martedì 16 gennaio 2024

Viaggio in Giappone (Sidonie au Japon): la nostra recensione del solare e malinconico road movie di Elisa Girard con protagonista Isabelle Huppert

Il Giappone può apparire come un luogo singolare e misterioso per moltissimi occidentali, pieno di usanze e scenari unici quanto incomprensibili, a volte inimmaginabili se non del tutto alieni. 

Una terra ultra moderna e rumorosa, ma che sa essere anche silenziosa e contemplativa, alla continua ricerca di un equilibrio con la natura e il trascendente, dove spesso i sentimenti in pubblico devono essere trattenuti per “troppo pudore”, ma dove al contempo non appare strana la sensazione di sentirsi circondato da spiriti che non scompaiono mai, stanno sempre “al fianco dei loro cari”, in comunicazione, quasi come ombre gentili. 

L’ombre portee, L’ombra proiettata, è anche il titolo del romanzo d’esordio della scrittrice francese Sidonie Perceval (Isabelle Huppert) e sta per fare il suo esordio in Giappone, con annesso tour promozionale alla presenza dell'autrice, grazie al volere di un piccolo editore di nome Kenzo (Tsuyoshi Ihara), che proprio dietro le “ombre del libro” sente di ritrovare qualcosa di familiare, vicino anche a livello inconscio alla spiritualità orientale. 

Sidonie fin dall’arrivo all’aeroporto di Kyoto si sente invece spaesatissima e un po’ confusa. È  felice ma un po’ titubante all’idea di trovarsi per quasi un mese in una terra affascinante ma che continuamente “le sfugge”, accompagnata personalmente, quasi passo dopo passo, da Kyoto a Tokyo, da un Kenzo che quasi da solo, un po’ bodyguard, un po’ facchino e un po’ confidente, un po’ come “la sua ombra”, sembra voler stare al suo fianco nelle librerie, agli incontri stampa, nei ristoranti, nei luoghi turistici e anche sul posto affianco durante i lunghi viaggi in taxi. 

I pernottamenti avvengono invece in stanze rigorosamente separate, di piccoli hotel all’occidentale o di pittoreschi alberghetti a condizione familiare tutti in legno e pareti mobili, dove trovare qualcuno che parla inglese sarà comunque complicato. Ma è proprio in questi luoghi di riposo tra un firmacopie e un incontro con la stampa locale che, all’improvviso, inizia ad apparire a Sidonie una ulteriore ombra.  

È suo marito Antoine (August Diehl) e appare ogni giorno sorridente, sereno e gentile in un elegante abito bianco. Sembra conoscere tutte le tappe dell’itinerario promozionale e automaticamente si fa trovare in stanza tutto per lei, che in genere reagisce chiedendo di cambiare stanza o albergo a inservienti che non la capiscono. Ogni tanto riesce a dribblarlo, ogni tanto decide di passare la serata con lui parlando del loro passato e scherzando un po’. Poi Antoine decide di sedersi pure in taxi, tra Sidonie e Kenzo, e giunge così il momento che la scrittrice parli al suo editore seriamente: del fatto che da quando si trova in Giappone è perseguitata dal fantasma del suo scomparso marito. 

Kenzo le dice ovviamente che è tutto normale, è una cosa “tipicamente giapponese” di cui non bisogna spaventarsi. Così Sidonie accetta di vedere ancora intorno a sé Antonie, anche se in fondo è la sola a vederlo, mentre il marito sposta oggetti e muove porte del tutto invisibile agli altri, ma “come accettato” dagli altri. 

Con il passare dei giorni Antonie diventa però sempre più trasparente, nella misura in cui l’amicizia e forse l’affetto di Kenzo nei suoi confronti stanno iniziando a crescere. 

Sidonie è in fondo una donna ancora molto piacente, spiritosa anche se un po’ spaesata, mentre  Kenzo è un uomo taciturno ma sincero, affascinante e protettivo. 

Se la scrittrice Sidonie a ogni incontro con la stampa continua a ripetere che scrivere è il suo solo modo di sopravvivere, in un mondo di solitudine, piano piano la donna sta iniziando invece a esplorare sentimenti nuovi, accompagnata da ombre di cui ha sempre meno paura.


L’autrice di quell’interessante e poetico Belleville-Tokyo del 2010, Elisa Girard,  torna in terra d’Oriente e dirige e scrive, insieme a Maud Amelie, la sceneggiatrice di Passeggeri della notte, un film molto tenero, romantico e malinconico. 

È un film sulle seconde occasioni e sull'esplorazione del mondo come buon catalizzatore delle emozioni, che in parte funziona come Mangia, Prega, Ama di Ryan Murphy con Julia Roberts, mettendo al centro della scena una sperduta Huppert che non ha oggi ancora nulla da invidiare alla sua collega americana per charme, sensualità e personalità. 

È un film per chi ama o vorrebbe visitare il Giappone, che offre visivamente una cartolina bellissima e piena di tanti colori e suggestioni del paese del Sol Levante. Ci sono i palazzi antichi e i giardini di Kyoto, c’è il Mare Interno, le terme, i templi, lo Shinkansen, i ciliegi a Tokyo e gli “spettri” di Hiroshima. Ci sono le usanze “strane” come gli inchini continui e la cortesia quasi estrema (c’è una gag ricorrente con gli albergatori che cercano sempre di prendere alla protagonista la sua personale borsetta rossa, in mondo quasi equivoco), c’è l’amore per la spiritualità e il silenzio, la malinconia dei bar notturni, la complessità nell’instaurare una conversazione impersonale che trasforma ogni tentativo quasi in un lungo balletto di convenevoli e ritualità, che ci riporta anche al “neoplatonismo” di Wong  Kar-wai. 

Tutto da manuale, tutto da Lost in translation, per citare il celebre film di Sofia Coppola, ma tutto onestamente autentico, descritto da un'autrice attenta ed appassionata che già nel 2010 dimostrava tanto impegno e amore nel raccontare gli “incontri possibili” tra l’Occidente e questo strano quanto unico mondo asiatico. 

Viaggio in Giappone offre poi un anche un viaggio interiore sull’elaborazione del lutto e si interroga sulle conseguenze della possibile ricostruzione di un amore in età avanzata. Questo avviene grazie anche all'indiscussa bravura dei due interpreti “comprimari”, il divertente Diehl e il riservato Ihara, sempre capaci di caricare ogni scena con la Huppert di momenti di dolcezza, ironia e complicità, ma anche grazie a una trama che, quasi riducendo all’essenziale i concetti, riesce a fare un uso non banale anche della spiritualità, (si rimanda ai manuali di filosofia orientale per chi è interessato, ma intanto si stimola qui la curiosità di farlo) sapendola astutamente alleggerire ogni tanto con qualche  “battuta di spirito”.  Più che il Ghost di Swayze, la Girard quando ha a che fare con il ‘mondo fantasmatico” sembra avvicinarsi di più alle atmosfere dell’Asso di Celentano diretto da Castellano e Pipolo e la soluzione convince, andando a raccontare lo stato di fragilità della protagonista con il giusto disincanto, ma anche con quell’ironia che è in grado di proteggerla dalle derive più malinconiche.  


Il film di Elisa Girard è una pellicola solare, romantica e divertente, che sembra costruita per farci venire voglia di prendere oggi stesso un biglietto per il Sol Levante. Molto bravi gli interpreti, bellissimi i paesaggi, riuscita una trama che pur nella sua linearità e semplicità costruisce un racconto interessante che tra le righe ci parla anche di spiritualità e relazioni umane in modo non banale. 

Astenersi chi non in cerca di una storia romantica con al centro personaggi maturi e complessi, che nonostante l’ironia comunque mettono in gioco anche vissuti dolorosi.

Si astenga anche chi non sopporta il Giappone in genere.   

Per tutti gli altri buona visione al cinema, nella sala più grande, portando inevitabilmente i fazzoletti.

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