lunedì 29 gennaio 2024

One Life: la nostra recensione del film di James Hawes con protagonista Anthony Hopkins

Nel 1988 un lord inglese settantenne che per tutta la sua vita si è dedicato alla beneficenza, Sir Nicholas Winton (Anthony Hopkins), si trova a dover sgomberare il suo vecchio ufficio per un trasloco, quando gli capita tra le mani un suo vecchio quaderno pieno di foto, documenti e ritagli di giornale, relativo al periodo in cui aveva lavorato per la BCRC (British Committee for Refugees from Czechoslovakia). 

L’uomo, conscio dell’importante valore storico del plico, cerca di portarlo all’attenzione della stampa e delle associazioni, ma trova solo porte chiuse e indifferenza: è roba di oltre un secolo che non importa più a nessuno. Fino a che, molto titubante, decide di rivolgersi a uno show tv della BBC dal titolo That's life!: un People show condotto dall'annunciatrice Esther Rantzen. 

Mentre si avvicina sempre di più la data dell’incontro con la produzione, iniziano a riaffiorare ricordi di molti anni prima. Quando Winton era solito aspettare alla stazione di Londra dei convogli carichi di bambini, con il timore mal celato che potessero infine non arrivare. 

Siamo nel 1938. Siamo alla vigilia invasione dell’Austria e dello scoppio della seconda guerra mondiale. Winton ha 29 anni (interpretato da Johnny Flynn) ed è un agente di cambio di Londra finito un giorno per lavoro in Cecoslovacchia, dove viene presto a contatto con la dura realtà degli esuli da Praga: un piccolo popolo in fuga, spaventato e denutrito, che cerca riparo come può tra fienili e sottoscala di fortuna, nella speranza di potersi spingere un giorno sempre più lontani e presto fuggire dall’arrivo dei nazisti. Ma come possono i bambini, specie se denutriti o rimasti soli, continuare quella fuga infinita? 

La famiglia di Winton è di origine erbaica e dalla Germania è fuggita anni prima in direzione dell’Inghilterra, dove la madre Babette si è convertita alla chiesa inglese. Sono più che benestanti, hanno risorse e molti agganci politici: Winton decide di provare a salvare almeno i bambini di Praga. Tutti quelli che può. 

Inizia con la BCRC un lavoro infinito di documentazioni, richieste di asilo per profughi, proposte di affidamento dei bambini a famiglie inglesi a mezzo stampa, mediazioni tra rabbini ed ecclesiastici. È tutta burocrazia e spesso per ungerla serve tempo, dissuasione e compensi extra, ma è così efficace da lanciare dei ponti insperati. Mentre Winton lavora con la diplomazia, gli altri della BCRC in Cecoslovacchia allestiscono rifugi provvisori, spediscono foto, preparano convogli ferroviari con i bambini cercando di non dividere i fratelli dalle sorelle: con la promessa e la speranza che un giorno genitori e figli possano incontrarsi di nuovo, a fine conflitto. 

I treni partono e arrivano, i bambini cambiano nome per sicurezza e trovano nuove case. Ma è una corsa contro il tempo. I controlli alla frontiera si fanno sempre più difficili. I volontari vengono in parte fermati o dispersi.  Il sogno di Winton di rivedere al Londra una ragazzina che aveva incontrato per strada nel suo primo viaggio, di cui conserva solo una foto, inizia a sembrare impossibile. 

Gli anni passano e la BBC inizia una serie di puntante con protagonista proprio la storia di Winton. L’uomo si sente un po’ fuori luogo, è molto giù di morale, ma accade qualcosa. A un certo punto tra il pubblico iniziano a farsi largo verso il settantenne alcuni dei bambini a cui l’uomo è riuscito a salvare la vita. 


Il britannico James Hawes, regista televisivo di show come Doctor Who, Penny Dreadful, Black Mirror e Snowpiecer, debutta al lungometraggio con questo docu-film basato su If it’s not impossible…the live of Sir Nicholas Winton, libro scritto da Barbara Winton, sceneggiato dalla Lucinda Coxon di The danish girl e da Nick Drake. 

È una storia di coraggio e di amore che punta dritto a smuovere la commozione del pubblico, piena di bambini e treni da attendere con apprensione a fianco del nostro protagonista “da giovane”, oppure con il cuore costantemente in gola per non essere riuscito a fare mai abbastanza del nostro protagonista in versione più anziana. La verità, tra passato e presente, piano piano collima e va a ricostruisti fino a un parte finale davvero commovente quanto garbata, quasi sussurrata nella sua sua forza dirompente. 

Virtualmente e brevemente si susseguono scene che il cinema ha più volte raccontato con pellicole come Schindler’s List, Il pianista, Il bambino con il pigiama a righe, ma il punto di vista di Hawes rimane sempre sul “peso della distanza”, sul senso dell’impotenza e dell’ineluttabilità che ha afflitto gran parte del mondo in quell’epoca, proprio a partire da quei “patti impossibili” che hanno visto tutte le grandi potenze piegarsi davanti a Hitler, cercando un segno se non di clemenza “di buon senso”. 

In One Life il conflitto armato è solo un “dopo”, la storia parla piuttosto degli ultimi fili possibili della diplomazia prima che tutto si spezzasse ricacciando il mondo nella seconda grande guerra. 

Un filo di speranza che ha portato i suoi frutti e che è forse in certe parti del mondo oggi debolmente ancora attuabile. 


Hawes racconta l’eroismo civile e un po’ schivo di Sir Winton grazie alla gamba costantemente agitante e lo sguardo preoccupato di Flynn che aspetta il treno dei bambini guardando l’orologio.

Grazie allo spaesamento e al fare sconfitto di Hopkins che va in cerca di qualcuno per cui la sua storia è stata importante, quando nel 1988 era ancora inconsueto parlare di quel periodo della Storia. 

Il ritmo narrativo è lento ma mai immobile. La messa in scena ordinata e molto attenta alla ricostruzione di ogni passaggio tecnico che ha permesso certosinamente il salvataggio dei bambini. Le interpretazioni di tutto il cast sono sempre convincenti, le scenografie e la fotografia riescono bene a trasmettere il clima di angoscia e “claustrofobia” dei piccoli rifugi dei bambini. 

Pur nella sua costruzioni semplice tra passato e presente e nel suo taglio quasi minimale, One Life è una pellicola molto potente a livello simbolico, ancora fortemente necessaria per raccontare le storie di persone che hanno saputo creare con l’altruismo dei ponti con il futuro. 

Un film che può essere di ispirazione. 

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