assurde. La volta precedente ha dovuto abbandonare il lavoro di commessa di un supermarket perché è stata trovata con indosso un panino scaduto, da un zelante custode un po’ impiccione. Il panino era stato da lei intascato per mangialo, al posto di essere distrutto nella spazzatura a fine turno: un crimine sanitario ai danni di se stessa. Senza panini scaduti, senza un euro e senza niente da perdere da un datore di lavoro ormai agli arresti, la ragazza si trova così a passare un po’ di tempo con Holappa. 

Vanno prima in un bar e poi in un cinema dove danno un film sugli zombie di Jarmush con Adam Driver e Bill Murray. Si scopre che non c’è niente che leghi al mondo come un film sugli zombie e l’ex cameriera decide di dare il suo numero al saldatore per un prossimo incontro.

Lei va via e lui tutto felice lo mette in tasca. Due secondi dopo, mentre estrae il pacchetto di sigarette dalla stessa tasca, il biglietto vola via, perduto per sempre, mentre ancora il saldatore gioisce per aver incontrato la donna della sua vita. 

Il giorno dopo, malinconico per la perdita del numero, il saldatore si ferisce sul lavoro. Arriva il medico e  trovandogli nel sangue un alto tasso alcolico, per via della sua “depressione etilica” di cui sopra, parte il licenziamento. Holappa deve affacciarsi di nuovo sul mercato del lavoro. Anche l’ex commessa ed ex barista è in cerca di lavoro e lo trova proprio in una fonderia come quelle lasciata da poco da Holappa. 

Nei tempi liberi dalle ricerche di lavoro e successivi licenziamenti, i due innamorati grazie al film degli zombie continuano a cercarsi e rincorrersi al bar, al cinema, per luoghi e persone che forse hanno in comune. 

Ma è come se sempre all’ultimo momento non riescano mai nel loro intento, mentre da qualche radio arrivano canzoni popolari classiche e moderne finlandesi che “li capiscono”, che parlano della difficoltà di amare, della difficoltà di amare se stessi e della difficoltà di vivere in un posto così oppressivo che anche una volta che sei morto sei circondato dalle sbarre, quelle del cimitero. Riusciranno a incontrarsi di nuovo, i nostri due piccioncini, in questi “tempi moderni” spietati e un po’ cinici in cui nessuno in tutta la Finlandia sembra essere davvero felice?

Torna nelle sale l’ironico e romantico Aki Kauriamaki, con un film come da tradizione ironico e romantico, girato nel quartiere di Kallio a Helsinki. Presentato come una ideale continuazione della trilogia composta da Le ombre del paradiso (1986), Ariel (del 1988) e La Fiammiferaia (del 1990), Foglie al vento ci parla quasi in contro tendenza a Un colpo di Fortuna, l’ultimo film di Woody Allen, descrivendoci un’umanità quasi sadicamente perennemente trafitta dalla sfortuna, nella ricerca un po’ svogliata ma titanica di equilibri precarissimi, con cui dialogare senza scontrarsi male con il mondo che la circonda. Un'umanità così contratta su se stessa da demandare ogni emozione alla possibilità di intercettare, come “antenne viventi” delle colonne sonore che riescano ad esprimere preconfezionatamente i suoi sentimenti. Una umanità rappresentata da una coppia per caso, amabilissima quanto male assortita, che colleziona stoicamente avventure sempre più strampalate, nella complicata missione di incontrarsi, anche solo per un minuto. Ci riesce a tratti, anche con l’aiuto di un parimenti eroico cagnolino, facendo lo slalom tra incidenti, angherie, fraintendimenti e vicoli ciechi. 

La narrazione è fluida, i tempi comici e romantici tutti perfetti. 

La fotografia è calda e solare, le scenografie sono gustosamente retrò nella costruzione di spazi che richiamano un mondo dal passato grandioso quanto spoglio, quasi post-industriale. 

Il film perfetto per chi sa di avere un animo romantico “nonostante tutto”, in cui  Kaurismaki cita se stesso nella sua versione meno disincantata ma ancora sognante, al contempo ispirandosi direttamente anche all’ultimo Jarmush, quello “più escapista possibile” nei confronti di un mondo così incomprensibile trova come unica arma di autodifesa solo l’autoironia.

Poi all’improvviso tutto si eleva, arrivano anche le citazioni a Chaplin e ci accorgiamo di colpo che con Foglie al Vento siamo davanti a una nuova versione di Tempi Moderni

Un Tempi Moderni debitamente 2.0, “attualmente paranoico”, dove  una radio che esprime i sentimenti dei protagonisti più volte passa dalle canzoni al radiogiornale e ai suoi bollettini di guerra. Ma anche un Tempi Moderni dove l’essenza pura ed eroicamente ingenua dei personaggi appare immutata, “in tragedia e in povertà”, permettendogli di affrontare a testa alta ingranaggi lavorativi e umani sempre più ciclici e senza uscita. Armati della sola grazia e ironia con cui sanno “incassare” dal proprio destino riuscendo a rialzarsi, i piccoli eroi romantici di Kaurismaki avanzano inesorabili e pieni di lividi verso una felicità impossibile. 

Il destino arriverà sempre come una mannaia ma potranno sempre immaginare di “fregarlo”, sottraendosi all’assurdo delle cose e ponendosi anzi spavaldamente al di fuori di ogni tipo di negatività. Resilienti come una barra d’acciaio che non si spezza pur se molto battuta, secondo leggi della siderurgia che oggi abbracciano anche la descrizione della tenacia dell’uomo davanti al dolore. 

80 minuti che volano e confortano, divertono e abbracciano. Forse una delle migliori pellicole di Kaurismaki, dove non c’è un solo elemento messo a caso, dove gli interpreti sono sempre strepitosi e dove dispiace davvero abbandonare la sala a fine visione, sottraendosi così a quella che a tutti gli effetti è una piccola magia. 

Una favola moderna sul disincanto dalle favole, da tenersi stretta nei momenti di maggiore sconforto come “pellicola salvavita”. La dimostrazione che Kaurismaki, pur giocando con temi, personaggi e luoghi a lui cari, riesce ancora come una volta a essere un magnifico e caldo narratore per immagini. 

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1 commento:

  1. Indubbiamente è da vedere, con annesso ripasso dei film precedenti del regista.

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