mercoledì 24 gennaio 2024

The miracle club: la nostra recensione dell’ ironico e malinconico film di Thaddeus O’Sullivan, con Laura Linney, Kathy Bates, Maggie Smith e Stephen Rea

La cinquantenne Chrissie (Laura Linney) torna nel peasino costiero della provincia inglese in cui è nata per la commemorazione della madre Moureen, solo che il taxi arriva tardi e la chiesa allestita per la rituale veglia è deserta. 

Padre Dermot (Mark O’Halloran) la informa che tutti i fedeli si trovano nella sala parrocchiale per un “contest” atto a raccogliere i fondi per un pellegrinaggio a Lourdes. I fiori ornamentali per la funzione di sua madre sono stati offerti da Lilly Fox (Maggie Smith) e il funerale è stato molto partecipato da tutta la comunità.  

Lilly, insieme a Eileen (Kathy Bates) e alla loro vicina di casa più giovane Dolly (Agnes O’Casey), partecipano in quel momento al contest con il loro gruppo gospel, “The miracles”, formato con quel nome perché ognuna di loro ha le sue buone ragioni per ottenere un miracolo dalla Vergine. 

Lilly si è già riservata un biglietto per sé ma concorre per aiutare le amiche: spera di avere una soluzione per la sua gamba più corta, che la fa zoppicare con dolori lancinanti ormai da troppo tempo. 

L’impegno è tanto, la coreografia e i costumi perfetti, la musica più che orecchiabile, ma la passione non basta.

Dopo  la gara le tre non riescono a vincere il primo premio, per via di un ragazzino che cantava Elvis, lui sì in modo straordinario, ma  Dolly, che cerca il miracolo per il figlio, non riesce a dire una singola parola da anni, riesce a ottenere proprio dal piccolo vincitore un posto per il pellegrinaggio. L’ultima del trio, Eileen, che invece spera in un miracolo per un brutto male che ha scoperto da poco, non trova al momento un biglietto, ma riuscirà a partire grazie al biglietto che era stato di Moureen e che la figlia Chrissie, sollecitata sull’argomento dal curato, decide di non utilizzare. 

Il giorno della partenza arriva puntuale come il pullman noleggiato dalla curia. 

Nel paesino le tre donne sono il motore trainante delle rispettive famiglie, in assenza delle quali tutto, dalla cucina alla gestione dei figli e burocrazia, si ferma. 

La circostanza della loro imminente assenza, anche solo per una manciata di giorni, manda nel caos più totale i rispettivi  e tutti in genere coccolatissimi mariti.

Il marito di Eileen, Frank (Stephen Rea) proverà con serafico terrore a cucinare per la prima volta “di istinto”, coadiuvato dalla saggia primogenita Ruth (Hazel Doupe). Il giovane e aitante marito di Dolly (Mark McKenna), ma comunque un imbranato, ha minacciato di non volerla più a casa se lo lascia solo con i ragazzini per una sola ora, ma proverà a cavarsela malissimo con i pannolini dei due figli più piccoli. 

Tom (Niall Buggy), il marito di Lilly, è così  agitato che per distrarlo la moglie inventa una sporadica crisi idraulica domestica, che lo terrà impegnato almeno un paio di giorni. L’autobus parte ma all’improvviso davanti al veicolo si piazza Chrissie, la ragazza che aveva lasciato la città e quelle amiche anni prima, che decide anche lei di partecipare. C’è molto malumore per l’ultima arrivata, perché nel passato è successo qualcosa di tragico legato a lei che qualcuno del gruppo non ha mai dimenticato. Particolarmente teso è il rapporto tra Chrissie e Lilly, ma anche Eileen sembra non tollerare molto la presenza di questa “estranea”, rispuntata in paese solo dopo quarant’anni e dopo la morte della madre. 

Riusciranno le donne a trovare il loro miracolo? Sui primi momenti pare di sì; quando vengono accolte nell’ordinata cittadina piena di spiritualità quanto di negozietti con souvenir a ogni angolo, dove tutto pare tutto perfetto. Ma con il passare delle ore la frustrazione, le aspettative e i dubbi, le difficili dinamiche del gruppo e la distanza da casa inizieranno ad affiorare e crescere, almeno fino a che qualcuno non troverà il coraggio di ricucire i rapporti guardare oltre al miracolo.


Il regista televisivo di lungo corso Thaddeus O’Sullivan, attivo anche nel recente adattamento delle storie del commissario Maigret, scrive e dirige la più classica delle commedie malinconiche sui classici piccoli borghi della provincia inglese: un’opera che parla di famiglia e legami difficili, in un contesto a volte burbero ma che spesso “sotto la scorza dura”, risulta accogliente e quasi gentile, genuino: il perfetto archetipo di un mondo moderno “interiore” quasi universale, dove tutti riusciamo a immedesimarci. 

Al centro della scena ci sono le piccole storie di quattro piccole “rivoluzionarie nei confronti del destino”, interpretate da splendide attrici che riescono a infondere nei rispettivi personaggi una gamma infinita di sfumature, giocando con le loro fragilità emotive, ma anche con la loro passione e il loro ardore.

Personaggi con una voglia di rivalsa che prende a volte la strada, con tanta ironia, di “una piccola lotta di classe” tutta al femminile, nei confronti di un “ruolo di casalinghe” che oggi appare ancora troppo rigido. Ma soprattutto quattro donne in ricerca di una rivalsa nei confronti di un “mondo spirituale” da tempo percepito come assente ingiustificato, specie in momenti di grande crisi. 

Uno spirituale che di colpo si presenta a qualcuna di loro forse frainteso o percepito bonariamente in “cattiva fede”: assimilato a una specie di elegante piazzista di sogni impossibili a cui aggrapparsi come ultima spiaggia, in base a delle “statistiche della soddisfazione dei clienti/miracolati” a tinte fosche. Diviene in questo senso tragico il ruolo della giovane mamma impersonata da Agnes O’Casey, mentre assume contorni tragicomici il ruolo del divertente personaggio di Katie Bates, che ama giocare spesso con i “dati sui miracoli”.

Il vero miracolo sembra poi magari risiedere nella possibilità “reale” di ricostruire dei rapporti, specie a partire dai presupposti più tragici. Un miracolo che sembra sfiorare all’inizio con poca convinzione le storie intrecciate dei personaggi della Linney e di Maggie Smith .

Il viaggio “parrocchiale on the road” delle quattro protagoniste,  tra dolci ingenuità e autentico trasporto per qualcosa di nuovo e inatteso, si muove in diretta risonanza con le buffe traversie dei rispettivi mariti nel conservare come possono il rispettivo status quo e armonia familiare, con esiti anche spericolati. 

La cittadina francese e il suo fascino misterioso, tra le ritualità e le preghiere, rivestono poi nell’economia del racconti un ruolo ulteriore. Avevano già ammirato il tormento e l’estasi del piccolo mondo spirituale in Lourdes, il film del 2009 di Jessica Hausner che in tono aspro e quasi sarcastico smontava ogni aspetto della percezione esteriore da “fabbrica dei miracoli” di questi luoghi, ma che allo stesso tempo raccontava quasi a livello documentaristico la ritualità, la fede e la fiducia incondizionata nei lavaggi con l’acqua santa.

The Miracle Club a tratti torna a metterci in contatto con quell’approccio pratico e disincantato, ma trova nel personaggio del curato di paese una figura di guida bonaria e schietta, in grado di risolvere con raffinatezza e leggerezza anche i momenti di maggiore sconforto spirituale, rilanciando la comunità come vero motore di ogni tipo si cambiamento spirituale.

The miracle club si presenta come una pellicola dall’intreccio semplice ma non scontato, dotata di grande ironia e sentimento e valorizzata dalla buona interpretazione di tutto il cast coinvolto. 

È un film pensato  espressamente per  un pubblico maturo di ultra cinquantenni  e  cerca sempre con garbo di trattare tanto i temi della quotidianità che della spiritualità.

Un’ottima pellicola per una visione pomeridiana, accompagnata magari da the e biscotti. 

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