700 anni fa nasceva Dante. A 35 anni, dopo essere diventato un grande poeta, era già un uomo già distrutto, costretto all’esilio dalla sua amata Firenze per delle accuse calunniose che ne avevano logorato l’anima. Persa ogni certezza su un futuro che era diventato ormai simile a una “selva oscura”, non credendo più in “niente”, il poeta partiva per un viaggio interiore complesso, che avrebbe raccontato in versi nella Divina Commedia, mentre si trovava ancora in balia di stati d’animo auto-distruttivi che lo spingevano verso sentimenti come la lussuria, la superbia e l’avarizia. Sentimenti che simili “a fiere assetate di sangue”, lo stavano spingendo emotivamente sempre più verso il fondo. Da quei pensieri infausti Dante poteva salvarsi solo con un atto creativo offertogli dalla sua arte: la “Poesia”. La poesia prese nel racconto la forma di un celebre poeta latino molto amato dal poeta, Virgilio, che subito scacciò le fiere, offrendosi a lui come guida. Virgilio rivelò a Dante di essere arrivato in suo soccorso spinto dall’“Amore”: un amore che in Dante prese subito la forma di un altro personaggio, Beatrice, una donna da lui molto amata e recentemente scomparsa. Beatrice come anima pura del paradiso non poteva guidare l’amato nell’inferno che ora doveva attraversare, ma inviandogli in soccorso e guida Virgilio, un abitante del limbo, prometteva che sarebbe stata sicuramente insieme a Dante alla fine del viaggio che stava per intraprendere. Un viaggio che avrebbe portato il poeta a conoscere sì l’inferno e i suoi dannati, ma poi anche il purgatorio e le sue anime penitenti e infine a giungere come Beatrice in paradiso, nella grazia di Dio. Dopo essere disceso negli inferi e poi risalito, Dante sarebbe di nuovo tornato insieme a Beatrice riveder le stelle, in pace. Ma il viaggio da affrontare sarebbe stato lungo, verso il centro della terra e poi su di un monte sull’altro lato del mondo e infine nel cielo. Soprattutto l’inferno sarebbe stato doloroso, perché il poeta avrebbe lungo il cammino incontrato persone deformate e torturate dai diavoli per le pene di cui si erano macchiate in vita, in regioni (gironi) in cui il dolore e l’afflizione si sarebbero fatti sempre più intensi e sconcertanti. Persone di ogni epoca, amici e avversari politici, eroi e traditori che con le loro storie e tribolazioni avrebbero permesso a Dante di conoscere sempre più se stesso e dare un senso al suo mondo.
Attraverso i bellissimi (è mai troppo
celebrati) dipinti del maestro Matteo Scaramuzza, che si animano grazie al
digitale accompagnati dalle musiche curate da Fabrizio Campanelli ed Enrico
Goldoni, il regista del documentario Fukushima: a nuclear story, Matteo
Gagliardi, ci porta in un inferno dantesco dall’aspetto visivo imponente
quanto classico, ma che fin da subito ci viene letto con uno sguardo moderno.
Nella sceneggiatura che Gagliardi firma insieme a Filippo Davoli e Federica
Tonani si fanno largo interpretazioni dell’opera di Dante di stampo quasi
psicanalitico. Nella descrizione del mondo dei dannati fanno capolino immagini
legate a personaggi e istituzioni della nostra quotidianità scelte con cura per
essere potenti quanto controverse. Ogni canto dell’inferno è accompagnato da
una “doppia lettura” che ci viene fornita da Benedetta Buccellato e Luigi
Diberti, nei ruoli di un'insegnante e di un religioso, che senza ambire
all’impossibile compito di descrivere in toto l’universo semantico della
Commedia offre mille spinti e suggestioni. L’intero Inferno ci viene offerto in
94 minuti, in un viaggio affascinante quanto dal montaggio rapido dal quale si
fa quasi fatica a distogliere lo sguardo fino alla fine. Un viaggio che sembra
pensato per essere un punto di partenza ideale alla lettura soprattutto per
degli studenti di giovane età, un primo passo per fargli conoscere la bellezza,
la complessità ma anche la profonda attualità di un’opera come la Divina
Commedia. Un pubblico più adulto può trovare il documentario ugualmente
interessante, specie se si apprezza il gioco con la modernità che Gagliardi
decide anche “coraggiosamente” di intraprendere, esponendosi a interpretazione
e letture che possono apparire a volte molto originali e a volte più
“cosmetiche”.
Il nuovo documentario di Gagliardi è un viaggio per immagini ricco e stimolante, in grado di fornire prova concreta di quanto la Divina Commedia sia ancora un testo vivo e sfaccettato, in grado di affascinare anche le nuove generazioni. Il cinema si fa qui simile alla classe di un corso di letteratura italiana e potrebbe non essere un caso isolato: le sale in un vicino futuro potrebbero sempre più essere dei luoghi di apprendimento rivolte ai giovani, se un linguaggio cinematografico come quello proposto da Gagliardi riuscirà a cogliere la loro attenzione. Un esperimento lodevole, molto consigliato alle scuole.
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