Siamo in Iran, intorno all’anno 2000. Di
notta le strade illuminate della città santa di Mashhad, viste dall’alto,
sembrano la tela di un ragno. Una rete sulla quale si muove quasi indisturbato
da mesi un serial killer che vuole punire le prostitute. Offre loro del denaro e
le carica sulla sua moto, le porta in un luogo che spesso è casa sua e poi
all’improvviso le strangola. Seguendo quello che sembra un rito, poi le avvolge
in un vestito tradizionale nero e infine avvolte in un tappeto le porta sempre
con la moto fuori città, in un campo. La polizia locale non sembra disporre dei
mezzi per indagare e parte della popolazione in qualche modo “approva” che
questo giustiziere liberi le strade da queste donne del peccato. Lo chiamano
“il ragno sacro”. Da Teheran arriva a Mashhan per indagare la giornalista
Rahimi (Zar Amir Ebrahimi). In quanto donna non ha facile accesso a tutte le
indagini e la sua fama di essere una “persona problematica” non la aiuta certo
nel trovare una collaborazione. Così Rahimi la notte inizia a vestirsi come una
prostituta e girare sui luoghi dove il ragno colpisce, in cerca di indizi o dello
stesso assassino. Ben presto incrocia la strada con un uomo di mezza età
vestito con una giacca miliare di nome Sahhed Hanahei (Mehdi Bajestani) e
riesce a incastrarlo prima che la uccida. Ma il processo prende una strana
piega e il ragno a furor di popolo potrebbe essere graziato o trovare la via
dell’evasione. Sahhed non si sente per nulla pentito delle sue azioni e riesce
anzi a percepire che pure Allah è dalla sua parte, quando allungando le mani
oltre le sbarre della finestra della prigione riceve dal cielo una sorta di
pioggia purificatrice. Anche il figlio di Sahhed inizia ad adorare le gesta del
ragno come una specie di eroe.
Ispirato alla vera storia del serial
killer Saeed Hanaei, Holy Spider arriva nelle sale italiane dopo che alla
premiere di Cannes del 2022 ha ricevuto sette minuti di applausi, con l’attrice
Zan Amir Ebahimi che ha visto il premio come migliore attrice e la pellicola
che è stata scelta nella rosa dei migliori film stranieri agli Academy Awards
del 2023, concorrendo per la Danimarca. Il regista Ali Abbasi ha origini
persiane, ha studiato presso il Teheran Polytechnic, ha conseguito una laurea
in architettura in Svezia ed è diventato regista dopo un corso alla National
Film School of Denmark. È reduce da due interessantissimi film come l’horror
Shelley e il thriller Border, che raccontano entrambi di persone che si
trovano a vivere delle realtà estreme di isolamento, che li pongono “ai confini
della civiltà”. Più di recente, dopo Holy Spider, è stato scelto per dirigere
alcuni episodi della serie Sony tratta dal videogioco The Last of Us, che
racconta se vogliamo di nuovo le storie di una umanità rimasta isolata, vittima
di una apocalisse zombie. Abbasi vive oggi a Copenhagen, ma ha ancora il
passaporto iraniano e con il thriller Holy Spider in qualche modo torna a
raccontare una nuova “storia di confini”, spaziali quanto culturali,
narrando liberamente una vicenda che ha coinvolto e scioccato il suo paese di
origine. Il serial killer Holy Spider, il “ragno sacro” interpretato magistralmente
da Mehdi Bajestani, è un uomo insoddisfatto della sua vita attuale da semplice
muratore, che rimpiange i tempi in cui era un combattente. Di giorno non valica
mai i confini di una vita modesta, contratta, quasi invisibile e perennemente
schiacciata dal contesto famigliare e dal lavoro. Con la continua paura di fare
brutte figure, quasi castrato dal provare emozioni, impacciato anche nei
confronti del figlio più piccolo. Di notte diventa un giustiziere,
autorizzandosi a provare eccitazione e sfogare la sua rabbia solo su donne che
per lui e per molta della società sono “poco più di oggetti”. Poco più che
“tappeti” da caricare sulla sua moto. Dopo ogni uccisione si ricorda che “ha
agito per un bene superiore”, compie una sorta di rito di sepoltura e
purificazione e poi riparte con la coscienza pulita, il giorno dopo, tornando
nei confini dell’uomo qualunque. La giornalista Rahimi, interpretata dalla
meravigliosa Zar Amir Ebrahimi svolge una professione che per una donna
iraniana è piena di limiti e confini, anche al di là dell’indossare un abito
velato. Se per una inchiesta deve soggiornare in una città diversa, gli hotel
non sono sempre disposti a offrire una stanza a “una donna non accompagnata dal
marito”. Se deve parlare con una autorità deve prima essere autorizzata da un
collega uomo. È difficile che le vengano rilasciate interviste. Anche quando
rischia la vita per fermare il killer è sottoposta a un giudizio di biasimo
perché nel suo precedente lavoro avrebbe “sedotto il suo capo”: anche se la
realtà dei fatti è opposta, “essendo lei donna” nessuno le ha creduto. Confini
sociali ancora più stringenti li vivono infine le prostitute vittime del ragno
sacro. Finire sulla strada “e restarci per sempre” per motivi di indigenza, in
mancanza di un lavoro e per la perdita di un marito, sembra essere una
circostanza molto facile. Viene mostrato come le prostitute facciano uso di
stupefacenti, rimanendo spesso intontite, anche per non dover sentire le
percosse che molti clienti sono soliti infliggere. I famigliari preferiscono
considerarle morte, impedendo loro di continuare a vivere sotto lo stesso tetto,
pur accettando i soldi che portano a casa. A volte vengono anche allontanate
dai locali a cui chiedono solo di utilizzare un bagno. Sono autentiche “paria” che
la società preferisce non vedere, al punto che dopo 16 omicidi confermati
la polizia non aveva nemmeno iniziato ad avviare una indagine. Abbasi ci
racconta di personaggi che vivono in confini “all’epoca dei fatti ispirati”
forse poco evidenti per la popolazione locale, ma che oggi vengono a essere
parte di un forte dibattito culturale all’interno dell’Iran a cui anche il
cinema partecipa, grazie a pellicole che arrivano anche al pubblico occidentale
come questa, come Gli orsi non esistono di Jafar Panahi (qui il link) o
Il male non esiste di Mohammed Rasoulof (qui il link).
Film grazie ai quali il cinema si sta facendo sempre più un importante spazio
riflessivo. Una occasione che può essere utile anche per ragionare sul
nostro modo di vivere, sulle nostre libertà e sul nostro sistema di valori come
Italiani.
Holy Spider utilizza un linguaggio
cinematografico diretto e spietato, dipingendo un thriller a tinte molto forti
tanto carico di scene di violenza quando di situazioni “sociali” angoscianti. Un
thriller “dal giusto occidentale” che per intuizioni visive, montaggio,
fotografia e ritmo potremmo felicemente accostare ai lavori di David Fincher.
Mehdi Bajestani e Zar Amir Ebrahimi sono due interpreti straordinari, in grado
di raccontarci personaggio dalle infinite sfumature, caratteri spezzati e
“devastati” quanto autentici: entrambi in perenne attesa di un giudizio morale
positivo nei loro confronti da parte di una società che non riesce a
prendere delle posizioni chiare sui valori da perseguire.
È un film forte, terribile ma anche bellissimo. In assoluto uno dei migliori thriller degli ultimi anni e al contempo una occasione importante in cui il cinema aiuta anche a riflettere.
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