giovedì 16 febbraio 2023

Holy spider: la nostra recensione del thriller a sfondo religioso di Ali Abbasi con protagonisti Mehdi Bajestani e Zar Amir Ebrahimi

 


Siamo in Iran, intorno all’anno 2000. Di notta le strade illuminate della città santa di Mashhad, viste dall’alto, sembrano la tela di un ragno. Una rete sulla quale si muove quasi indisturbato da mesi un serial killer che vuole punire le prostitute. Offre loro del denaro e le carica sulla sua moto, le porta in un luogo che spesso è casa sua e poi all’improvviso le strangola. Seguendo quello che sembra un rito, poi le avvolge in un vestito tradizionale nero e infine avvolte in un tappeto le porta sempre con la moto fuori città, in un campo. La polizia locale non sembra disporre dei mezzi per indagare e parte della popolazione in qualche modo “approva” che questo giustiziere liberi le strade da queste donne del peccato. Lo chiamano “il ragno sacro”. Da Teheran arriva a Mashhan per indagare la giornalista Rahimi (Zar Amir Ebrahimi). In quanto donna non ha facile accesso a tutte le indagini e la sua fama di essere una “persona problematica” non la aiuta certo nel trovare una collaborazione. Così Rahimi la notte inizia a vestirsi come una prostituta e girare sui luoghi dove il ragno colpisce, in cerca di indizi o dello stesso assassino. Ben presto incrocia la strada con un uomo di mezza età vestito con una giacca miliare di nome Sahhed Hanahei (Mehdi Bajestani) e riesce a incastrarlo prima che la uccida. Ma il processo prende una strana piega e il ragno a furor di popolo potrebbe essere graziato o trovare la via dell’evasione. Sahhed non si sente per nulla pentito delle sue azioni e riesce anzi a percepire che pure Allah è dalla sua parte, quando allungando le mani oltre le sbarre della finestra della prigione riceve dal cielo una sorta di pioggia purificatrice. Anche il figlio di Sahhed inizia ad adorare le gesta del ragno come una specie di eroe. 


Ispirato alla vera storia del serial killer Saeed Hanaei, Holy Spider arriva nelle sale italiane dopo che alla premiere di Cannes del 2022 ha ricevuto sette minuti di applausi, con l’attrice Zan Amir Ebahimi che ha visto il premio come migliore attrice e la pellicola che è stata scelta nella rosa dei migliori film stranieri agli Academy Awards del 2023, concorrendo per la Danimarca. Il regista Ali Abbasi ha origini persiane, ha studiato presso il Teheran Polytechnic, ha conseguito una laurea in architettura in Svezia ed è diventato regista dopo un corso alla National Film School of Denmark. È reduce da due interessantissimi film come l’horror Shelley e il thriller Border, che raccontano entrambi di persone che si trovano a vivere delle realtà estreme di isolamento, che li pongono “ai confini della civiltà”. Più di recente, dopo Holy Spider, è stato scelto per dirigere alcuni episodi della serie Sony tratta dal videogioco The Last of Us, che racconta se vogliamo di nuovo le storie di una umanità rimasta isolata, vittima di una apocalisse zombie. Abbasi vive oggi a Copenhagen, ma ha ancora il passaporto iraniano e con il thriller Holy Spider in qualche modo torna a raccontare una nuova “storia di confini”, spaziali quanto culturali, narrando liberamente una vicenda che ha coinvolto e scioccato il suo paese di origine. Il serial killer Holy Spider, il “ragno sacro” interpretato magistralmente da Mehdi Bajestani, è un uomo insoddisfatto della sua vita attuale da semplice muratore, che rimpiange i tempi in cui era un combattente. Di giorno non valica mai i confini di una vita modesta, contratta, quasi invisibile e perennemente schiacciata dal contesto famigliare e dal lavoro. Con la continua paura di fare brutte figure, quasi castrato dal provare emozioni, impacciato anche nei confronti del figlio più piccolo. Di notte diventa un giustiziere, autorizzandosi a provare eccitazione e sfogare la sua rabbia solo su donne che per lui e per molta della società sono “poco più di oggetti”. Poco più che “tappeti” da caricare sulla sua moto. Dopo ogni uccisione si ricorda che “ha agito per un bene superiore”, compie una sorta di rito di sepoltura e purificazione e poi riparte con la coscienza pulita, il giorno dopo, tornando nei confini dell’uomo qualunque. La giornalista Rahimi, interpretata dalla meravigliosa Zar Amir Ebrahimi svolge una professione che per una donna iraniana è piena di limiti e confini, anche al di là dell’indossare un abito velato. Se per una inchiesta deve soggiornare in una città diversa, gli hotel non sono sempre disposti a offrire una stanza a “una donna non accompagnata dal marito”. Se deve parlare con una autorità deve prima essere autorizzata da un collega uomo. È difficile che le vengano rilasciate interviste. Anche quando rischia la vita per fermare il killer è sottoposta a un giudizio di biasimo perché nel suo precedente lavoro avrebbe “sedotto il suo capo”: anche se la realtà dei fatti è opposta, “essendo lei donna” nessuno le ha creduto. Confini sociali ancora più stringenti li vivono infine le prostitute vittime del ragno sacro. Finire sulla strada “e restarci per sempre” per motivi di indigenza, in mancanza di un lavoro e per la perdita di un marito, sembra essere una circostanza molto facile. Viene mostrato come le prostitute facciano uso di stupefacenti, rimanendo spesso intontite, anche per non dover sentire le percosse che molti clienti sono soliti infliggere. I famigliari preferiscono considerarle morte, impedendo loro di continuare a vivere sotto lo stesso tetto, pur accettando i soldi che portano a casa. A volte vengono anche allontanate dai locali a cui chiedono solo di utilizzare un bagno. Sono autentiche “paria” che la società preferisce non vedere, al punto che dopo 16 omicidi confermati la polizia non aveva nemmeno iniziato ad avviare una indagine. Abbasi ci racconta di personaggi che vivono in confini “all’epoca dei fatti ispirati” forse poco evidenti per la popolazione locale, ma che oggi vengono a essere parte di un forte dibattito culturale all’interno dell’Iran a cui anche il cinema partecipa, grazie a pellicole che arrivano anche al pubblico occidentale come questa, come Gli orsi non esistono di Jafar Panahi (qui il link) o Il male non esiste di Mohammed Rasoulof (qui il link). Film grazie ai quali il cinema si sta facendo sempre più un importante spazio riflessivo. Una occasione che può essere utile anche per ragionare sul nostro modo di vivere, sulle nostre libertà e sul nostro sistema di valori come Italiani. 


Holy Spider utilizza un linguaggio cinematografico diretto e spietato, dipingendo un thriller a tinte molto forti tanto carico di scene di violenza quando di situazioni “sociali” angoscianti. Un thriller “dal giusto occidentale” che per intuizioni visive, montaggio, fotografia e ritmo potremmo felicemente accostare ai lavori di David Fincher. Mehdi Bajestani e Zar Amir Ebrahimi sono due interpreti straordinari, in grado di raccontarci personaggio dalle infinite sfumature, caratteri spezzati e “devastati” quanto autentici: entrambi in perenne attesa di un giudizio morale positivo nei loro confronti da parte di una società che non riesce a prendere delle posizioni chiare sui valori da perseguire. 

È un film forte, terribile ma anche bellissimo. In assoluto uno dei migliori thriller degli ultimi anni e al contempo una occasione importante in cui il cinema aiuta anche a riflettere. 

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