In uno sperduto e depresso paesino tra i
boschi della provincia americana, il grosso e minaccioso Joe (Nicolas Cage)
“avvelena gli alberi” a martellate. Lo fa con una specie di zainetto dei
ghostbusters, con un martello attaccato a un tubo collegato con una mistura
venefica i grado a pieno regime di avvelenare 1000 alberi. Certo l’attività non
è pensata come una strana “pazzia anti-ecologista”. Joe e la sua squadra
scelgono gli alberi più deboli, li marchiano, li avvelenano e così questi
potranno essere “abbattuti a norma di legge” dai boscaioli in quanto “malati”.
Nuovi alberi più forti potranno essere piantati e tutti sono contenti. È un
business un po’ ai limiti del legale, ma permette di magiare a tanta gente e
garantisce al bosco di crescere più forte. Stimato quanto temuto da tutta la
cittadina, Joe si sposta triste e infelice da un luogo all’altro, tra il
bordello e la prigione locale, in uno stato emotivo sempre più esplosivo e
desolante. Si sente un po’ come il suo bulldog, un cane da combattimento
coperto di ferite che non può fare a meno di finire ogni giorno su un
campo di battaglia, volente o nolente. Un giorno arriva a chiedere di far parte
della allegra ciurma di Joe il giovane Gary (Tye Sheridan), figlio del manesco
Wade (Gary Poulter). Joe vede in Gary uno “scopo”, forse la possibilità di
essere per lui un vero padre. Ma Wade, perso nell’alcol e nella
autodistruzione, farà di tutto per distruggere questa aspettativa.
Uscito in sala nel 2013, basato
sul libro omonimo di Larry Brown del 1991, per la regia di un allora
lanciatissimo David Gordon Green, Joe rappresenta una delle migliori prove
attoriali di Nicolas Cage, nonché uno dei film più interessanti sulla depressa
e bifolca provincia americana contemporanea. Una elegia redneck o in senso poi
lato un western crepuscolare. Un film carico di atmosfere grigie, uomini
ruvidi, vestiti sporchi di fango, afa, fumosi e appiccicaticci rapporti
umani.
L’hanno paragonato a quello che è stato
Copland per Stallone e Joe è stato a ragione un film vincitore di tanti
riconoscimenti ufficiali. Io vedo nel personaggio di Joe una sorta di
“predestinazione” che segue Cage dai tempi di Arizona Junior (Raising Arizona,
del 1987) dei Cohen. In quel film Cage impersonava un divertente, innamorato e
squinternato ladruncolo/mezza tacca, così innamorato della poliziotta
interpretata da Holly Hunter da convincersi a rapire il bambino di un grosso
imprenditore locale, pur di farla “diventare madre”. Dopo il rapimento, i veri
genitori mettevano sulle traccia di Cage un cacciatore di taglie a cavallo di
una grossa moto e pesantemente armato, interpretato da Randall Cobb. Se avete
visto Arizona Junior di sicuro non ve lo siete dimenticato e perseguiterà
magari ancora gli incubi di qualcuno. Il personaggio di Cage “lo sente
arrivare” in sogno, dice che sente di aver scatenato una “forza primordiale”.
Il cacciatore viene da lui descritto come un vero e proprio cavaliere
dell’apocalisse. Lo sguardo di ghiaccio coperto da enormi occhialoni, la pelle
coperta da fuliggine e sporco, la stazza di un orco. La moto che inquadrata in
soggettiva sembra volare sull’asfalto simile alla creatura demoniaca della Casa
di Raimi, che lascia sulla strada una scia infuocata e con i fiori che
appassiscono al suo passaggio. Fa paura, è grosso e inesorabile, primitivo e
primordiale ed è “destinato a Cage”, ha un “legame con Cage”. Al punto che
negli anni Cage, come attore, si è più volte avvicinato a questo “orco”, cercando
di trasformarsi in lui. Come lui ha guidato una moto che lascia fiamme
sull’asfalto, nei suoi due film di Ghost Rider. Come lui è stato una creatura
ancestrale in Drive Angry. Come lui è diventato un moloch primordiale, in
questo Joe, nel successivo Mandy e nel recente Pig. Creature metafisiche che
vivono in strani mondi di confine ai margini della civiltà, legate a stretto
contatto con una natura che spesso “depredano per vivere”, uccidendo o
tagliando alberi, facendo affidamento su funghi allucinogeni per sballare,
utilizzando animali come combattenti. Sono film sui redneck americani, certo,
ma chi vuole scorgerlo può vedere in Cage questa creatura stanca e millenaria,
simile al One Eye di Valhalla Rising di Refn, che cerca di continuo di
combattere per non regredire a “bestia”, aggrappandosi con ostinazione ai pochi
scampoli di umanità che gli rimangono. Joe si sente un orco e vive da orco, non
permettendo a nessuno di avvicinarsi a lui per delle oscure colpe legate al suo
passato. La cosa affascinante, merito dell’ottima caratterizzazione di questo
piccolo mondo, è che Joe è assolutamente ben voluto nella comunità, alla
stregua di un orco protettore”, risultando pericoloso solo per chi ne teme il
potere e quasi ne scorge “l’aura minacciosa”. Quando incontra Gary, il
personaggio di Tye Sheridan, Joe “sboccia”, anche se si considerava come una
pianta avvizzita, velenosa e sterile. Sheridan interpreta un ragazzo nato in
una famiglia difficile, abituato anche lui a prendere la vita a pugni, un po’
come Joe. Gary deve averne “passate tante” e spesso ha dovuto “guardare
dall’altra parte” specie a causa di suo padre. L’animo di Gary si è così
inquinato che ora si sta trasformando in uomo violento e impulsivo, esattamene
come Joe. Joe che “riconoscendosi in lui” potrebbe essere la prima e unica
figura paterna della sua vita.
Il vero padre di Gary, Wade, è una
specie di diavolo fuori controllo dominato dall’alcol. Si aggira cattivo tra i
boschi, qualche volta ballando per strada senza alcuna musica nell’aria. Continua
a ripetere a chi lo incontra “sei mio amico?”, appare spesso vulnerabile,
quasi contrito, un vecchietto canuto e sbattuto. Ma possiede una certa luce
matta negli occhi ed è pronto a uccidere pur di rubare una bottiglia di whisky
a uno sconosciuto. Uccide per poi abbracciare la vittima come a scusarsi.
Anche Wade è una belva pericolosa, mette paura. Il grande e purtroppo
recentemente scomparso Gary Poulter ci ha infuso dentro un intero mondo di
disperazione, rabbia e impotenza. Tutti i personaggi che si muovono su schermo
sono complicati e contorti, cercano di vivere il presente nel modo più
“felice/fugace possibile”, ma il dramma è dietro ogni angolo e li lascia completamente inermi davanti ai demoni del passato e del futuro. Sono la perfetta
metafora di una provincia americana simile a una macchina incastrata con le
ruote nel fango, sospesa in una quotidianità che sembra invariata da cento
anni. Joe piacerebbe a Stephen King, si respira la stessa pesante aria
rarefatta della sua provincia. Un ottimo ritmo, la giusta colonna sonora
country, incredibili interpretazioni e personaggi che sembrano fatti per starti
in testa e rimanerci.
E quindi dovete vedervelo questo
Joe.
Voi lo sapete, noi sul blog siamo fan assoluti di Nicolas Cage “il più grande attore vivente a livello statistico”. Lo amavamo quando recitava nei Blockbuster di Turtletaub, Bay, Vaughn, Scott, quando era conteso tra Scorsese, i Cohen, Jonze, Verbinski, Jewison. Lo amavamo quando “esportava” John Woo e lo amiamo oggi quando esporta Cosmatos, “ripesca dal passato” Stanley. Lo amavamo quando ha quasi fatto Superman per Burton e lo amiamo ora quando fa quello che vuole, tutte le parti che vuole, ficcandosi dentro a film tremendi quanto in quelli più sperimentali e interessanti, da vero “uomo libero”. C’è chi si spegne, come Bruce Willis. Chi si blocca nelle espressioni come Travolta. Chi non sembra più in grado di uscire da una maschera come Liam Neeson. Cage sa rinnovarsi, cambiare, sbagliare, riemergere e soprattutto, cosa rara, si diverte ancora a recitare. La vena di pazzia che percorre tutti i suoi personaggi, anche quelli oggettivamente più brutti, lo tiene vivo e ce lo fa amare e temere. Come quell’assurdo cavaliere dell’apocalisse motorizzato di Cobb, pronto a rifiondarsi in sella e a sorprenderci di nuovo con una interpretazione da maestro.
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