Ci troviamo in Giappone, mentre soffiano ancora i venti di guerra del secondo conflitto mondiale.
La vita di un ragazzo magrolino e taciturno cambia di colpo quando brucia l’ospedale in cui lavorava la madre. Il fuoco lo scorge da casa, da lontano, di notte, dopo essere stato svegliato nel suo letto dalle grida. La corsa verso l’edificio ancora in pigiama, tra le strade della cittadina gremite di gente avvolta nel caos è vana. Tra il sogno e la realtà il ragazzo immagina la mamma disciogliersi nel fuoco e diventare una fenice.
La vita del ragazzo per volere del padre si sposta in un altro luogo e un’altra città, all’interno di una struttura enorme e piena di servitori, un autentico palazzo di un'epoca passata.
Una nuova vita, una nuova donna che lui fatica a chiamare “madre”, una nuova piccola casetta su due piani tutta per lui in un'appendice del complesso, da poter vivere anche in solitudine, e un airone.
L’airone è una creatura maestosa ma anche malefica che lo pedina, lo spaventa, appare all’improvviso in ogni frangente della sua giornata. Ha occhi cattivi e denti stranamente umani che costantemente esibisce mentre lo carica, spesso in picchiata, forse cercando di ucciderlo. Attacca quando il giovane si attarda nei pressi del laghetto della villa in cerca di pace. Si fa vivo nei momenti di maggiore tensione emotiva. Urla. Con le sue zampe lo sveglia in piena notte ticchettando sul tetto sopra il suo letto, rubandogli il sonno.
Il ragazzo detesta la sua strana nuova vita, un padre sempre più assente che sembra occuparsi solo della produzione di aerei da guerra, non vuole arricchire la sua vita con nuovi amici.
Un giorno torna dalla nuova scuola e sembra a tutti che sia stato pestato alla testa dai suoi nuovi compagni di classe. Rimane a letto per giorni, anche accudito amorevolmente da quella donna che non riesce a chiamare “mamma”, fino a che la sua guerra personale contro l’airone arriva al culmine e focalizza tutte le sue pene. La creatura lo spinge a costruire arco e frecce per contrastarlo, lo trascina in una strana torre nascosta finora per lui coperta dalla vegetazione e da enormi alberi secolari.
La torre è quasi aliena, sembra essere caduta dal cielo ed edificata esternamente solo in seguito come quella di un castello. Tra infiniti corridoi e locali misteriosi, libri antichi, simboli runici e strani ammennicoli, il luogo all’interno nasconde l’immenso laboratorio di un alchimista, un avo della sua nuova “mamma”.
L’airone ama entrare ed uscire dalle finestre della torre: forse l’unico modo per accedere alla struttura e forse il passaggio che tiene nascosto il segreto della natura ibrida, quasi umana se non demoniaca, dell’imponente uccello. Ma c’è di più: dentro la torre potrebbe trovarsi l’accesso per un intero nuovo mondo.
Un mondo diverso dal mondo reale che il ragazzo sempre più ripugna e non vuole più frequentare.
Un mondo che, rivela parlando la lingua umana l’airone, potrebbe permettergli di incontrare di nuovo la sua madre defunta.
Un mondo dove creature leggendarie come le fenici possono forse volare ed essere immortali.
Il ragazzo e l’airone è il film con cui lo studio “Ghibli” rinasce e dimostra di poter rinascere ancora mille volte, come una fenice. Dopo la morte del co-fondatore Isao Takahata (che per qualcuno in certi tratti ricorda il personaggio dell’airone...), i fallimenti commerciali, i licenziamenti e le scissioni, i documentari celebrativi di “un passato che fu” e i tanti necrologi a quella che è stata la punta di diamante dell'animazione giapponese, molti dei principali artisti dello studio sono tornati, proprio per questa pellicola.
Alcuni erano andati a fondare Ponoc, alcuni erano finiti nella “nuova Gainax” alla corte di Anno, altri per un certo lasso di tempo hanno fatto altro o si sono dedicati al museo Ghibli, ma dal 2017 la magia è ripartita e ha permesso di arrivare a questo piccolo grande inaspettato miracolo.
In quasi tre ore di pellicola c’è tutto lo studio Ghibli, dalla guerra di Una tomba per le lucciole alla nostalgia di Totoro, dalle maledizioni fisiche di Porco Rosso alle carlinghe di Si alza il vento, da strutture antiche che sembrano uscire da La città incantata alle vecchiette di Arietty. C’è tutto e c’è molto di nuovo, un intero universo.
Alla guida del “vento” c’è ancora Hayao Miyazaki, un vecchietto che nonostante lo ripeta dai tempi di Princess Mononoke è ancora combattivissimo e non è ancora intenzionato ad abbandonare i pennelli smettendo di regalarci sogni.
Per un attimo, dopo quel Si alza il vento che non voleva fare e gli è stato commissionato a forza, pensavamo che l’abbandono fosse reale, ce lo aveva fatto credere per davvero. Ma poco dopo, a partire dal piccolo cortometraggio sul bruco destinato al museo Ghibli, l’artista si è sperimentato per la prima volta con la computer grafica scoprendo infiniti nuovi stimoli.
La grande fiamma creativa del papà di Totoro e Nausicaa doveva tornare a bruciare e per affrontare questa nuova sfida Miyazaki ha voluto di nuovo intorno a sè i suoi compagni di viaggio, tanti animatori come anche lo storico musicista Joe Hisashi, senza dimenticarsi del figlio Goro, con il quale si è rappacificato dopo tanti anni.
Questa volta ci troviamo davanti a uno dei più grossi, complessi e profondi lavori del Ghibli. Qualcosa di fortemente autobiografico e drammatico, che porta alla luce i grandi rimpianti e irrisolti della vita della vita di Miyazaki.
L’autore ha certo messo dentro spesso molto di se stesso, in tutte le sue opere. In Totoro ha raccontato attraverso la favola il terribile lutto dovuto alla scomparsa di sua madre mentre era ancora bambino, e qui ha voluto che la protagonista fosse una bambina per sentire non troppo forte il suo personale disagio emotivo.
In Porco Rosso ma anche in Howl ha raccontato i rimpianti di una vita dedicata troppo al lavoro e quasi zero alla sua intimità, immaginandosi come un “soldato maledetto”, che per poter “essere libero come l’aria” è stato costretto dalla guerra e dalla società anche a uccidere sotto bandiere che non condivideva.
Ha spesso raccontato del suo amore per gli ingranaggi, la tecnologia e gli aerei, laddove i genitori di Miyazaki hanno costruito in parte gli Zero dei kamikaze con la loro piccola azienda familiare. Ha spesso messo questa tecnologia, specie quando unita alla smania di potere e distruzione di pochi tiranni, davanti alla sua intrinseca pericolosità e capacità di mettere in ginocchio l’equilibrio tra uomo e natura, in opere come Nausicaa, Si alza il vento e Mononoke.
Ha spesso messo al centro dei suoi lavori dei bambini nel loro momento di passaggio più doloroso, dell’innocenza all’età adulta, più volte rivissuto in pellicole come Kiki consegne a domicilio, Laputa, Ponyo e Conan il ragazzo del futuro, cercando di guidare e ispirare con le gesta di questi piccoli eroi le generazioni future, anche perché lui ha sempre pensato di essere cresciuto troppo in fretta, bruciando troppe tappe.
Tuttavia salvo il caso di Porco Rosso, in cui lo stesso autore aveva dichiarato anche pubblicamente di essersi esposto troppo, essersi “messo troppo a nudo” nei suoi sentimenti all’interno di un racconto che forse era troppo personale per le masse, tradendo “nell’ottica giapponese” la “commerciabilità” dell’opera, le storie di Miyazaki hanno spesso cercato di racchiudere le emozioni dell’autore in modo trasversale.
Nascoste negli aspetti più intimi legati alla caratterizzazione dei singoli personaggi, tra la verticalità di ambientazioni costruzione quasi ossessiva nei mille dettagli simili a torri di Babele, in scenari e veicoli che dove non sfidano le leggi di gravità spingono la scena a prendere direttamente il volo.
Un immaginario visivo ed emotivo a servizio di trasposizioni più o meno libere di opere originali di ampio respiro, tenendosi sempre lontani, anche per un particolare senso della riservatezza giapponese, dall’ autobiografia più esposta.
Un afflato autobiografico che invece ritorna fortissimo e quasi dirompente in questo suo ultimo lavoro, proprio andando a sfidare in modo progressivamente sempre più gargantuesco e bizantino, quasi dadaista, emozioni e scenari.
Il vissuto del protagonista è enorme e ingestibile, quasi fino a spingerlo alla follia. Il mondo che gravità all’interno della villa è gigantesco e così dettagliato per personaggi, ruoli, spiritualità e contesti sociali quasi al punto da risultare indefinito. Il mondo nel mondo all’interno della torre e poi il mondo del “portale” sono ancora più ricchi di dettagli, tra il magico e il fantascientifico, disegnando ulteriori aspetti che vanno dal sociologico allo spirituale fino al culinario. Altri luoghi, personaggi, culture e colture, disposte in sterminate regioni dell’immaginario legate a mille suggestioni storiche e narrative reali o di natura psicanalitica.
Il ragazzo protagonista della storia che non vuole più vedere il mondo reale, con la guerra e il lutto ancora pesanti nello stomaco, prende parte e in parte contribuisce a creare con le sue azioni questi mondi di confine tra reale e sogno, fino quasi a rimanervi invischiato e dimenticarsi di far parte del mondo reale. Questo idealmente avviene in parallelo con “il ragazzo Miyazaki” che in passato, per fuggire al lutto e al dolore della vita di tutti i giorni, si è rinchiuso sempre più nel mondo dell’animazione, dove è stato spesso paragonato dai collaboratori a un despota, edificando al suo interno tanti piccoli mondi dai contorti artistici quasi faraonici, intimi quanto sommersi da infiniti ingranaggi, labirinti, strutture e creature sulle quali vagare e planare a volo di uccello, magari sospinti da un aliante, da un caccia Zero o da un idrovolante. Percorsi visivi ma anche emotivi in cui la storia del protagonista in molti momenti appare davvero fortemente intrecciata nel profondo con la vita personale di Miyazaki, entrando in risonanza e dialogo.
Il titolo originale dell’opera è E voi come vivrete? e all’interno di metafore solo apparentemente complesse svela, con disarmante onestà e autocritica, i mille congegni emotivi che negli anni hanno guidato e ossessionato la vita del grande autore. Congegni che ora Miyazaki guarda da uomo di 83 anni e in qualche modo cerca di far comprendere al Miyazaki bambino “psicanaliticamente sepolto” dentro di lui , il protagonista della storia. Un giovane protagonista a cui girare la domanda: “e tu come vivrai in futuro, rispetto a me?”. È qui, nel dialogo tra l’anziano costruttore di infiniti mondi di fantasia e il ragazzino che per evitare il lutto della madre si è rinchiuso nella fantasia, iniziano a percorrere le medesime strade escapiste, che Il ragazzo e l’airone si fa grande tragedia esistenziale.
Perché non c’è ritorno oltre al rimpianto, se non una infinita fuga in mondi sempre più complessi quanto artificiali, inutilmente arzigogolati e presto in evitabile collisione con il piano del reale, se il tutto non viene supportato o tenuto insieme da complessissimi equilibrismi.
Però se per il “Miyazaki adulto” non è possibile tornare indietro, per un giovane che si trova ora nelle sue stesse condizioni emotive di quando era bambino, (magari idealmente anche un nuovo autore affermato di cartoni animati del futuro, ma non solo), è possibile prendere scelte diverse. Ma per guidarlo in questa direzione Miyazaki deve prima sbattergli in faccia tutta la complessità emotiva e visiva frutto del suo percorso artistico grandioso e del suo percorso personale, umanamente tra luci e ombre, anche nelle vesti più nefaste e distruttive.
Non c’è eroismo in questa strana narrativo/simbolica, piuttosto dolore e rimpianto, un incubo quasi “ dickensiano”. Anche la colonna sonora di Joe Hisashi è diversa, contratta, malinconica, più vicina ai lavori realizzati dal compositore per Takeshi Kitano che all’epica di Mononoke o Laputa.
Il ragazzo e l’airone forse può per il pubblico più giovane essere scambiato per un film come Mononoke o Laputa, pieno di inseguimenti, magia, strani personaggi e mondi paralleli distanti quanto intimamente “umani” e ricchi di quel calore inconfondibile di ogni opera dello studio Ghibli. Ci si può divertire, nonostante tutto.
Tuttavia un adulto, che ha magari conosciuto tutto il percorso artistico e magari anche umano dell’autore giapponese, deve prepararsi a riempire di lacrime i fazzoletti. Il ragazzo e l’airone diventa piano piano un’opera con il sapore di un addio, un‘opera in cui il suo realizzatore ha condensato dentro in tre ore tanta di quella roba che non ci sarebbe stata neanche in 10 film, come se avesse l’urgenza di completare un quadro che domani potrebbe non avere più la forza di realizzare. Se nel film La casa dei 1000 corpi Rob Zombie ha voluto mettere dentro almeno 5 film insieme perché era la sua opera prima e aveva paura che nessuno gli avrebbe mai più dato i fondi per farne una seconda, qui ci troviamo nel caso inverso, appiccicati allo schermo, ad assistere all’ultima grande fiammata di una leggenda.
Una leggenda che tra le righe dice anche a noi fan della animazione (ma ci metterei pure i fan dei fumetti e storie fantasy), qualche volta urlandocelo, che il bello della vita non è solo racchiuso nei bellissimi mondi dell’animazione giapponese: il bello è soprattutto “là fuori”, tra gli aironi veri e non quelli antropomorfi, fuori dalla sala cinematografica o dalla propria casetta-rifugio. A patto che si abbia il coraggio di vivere la vita senza rinchiudersi, per troppo tempo, in accoglienti e colorate cattedrali del fantastico che non riusciranno mai a sostituire dei sentimenti reali che qualche volta ci neghiamo di esprimere nei confronti di persone reali. E ce lo dice un maestro ma anche un uomo che ora ha dei rimpianti, più di uno.
Nel suo ultimo film Hayao Miyazaki è nudo come non mai, malinconico quanto profondo, generoso nell’esternare i suoi sogni e ossessioni come se la pellicola fosse il suo ultimo lascito, un testamento artistico di rara onestà e raffinatezza.
Un’opera monumentale, perfetta su ogni piano che è anche una specie di fil rouge che racchiude il meglio di tutto lo studio Ghibli dalla nascita a oggi. Un’opera eccezionale tanto sul lato recitativo che su quello visivo e sonoro, difficile e articolata, ma che, se si riesce ad apprezzare, può regalare tantissimo a ogni spettatore e in ogni caso si lascia ammirare a bocca aperta per il tanto amore e cura con cui è stata confezionata.
Imperdibile e da riscoprire magari a più riprese, scovando a ogni visione i mille lati diversi di un dedalo a tratti angusto, ma sempre affascinante.
Ogni volta, ormai da anni, Miyazaki dice che è il suo ultimo film e poi smette. Questa volta ha dichiarato invece che dopo Il ragazzo e l’airone sta già realizzando un nuovo film. Per la prima volta ho quindi paura che questa sia davvero l’ultima opera di uno dei più grandi maestri della animazione giapponese.
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