lunedì 14 marzo 2022

Il male non esiste: la nostra recensione del film di Mohamed Rasoulof

 


In una società in cui vige la pena di morte, qualcuno alla fine deve assumere il ruolo del boia. Può essere fatto spingendo un pulsante, si può creare un meccanismo casuale, si può fare in modo che il peso della “colpa” non ricada più volte sulla stessa persona, ma qualcuno purtroppo alla fine, in virtù di una sentenza del tribunale e quindi “dello Stato” già presa, deve uccidere. 

C’è chi come Heshmat (Ehsan Mirhosseini ) ogni notte si immerge nel buio di un complesso sotterraneo di detenzione per togliere la vita, per poi all’alba tornare a casa, mettersi in ciabatte e canottiera davanti alla Tv e ricominciare. Magari salvare un gattino che si è incastrato tra i tubi del locale caldaia, andare a fare la spesa con la moglie, rassettare la casa della mamma anziana e poi andare a mangiare la pizza come piace a sua figlia. Per poi tornare in quel buio.

C’è chi come Razieh (Shaghayegh Shourian ) deve diventare “boia per un giorno” perché possono chiederlo come incarico durante il lungo servizio militare di due anni, solo allo scadere del quale sarà possibile avere un documento che permetta di lavorare all’estero e non tornare mai più in quel mondo. Forse però “quando tocca” si potrebbe marcare visita, passare l’incarico a qualcun altro, magari ricevere quella telefonata speciale che permetterebbe di cambiare caserma e saltare il turno. 

Sempre se si è militari, fare il boia significa tre giorni di licenza pagati, quando le licenze sono rarissime. L’unico modo quindi per uscire dalla caserma per incontrare una ragazza è per Pouya (Kaveh Ahangar) uccidere qualcuno, cosa che potrebbe magari non essere la migliore prospettiva di vita possibile, specie per una futura moglie che scopre come si è “meritato” la licenza premio. 

C’è chi non vuole diventare un boia ed è costretto a vivere in esilio per tutta la vita, troncando ogni rapporto con la sua famiglia per non far pagare a loro la propria colpa. 


Forse il “boia prescelto” da questo sistema può confortarsi nell’idea che una punizione capitale capiti solo alle “persone malvagie”, che sia un “male necessario” come uccidere una volpe che ogni notte fa strage di galline. Può pensare che la colpa non è sua ma dei giudici. Ma spesso non basta e il “fattore umano” può inceppare la macchina punitiva dello Stato. È sulla possibilità di questo “inceppo” che si struttura la pellicola di Mohamed Rasoulof, raccontando divise in capitoli le storie di quattro uomini diversi ma uguali nel loro “dovere” di servire lo Stato. Il “male non esiste” perché da spettatori non ne troviamo molto, di “male”, scandagliando nelle vite dei quattro protagonisti, raccontatici spesso con un occhio molto umano, tra il documentario e il neorealismo. Sono boia  straziatamente umani e non “diabolici” anche quando le loro storie intraprendono pindarici e spiazzanti, originali e poetici, voli nel cinema di genere, tra l’action, la favola e l’horror. 

Mohamed Rasoulof fa così: ci butta nel crudo realismo e tra le righe lavora di simboli e metafore. Ci racconta di gatti imprigionati e volpi in agguato, di fantasmi e uomini così incastrati nelle regole della burocrazia che possono essere pure loro imprigionati in un armadio insieme ai documenti. La ribellione del regista a questo stato delle cose parte musicalmente con il sussurro e arriva alla melodia del nostrano  “Bella Ciao”, forse diventato mainstream dopo l’endorsment della serie tv Casa di carta, ma che non ci aspetteremmo davvero in un film iraniano come questo. Un film che dopo un primo segmento dal taglio compassato (ma con un finale fulminante che lo riscrive alla radice) riesce a scorrere incredibilmente veloce, in modo appassionante, usando una narrativa cristallina e l’interpretazione di ottimi attori. Un film dall’aspetto visivo spesso asettico, geometrico, ma che sa sfociare “quando serve” nel simbolico quanto nel materico. Prigioni sotterranee in cui si scende all’infinito sotto il suolo, “il più lontano possibile dagli occhi”, fino a che si fanno gironi danteschi. Piccoli laghi naturali in cui non riuscire a scorgere il proprio volto umano. Paesaggi deserti e aridi in cui solo le volpi possono vivere, a fianco di industriose api operaie rinchiuse in straordinarie scatole sociali. 

Siamo dalle parti del capolavoro.

Sarebbe fantastico che venisse visto nelle scuole. L’opera di Mohamed Rasoulof riesce ad arrivare davvero al cuore. 

Talk0

Nessun commento:

Posta un commento