Nella assolata periferia di una Springfield dei giorni nostri, delle cattivissime vespe vanno all’attacco di un granaio nei pressi di una piccola villetta, ma ancora non hanno fatto i conti con Clay (Jason Statham) l’apicultore, il “beekeeper”.
Clay è un uomo atletico sui quaranta, serio e appassionato, amante della frutta e dei prodotti a chilometro zero, discreto e affidabile, silenzioso e letale.
Prende il suo lavoro molto sul serio, come se non solo il granaio ma tutto il mondo fosse un gigantesco alveare, da preservare dalle vespe e dalle api combattenti ribelli. Tutto perché il miele fluisca geometrico e ordinato come nelle arnie, nella grande armonia universale delle operose piccole creature già venerate dal popolo dei Maya.
Clay ha appena finito di lavorare per Mrs. Parker (Phylicia Rashad, la signora Robinson della serie tv anni ‘80), una simpatica signora di mezza età che si occupa della gestione di un fondo per i bambini malati. Clay sta preparando per lei personalmente, per riconoscenza, un vasetto di miele dorato purissimo e succulento, estratto dalle sue api personali. Clay nella sua onesta e proletaria camicia a quadri da uomo della strada fa filtrare il prezioso nettare nel vetro di un onesto vasetto, ma allo stesso tempo qualcun altro, dei giovinastri che vestono camicie hawaiane psichedeliche e si riempiono di Red Bull, in un edificio pieno di luci fluo, musica disco e aria di depravazione, stanno filtrando il gustoso nettare del fondo per i bambini malati da due milioni di dollari di Mrs.Parker, dal suo conto in banca direttamente sui conti fantasma delle Isole Cayman.
La brava donna è stata fregata con la classica truffa online. Ha avuto una telefonata strana con un sedicente tecnico informatico che diceva la avrebbe aiutata a risolvere il blocco del suo pc senza cancellare l’hard disk e perdere per sempre le foto dei nipotini. Lei gli ha offerto tutte le password e dati personali che aveva in buona fede e i giovinastri truffaldini pieni di Red Bull hanno esultato. Hanno sorridendo girato i conti, hanno fatto la danza della vittoria, l’hanno lasciata così disperata che Mrs Parker si è sparata un colpo in testa.
È sera, Clay ritorna nella villetta con il vasetto munto dalle arnie, apre la porta socchiusa e trova la donna senza vita sulla poltrona. In un attimo alla tempia ha la pistola di ordinanza dalla figlia di lei, Verona (Emmy Raver-Lampman), agente dell’FBI, che ancora in lacrime sta cercando di capire che cavolo sia successo e non sa chi sia questo apicultore. In breve si scoprono i fatti, l’FBI indaga ma anche Clay fa qualcosa.
Fa una telefonata, a un numero misterioso al quale risponde gente che ne sa di più di FBI, CIA e NSA. Clay riceve un indirizzo e va a trovare i truffatori nel palazzone da ricchi fighetti dove gestiscono il loro call center truffaldino. È armato di taniche di benzina, detonatori, mani esperte nel combattimento corpo a corpo e una luna decisamente storta.
Mette fuori combattimento in un secondo le guardie sottopagate all’ingresso ed è già nell’attico, nella brutta copia della sala dei broker di Wolf of Wall Street, a far giurare i ragazzacci “con le cattive”: che non provino mai più a truffare le povere signore anziane un po’ boomer, se vogliono che non li ammazzi.
Poi Clay fa uscire tutti, riduce il palazzone da 30 milioni di dollari a un posacenere e non si ferma, segue i soldi, cerca le altre vespe a cui arriva il miele della povera gente delle truffe online per estirparle con il fuoco.
Verona e il suo collega dell’FBI Wiley (Bobby Naderi) provano a seguire le stesse piste di Clay, ma l’uomo come Godzilla in cerca di vespe sempre più grosse abbatte un palazzo-alveare via l’altro, inizia a confrontarsi con mercenari, poi con ex navy Seals, poi con governative eminenze grigie (tra cui un luciferino Jeremy Irons). I due poliziotti sono inevitabilmente più lenti del beekeeper e presto si scontrano e impantanano con i dipartimenti dei piani più alti dell'amministrazione governativa, che pare puntino più a fermare Clay che a far smettere le truffe .
Riuscirà l’apicoltore a eradicare ogni minaccia e preservare il grande alveare delle api operai e oneste americane? E cosa succederebbe se altri apicoltori, ugualmente armati ed addestrati, iniziassero a distruggere tutte le arnie per contrastarlo?
Il futuro del mondo è appeso inesorabilmente alle api e per citare l’Amleto di Shakespeare: “bee, or not to bee”.
È sintomatico e felicemente inatteso che in questo febbricitante mondo moderno, quasi violentemente ultra-tecnologico e sempre più “impersonale” nelle relazioni, la settima arte inizi a dedicare maggiore spazio a storie e personaggi sulla carta quasi in controtendenza: concreti, vecchio stampo, “analogici”. Il lato umano delle piccole professioni di una volta, quelle più a contatto con l’uomo e la natura, dove anche i sentimenti smettono di essere frizionati dalla virtualità a distanza e tornano a chilometro zero.
Le intelligenze artificiali probabilmente presto domineranno il mondo e lo distruggeranno quasi come profetizzato in Terminator da James Cameron, ma i “vecchi cari valori di una volta” (almeno in prospettiva escapistica) ci salveranno.
Torniamo quindi gioiosamente a parlare di coltivatori diretti e della loro “eredità morale e sociale”, come nel bellissimo L’ultima luna di settembre di Amarsaihan.
Torniamo a posare i riflettori sulla routine e il ricco senso della vita, quasi zen, di uomini che si occupano delle pulizie, in Estremo Oriente, come nell’ugualmente bellissimo Perfect Days di Wenders. E infine, pur iperbolicamente, eccoci a parlare di apicoltori come in questa nuova pellicola di David Ayer, regista e autore sarcasticamente (ma pure in parte ingiustamente) mandato “ad arare i campi” dalla critica, dopo il suo terribile Suicide Squad.
Il buon David, che prima del “crollo cinefumettistico” in curriculum aveva comunque anche scritto l’urbano Training Day di Fuqua e diretto il bellissimo film bellico sui carristi Fury, con Pitt, ha preso in parola l’invito di dedicarsi alla coltivazione diretta, ha ingaggiato un attore dai lineamenti fieri e solenni scolpiti nella working class inglese quasi “alla Ken Loach”, come Jason Statham, ha deciso di confezionare un film sugli apicoltori.
Certo “super apicoltori”, un po’ alla John Wick, ma comunque apicoltori sempre, produttori diretti attivi in una ideale proloco tra le valli, onesti, concreti e a contatto diretto e rispettoso della natura e dei suoi abitanti.
Il contrario e in contrapposizione con i lavori “legati alla tecnologia”, di tizi truffaldini che non invitati ti chiamano a casa a ora di cena (da non confondersi con i tizi non truffaldini che ti chiamano a casa a ora di cena), propongono contratti che suonano come robe strane, chiedono dati sensibili anche se gli siamo sconosciuti e ci fanno sentire a ragione sempre sul punto di essere fregati. Insomma: grazie ad Ayer i boomer non sono più soli e anzi possono prendersi, con i risvolti di trama di questo Beekeeper, delle oneste ed escapiste “soddisfazioni distruttive”, quasi a livello del Giorno di Ordinaria Follia di Joel Schumacher.
E siccome “qui una volta era tutta campagna” e “si stava meglio quando si stava peggio”, Ayer si lancia spericolato in una pellicola “liberatoria”, per i fan delle sparatorie e i botti quasi “orgiastica”, super ritmata, dissacrante, per un volta non troppo lunga (sui 95 minuti) e “goduriosa” dall’inizio alla fine.
A patto che la visione venga affrontata con la necessaria leggerezza propria di un roboante mega-action un po’ retrò, senza pensare di essere capitati nella sala dove proiettano Cento Domeniche con Antonio Albanese.
Una elegia action/filosofica in salsa Death Wish (la saga da noi nota come Il giustiziere della notte” e relativi epigoni), in cui con genio ci viene spiegato che in fondo l’apicoltore, debitamente super addestrato e dotato di armi e rifugi segreti come Batman, “serio e onesto“, può capire, per sua esperienza lavorativa personale con i piccoli insetti industriosi, pure come funziona tutto un organigramma partorito per le truffe internazionali online. Può affrontarlo e smantellarlo con la stessa maestria con cui lavora con le arnie nel quotidiano, seguendo “strategie da alveare”, debitamente implementate da arti marziali, esplosivi, pallottole e un miele dorato dall’uso inedito, più infiammabile della benzina.
Un super vendicatore con l’appeal del vicino di casa e vicino parente del Punisher di Garth Ennis, “risolutivo una volta per tutte”, alla faccia della guardia di finanza, della cyber polizia e del giornalismo investigativo alla Report. Uno che va giù a muso duro, per il bene della povera ma dolcissima vecchietta vicina di casa truffata dai messaggini di internet, facendo saltare per aria tutti i cattivi riuniti nel loro classico palazzo dei cattivi, e poi nei palazzi dei cattivi “successivi” e sempre più altolocati. In una lunga, elaborata e infinita vendetta, coreografica quanto divertente.
Una vendetta che raddrizza tutti i torti e forse didatticamente, tra le righe, insegna a qualche interessato qualcosa di apicoltura, grazie a citazioni dirette del “manuale degli apicoltori”, che nelle sarcastiche mani del divertente personaggio di Verona da testo facoltativo della scuola di agraria assume quasi i connotati dei dieci comandamenti biblici.
Il film di Ayer gestisce questo uso didattico collaterale con sublime puntualità è leggerezza, alla maniera in cui Predator Prey di Disney si preoccupava tra uno sbudellamento e l’altro di fornirci un saggio sulla lingua e sugli usi e costumi degli indiani d’America. Può sempre servire e se qualcuno in futuro lavorerà ad un’arnia potrà sempre dire che lo ha fatto su ispirazione di Jason Statham.
Un film bucolico ma belligerante come questo, contro il logorio dei tempi moderni in cui dei truffaldini call center, diviene il miglior inizio action possibile per il 2024, anche perché tra i suoi realizzatori ci sono persone che l’action lo sanno fare.
Scivolone di Suicide Squad a parte, Ayer è esperto nel rappresentare con gusto ogni tipo di scena che presenti al suo interno sparatorie ed inseguimenti e qui gioca tantissimo con la leggerezza delle pellicole anni ‘80.
La sceneggiatura è firmata da Kurt Wimmer, autore di Equilibrium, Salt e del recente Mercenari 4 e applica su Statham una visione dell’eroe volutamente e ludicamente “esagerata oltre ogni limite”, andando oltre le assurdità di un Commando con Schwarzenegger dritto verso le super assurdità di un Invasion USA con Chuck Norris. Il Beekeeper è una creatura quasi onnipotente a cui tutto è permesso come una specie di deus ex machina. Ci sono a controbilanciare chili e chili di ironia in ogni frangente e dialogo, la “seriosità” delle situazioni e istituzioni rappresentate è perennemente messa alla berlina e l’intera macchina cinematografica di muove “a uso ridere” con una ingenuità quasi commovente. Anche Statham, ormai avvezzo ai ruoli da Chuck Norris, per i quali sfoggia il suo sempre più irresistibile sguardo bieco quasi annoiato, si diverte un mondo nel ruolo del suo ennesimo “vendicatore invincibile con attitudini da salvatore dell’universo” ed è nuovamente, grazie anche al suo rinomato fisico con massa grassa a zero, una garanzia di atleticità ed efficacia nelle tantissime e variegate scene di azione, supportate e valorizzate anche da un gruppo di atleti che come coordinatore degli stunt hanno una leggenda, con trent’anni di esperienza dell’action, come Eddie J.Fernandez. Un Fernandez, attivo anche in Captain America Winter Soldier, che qui gioca più volte a immergere Statham in coreografie movimentate dall’uso di mille armi, travestimenti e un uso creativo degli spazi, volte a ricreare atmosfere vicine al noto videogame Hit-Man di Eidos.
La colonna sonora è curata da Jared Michael Fry sugli stessi toni marziali/militari del suo lavoro per Wolf Warrior 2. La fotografia è di Gabriel Beristain ed è vicina per colori accesi ed effetti particellari ai suoi lavori più “fumettistici” come Black Widow e The Strain.
The beekeeper è intrattenimento escapista al 100%, condito con tanta ironia ed esageratissime scene d’azione, che tra inseguimenti e conflitti all’arma, più o meno bianca o più o meno “dolce” (il miele qui è letale anche se non siete intolleranti al glucosio), mettono in luce il rinomato e giustamente celebrato talento fisico di Statham quanto le attitudini ginniche di un piccolo esercito di stunt-men ben addestrati. Puro divertimento da gustare a cervello spento, sullo schermo più grande del multisala, carichi di popcorn, per una serata in cui non si vuole pensare a nulla di diverso dal vedere qualche mazzata più o meno esagerata.
Una buona occasione per rilanciare il mestiere dell’ apicoltore come una delle cose più fighe sulla Terra.
Un’ottima occasione per “vendicarsi catarticamente” dei mille truffatori virtuali con cui ogni giorno siamo sempre più in contatto.
Non si ruba il miele alle api operaie!!! “Bee or not to bee”…
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