(Premessa generale) Torniamo a parlare
dopo un po’ di Fate/Stay Night su questo blog, in occasione della terza e
ultima parte della “saga” in tre film del ciclo Heaven’s Feel, ora in chiaro
su Netflix grazie anche all’adattamento in italiano di Dynit. Vi invitiamo a
leggere il vecchio articolo per comprendere al meglio cosa sia il fenomeno
multimediale noto come Fate/Stay Night, ma abbiamo deciso di richiamare qui
almeno un paio di concetti-base orientativi. Perché i giapponesi hanno i
cartoni animati che per seguirli bisogna usare il libretto delle istruzioni. Se
le “istruzioni” vi sono già note e volete andare dritti alla recensione del
film, saltate senza problemi tutte le premesse. Grazie e buona lettura.
(Premessa sul contesto narrativo) Siamo in un mondo di maghi e babbani, scuole di magia e grandi artefatti mistici. In tempi remoti gli Einzbern, i Tohsaka a e i Matou, ossia le tre più grandi famiglie di maghi al mondo, hanno convogliato il loro potere per dare vita a un oggetto mistico, chiamato “Santo Graal”, in grado di realizzare qualsiasi desiderio. Accomunati dall’uso massivo di energie mistiche, ricavate dal mana quanto da sacrifici di sangue e artefatti, ci sono maghi differenti con ambizioni differenti. Gli “harrypotteriani” Tohsaka, esperti nella creazione di gemme di potere e immanicati con una variante di Hogwards (con più Serpeverde che Grifondoro). Nelle loro lussuose ville con piscina e porche, perseguono il sogno di perfezionare le loro arti mistiche, per permettere ai maghi di guidare e aiutare gli esseri umani come una specie di supereroi/casta di illuminati. I “Ringhiani” Matou (nel senso che fanno cose creepy come nei film di The Ring, ma pure Ju-oh e Uzumaki), esperti in negromanzia, maledizioni e sfighe a base di vermi, cercano la vita eterna, il dominio del mondo e in genere disprezzano (salvo meritorie eccezioni) i comuni mortali. In genere i Matou sono pazzi, vivono in scantinati bui e ridono in modo diabolico. Gli alchimisti “fullmetal” Einzbern vedono una realtà fisica e mistica interconnesse e studiano per creare anime e corpi artificiali, i cosiddetti omuncoli, per preservare la vita in ogni sua forma, confermandosi quasi dei cyber-futuristi. Tra la filosofia eraclitea (un po’ alla Avatar, per intenderci) e cyberpunk (nella definizione dell’essere umano alla Matrix o alla Ghost in The shell), con un innato amore per i castelli medioevali e i vestiti da cosacco, gli Einzbern sognano di poter “sintetizzare” l’animo umano, riuscendo a trovare una “radice” che funga da chiavetta usb definitiva/universale/mistico/filosofica. Ma l’incredibile artefatto superiore che potrebbe dare vita a tutti questi desideri, questo fantomatico Santo Graal da loro creato, non può accontentare tutti. Dotatosi di una volontà propria, un po’ come il Drago Shenron, decide di poter scegliere come destinatario del suo immenso potere anche persone diverse dai membri delle succitate tre super-famiglie, in base a dei criteri di “potenziale del candidato” non meglio definiti, spesso totalmente ambigui, che abbracciano anche previsioni arcane sul “destino del mondo”. Inoltre il Graal pone un secco limite: si può realizzare solo un desiderio per ogni tot anni, tipo 60. Così non va in sbattimento come il drago Shenron, che viene evocato in continuazione e non gode neanche di straordinari pagati. Per “attivare la giostra” utilizzando il mana, vuole che siano presenti sette sfer... cioè, sette maghi, per ogni cerimonia di attivazione. Così sette maghi, scelti in base “all’intensità della loro volontà di cambiare (in bene o in male, seguendo il concetto di Yin e Yang) il mondo”, periodicamente si affrontano in un luogo specifico del Giappone di nome Fukua, scelto sulla base del "perché sì", per decidere chi riceverà questa enorme possibilità irrinunciabile a tempo limitato. Per i duelli che seguiranno, da tenere rigorosamente segreti alle persone comuni “che non capirebbero” i maghi hanno deciso che saranno impiegate le evocazioni di potenti “eroi del passato”, ai babbani invisibili in quanto a tutti gli effetti dei “fantasmi”, definiti in gergo “Servant”. Questi eroi, spesso famosi a livello storico e mitologico, sono tizi come Beowulf, Achille, Garibaldi, Elvis e Maradona (nomi detti a caso, giusto per dare l’idea). I “servant” si assoggettano a questi maghi, che per l’occasione assumono il titolo di “master”, attraverso particolari artefatti e ad un rito di unione. Di fatto il servant agisce in autonomia secondo sua logica, codice d’onore, esperienza e “come si sveglia la mattina”, decidendo quando vuole di andare a fare shopping, al karaoke e similia. Ma il Master può almeno 3 volte, attraverso dei “tatuaggi mistici a scomparsa” (tipo i trasferelli dei mini-pony sul braccio), dare dei comandi diretti al Servant, che lui deve eseguire “zitto e muto”. Sì, so cosa state pensando: è come i Pokemon con Annibale il cartaginese al posto di Bulbasaur. Ma in una cornice più adulta e splatter!!
Torniamo a noi. Per
rendere ulteriormente sfiziosi gli scontri a livello strategico, le identità
degli eroi, che potrebbero far luce sulla loro forza e poteri segreti,
rimangono celate agli avversari, come le carte coperte di Yugi-oh, anche
attraverso incantesimi che ne occultano le armi leggendarie uniche di cui
dispongono. Per rendere ancora più sfiziosi gli scontri, i duettanti
possono scegliere gli eroi sono in base a sette uniche e non duplicabili
“classi di appartenenza”, in qualche modo legate ai passati “percorsi
professionali eroici” ossia: saber (se erano in vita spadaccini), lancer
(lanceri), archer (arcieri), caster (lett. “lanciatori di incantesimi“ o se
volete “maghi”), assassin (combattenti silenziosi), rider (combattenti
“veloci”), berserker (combattenti posseduti da un cannarsiano stato di
furia). Quindi i maghetti con possono rompere poi le balle perché
vogliono tutti lo spadaccino o il mago, a chi tocca tocca. Tanto alla fine
possono combattere insieme ai Servant anche i master, facendo uso della propria
magia, combinando le tattiche. Per evitare inciuci in questi duelli dove di
fatto “vale tutto” o quasi, si è deciso di sovrintendere agli scontri con un
particolare arbitro. A rivestire questo ruolo viene scelto un imparziale e
“neutrale” rappresentante della Chiesa Cattolica, che come in Highlander può offrire anche un riparo d’emergenza ai duellanti durante gli scontri,
occasione utile per riprendere le forze come per contrattare, permettendo
l’accesso a una chiesa che funge da zona franca. Poi ci sono tutta una serie
di regole, come in tutti gli anime sui giochi di carte e Death Note. Tipo: se
viene sconfitto il servant, il master può ritrarsi o trovarne un altro, se un
precedente concorrente abbandona. Se muore il master, il suo contratto con il
servant si spezza ed esce dalla gara (non è come il palio di Siena che vince
anche il cavallo da solo), un master a certe condizioni può passare il servant
e i comandi di potere a un altro master/parente, due o più master si possono
alleare, ecc. ecc. Chi vince? L’ultimo mago che rimane, ma sulla forma del
premio potrebbe aleggiare pure “il pacco”. Chi vincerà?
(Premessa sulle varie “forme narrative”
di Fate/Stay Night). Dalla premessa precedente è chiaro che la formula del
duello con eroi si presti a essere adattata in dieci milioni di anime con
personaggi ed eroi sempre nuovi, ma Fate/Stay Night nasce come una visual Novel
singola, curata da Type- Moon. Il protagonista è di fatto un tizio che sa
qualcosa sulla magia “per riparare oggetti” e potrebbe essere per questo in
qualche misura legato alla famiglia Einzbern. Il nostro è chiamato in ragione
di particolari circostanze a partecipare a una delle famose guerre del Santo
Graal di cui sopra. Al lettore della visual Novel viene in più data la scelta
di seguire tre linee narrative differenti (per i tecnici le famose “route”di
Fate) a seconda di quale “love interest” sviluppi il nostro eroe nel corso della
vicenda. Questo dice molto delle scelte sentimentali più discutibili del
giapponese medio. La prima linea narrativa, chiamata semplicemente Fate/Stay
Night, comporta che l’eroe si innamori del proprio Servant, una ragazza forte
e decisa, apparentemente distaccata ma dall’animo puro, praticamene una santa
inavvicinabile con cui condividere una relazione così platonica che ci si
limita a guardare insieme l’orizzonte (tipo Rei di Evangelion). La seconda,
chiamata Unlimited Blade Works, comporta che l’eroe si innamori di una
discendente della famiglia “Harrypotteriana” dei Tohsaka, la classica
“cagacazzo umorale” che i giapponesi definisco “Tsundere”, con cui il massimo
del coinvolgimento è portarle le buste dello shopping a sette metri di distanza
(tipo Asuka di Evangelion). La terza linea narrativa pretende (dove la logica
imporrebbe di non percorrere nemmeno lontanamente una simile strada) che l’eroe
perda la testa (e poi tutto il resto) per una discendente dei “ringhiani”
Matou, che come potete già intuire è una pazza, stalker e pluri-traumatizzata,
con cui sperimentare i peggiori martiri fisici e psicologici, mutilazioni
eventuali comprese (stile Sadako/Samara di The Ring). Dato l’incredibile e
pazzeschissimo successo della Visual Novel, sono arrivati nel tempo gli
adattamenti in cartone animato dei tre percorsi narrativi e poi, senza
“percorsi tripli” tutta una serie di prequel/sequel/spinoff ambientati in
diverse guerre del Santo Graal. Sono nati mille anime, manga e fumetti, spesso
curati da autori e studi diversi, pure con stili visivi diversi. Il
problema enorme, per chi vuole immergersi nell’Universo di Fate Stay/Night per
la prima volta, è che alcune opere, soprattutto le principali, porcapaletta,
sono legate tra loro a tal punto che in alcune di esse si danno per scontati, se
non “si saltano proprio”, degli eventi narrativi fondamentali, ma già narrati
in precedenza altrove. Con tutta l’irritazione possibile legata all’amore del
“non-detto/non-chiaro” che culla così tanto l’animo dei giapponesi da spingerli
a narrare nel modo più caotico e ambiguo moltissimo loro opere. La solita
sfilza di frasi interrotte tipo: “Ma tu hai detto quindi che...?” o “Ma allora
in realtà tu sei...?” o “Ma questo tiramisù ha come elemento segreto
questo...?” . Frasi criptiche e roba frammentata che rendono il tutto un casino
ancora più infame se non si è giapponesi e per questo non è possibile avere in
italiano tutto il materiale della saga, perché gli editori nostrani magari
non hanno pensato di portare da noi quel tal romanzo spin-off uscito in sei
fumetterie di Shinjiuku ma che tutti conoscono e danno per scontato. Oppure ci
si rifà a quell’avventura sonora o a quel gioco per cellulare solo testuale mai
uscito dalla localizzazione giapponese (alcuni di questi esempi potrebbero non
essere reali, ma altri lo sono). Certo, la rete aiuta e Fate ha una bella
schiera di favolosi fan che si possono trovare sui forum, pure in grado di
tradurre dal giapponese. Ma il “gioco” dietro a Fate e molte saghe nate sulle
visual Novel è spesso proprio connaturato con la ricerca di fonti disparate da
collezionare qua e là, aspetto che chi vuole avvicinarsi al brand deve sapere.
Grazie al cielo, per guardare la saga cinematografica di Heaven’s Feel,
opera di Ufotable, “basta” aver guardato la (bellissima) serie animata Unlimited Blade Works, sempre di Ufotable poi seguita o anticipata dalla
serie prequel Fate/Zero, sempre curate da Ufotable. Quindi in questo caso c‘è
una invidiabile coerenza visiva e narrativa, all’interno di una saga “espansa”
curata da parecchi autori diversi.
(La strabenedetta recensione) Eccoci al
dunque. Benvenuti se siete vecchi fan di Fate/Stay Night e avete saltato le
varie premesse e “grazie di essere ancora svegli”, o voi nuovi fan di Fate/Stay
Night, che siete sopravvissuti a quell’infinito muro di parole, vi siete
recuperati Unlimited Blade Works, Fate/Zero e i precedenti due film di Heaven’s
Feel prima di tornare qui (certo vi vedo un po’ più invecchiat...ehi! Ma c’è
anche chi è stato su Cruncyroll a spararsi Garden of sinners!! Sei il nostro
eroe, massima stima!!). Quindi siamo pronti a tornare nell’inferno della
relazione tossica tra il nostro eroe dai capelli rossi e la stalker
ultraterrena e vendicativa della famiglia Matou. L’aria che si respira è così
pesante, la sofferenza inflitta a tutti i personaggi principali cosi alta, che
la storia ci grazia e inizia a parlare di “altro”. Dal mega-flashback
sull’origine del Graal a opera delle tre famiglie, al mega-flashback sul
prete-arbitro (che dal precedente film ricordiamo eccitarsi mentre mangia cibo
cinese... cose belle). Gli scontri tra Servant e Master si susseguono sempre più
concitati ed estremi, dopo che alla fine del precedentemente film alcuni eroi
sono clamorosamente stati battuti in pazzeschi colpi di scena. Chi rimane si
butta a testa bassa contro il mega/super/iper/mostrodefinitivo in continue
“tattiche suicide”. Il nostro protagonista non bastava venisse mutilato e deve
patire anche un progressivo decadimento fisico a base di maledizione, che si
accentua con lame mistiche che lo trafiggono quando prova almeno a dare uno
schiaffo all’avversario di turno. Quindi di base perde sangue, si avvicina a una morte sempre più inevitabile e quando prova a difendersi la maledizione gli
autoinfligge di default dei danni, a prescindere che il colpo vada o meno a
segno. Un certo personaggio con cui si confronta a un certo tipo dice: “Non ha
senso combatterti, perché ti stai ammazzando da solo” e ha tutte le ragioni
del mondo in questa affermazione. Se fisicamente “non ci siamo”, emotivamente il
nostro eroe è conciato pure peggio, vedendo crollare costantemente le sue
relazioni fino all’annichilimento. Sakura, il “love interest maledetto”,
diventa progressivamente la protagonista assoluta della vicenda, decidendo di
percorrere un cammino di disperazione e pazzia omicida che colpisce random
tutto quello che la circonda. In alcune fasi, dopo aver compiuto l’ennesima
strage, Sakura ci ripensa e soffre. Poi riparte imperterrita fino al nuovo
giro. Gli altri personaggi e noi spettatori con loro, fatta “una certa
ora” vorremmo almeno capire come andrà a finire la storia. Ma siamo degli
illusi. Sul finale, grazie a una sadica coltre di depistaggi, frasi mozzate,
buchi logici e narrativi sapientemente ricercati dagli autori, non si capisce
più che cavolo sia il Graal (o meglio “quel Graal”), che cavolo vogliano
alcuni personaggi, come cavolo siano arrivati certi personaggi in certi luoghi,
che cavolo di senso abbia il finale. Si esce dalle sale (è ormai una “licenza
poetica”, solo che “si termina il download” mi rattristava) con un bel senso di
malinconia... e la voglia comune di comprare il blu Ray per rivedere mille
volte i più spettacolari combattimenti adult-pokemon-wannabe che siano mai
stati creati!!! Perché se narrativamente è terribile, visivamente e per il lato
action questo film è abbastanza imperdibile.
(Non un bel modo di raccontare) Fin dal primo film di Heaven’s Feel è chiaro che è stata attivata per il
“pubblico pagante di riferimento” la funzione “avanti veloce”. Ricordiamo che
la Novel aveva un percorso unico che diventava trino a secondo delle scelte del
protagonista, ma pure con alcune delle sequenze successive che rimanevano di
fatto uguali per tutte le strade. Quindi la produzione sceglie in sintesi, in
ragione del desiderio espresso immagino dal pubblico giapponese, che:
“Non essendo importante tutto il resto che hanno già visto da altre parti, che
sia prima o dopo la scelta, saltiamo via tutto e arriviamo al nocciolo delle
novità”. E si intende “nel tutto” pure ciò che discendeva da Fate/Zero. La
pellicola va così e solo al sodo degli snodi narrativi nuovi che adotta una
struttura narrativa davvero INDECENTE, priva cocciutamente di offrire anche
solo dei dialoghi di rimando. Il termine di paragone è andare una sera a casa
di un amico a guardare Il Signore degli anelli saltando nella prima e seconda
ora a caso il 70% delle scene. Quindi ecco che arrivano personaggi che appaiono
a caso e solo per pochi secondi, colpi di scena preparati per ore che si
risolvono (quasi letteralmente) come schiacciare una zanzara con il giornale,
motivazioni e cambi di opinione che semplicemente non stanno in piedi. Questo
non inficia la comprensibilità del tutto se uno si è studiato per bene e di
recente tutta la storia, le serie e spin-off sopra esposte nelle premesse.
Questo non accade allo spettatore occasionale, che magari sperava dai tempi del
primo Heaven’s Feel “che le spiegazioni sarebbero arrivate nei film
successivi”. A tutti rimarrà in mente la assoluta spettacolarità visiva della
pellicola, senza dubbio una delle cose animate più clamorose ed esaltanti
dell’animazione giappa action degli ultimi tempi. Ma è un modo INDECENTE di
raccontare una qualsiasi storia, proprio dal punto di vista del legame empatico
che si dovrebbe instaurare tra uno spettatore e un’opera che sta vedendo. Si
perdono di vista i personaggi, il contesto si annebbia, i sacrifici più estremi
perdono senso e i cattivi più mefitici vengono abbattuti in modo anticlimatico.
Ma, se dopo la visione parte un re-watch spontaneo di Unlimited Blade Works,
Fate/Zero e i primi due film, poi tutto si aggiusta. Si riscopre la bellezza di
osservare personaggi che come in sliding doors diventano periferici o centrali,
alleati i nemici, a seconda del “destino”. Ci si immerge nella brutalità
ma anche nel fascino che al contempo possono irradiare le anime eroiche, si
riscopre l’amore infinito con cui è curato il sistema delle relazioni tra i
personaggi. Ma questo accade solo se si ha davanti il “pacchetto completo”. La
mia critica è quindi fondamentalmente sul modo di narrare scelto per questo
prodotto, non sugli enormi meriti e fascino del mondo e dei personaggi che
animano Fate/Stay Night. O forse sono solo troppo vecchio per questi prodotti e
il mondo è già multimedialmente preparato per la fruizione di prodotti di
questo tipo. Ricordo che solo “ieri” Ridley Scott toglieva da Alien Covenant
due scene-chiave centrali alla comprensione della saga, creando due corti per
il web, dicendo “questo è il futuro”. Forse è un futuro che non ho ancora
capito. Se davvero il pubblico desiderasse un approccio di questo tipo, a
“spezzatino criptico”, per il futuro, la narrativa sequenziale cambierebbe di
paradigma in un modo che forse io non riuscirei mai a capire fino in fondo. È
in gioco il potere di una pellicola di emozionare. Non credo che siamo sempre
in un videogame, non trovo giusto guardare un film solo scegliendo con il dvd
quelle tre sequenze chiave spettacolari decontestualizzando tutto il resto. Ma
forse sono solo vecchio.
(Un maledetto spettacolo visivo). La versione del franchise di Fate/Stay Night offerta da Ufotable a livello tecnico costituisce l’apice della migliore animazione sognabile dai fan della serie. Anzi, “di ogni serie”. Lo studio è così bravo che la versione animata di Demon Slayer (in Italia grazie a Dynit, una vera bomba per la cura della realizzazione generale della casa bolognese, recuperatela) da loro prodotta ha lanciato a mille un manga abbastanza insulso nell’Olimpo delle opere più lette in Giappone. Parliamo di animazione di stampo bidimensionale con ottimi inserti in computer grafica, un eccelso uso delle musiche, un character design inspirato, fondali da urlo, un’ottima regia. Un livello qualitativo alto, che “tiene”, nelle serie Ufotable, dalla prima all’ultima puntata. Intendiamoci: è un apice, non una rivoluzione visiva. Non è La principessa splendente, Howl o Ghost in the Shell o i recenti film ad alto budget di Hosoda e Shinkai. L’approccio è quello degli OAV vecchia maniera, da Lodoss War a Devilman - la genesi, quelli “fatti a mano”. Ufotable prende quel modello e lo affina a livello funzionale e artistico, rispettando la tecnica nota del passato e infondendoci la tecnologia di nuova generazione. Presa sul lato action, Heaven’s Feel presenta combattimenti tra eroi da urlo, super dinamici e mozzafiato, imprevedibili nell’esito, strabordanti di ogni tipo di effetto speciale. Presa sul lato romantico, i personaggi sono in grado di essere sempre molto espressivi, vitali, carichi di una profonda vena malinconica. Il top del godimento lo provo però quando mi trovo a fissare uno sfondo pressoché statico, come un bosco di ciliegi o l’interno di un albero cavo illuminato da delle torce. Tutto è così ordinato e accurato che mi sento trascinato dentro. Il chara design mantiene la sensualità e possanza che caratterizza da sempre i personaggi dell’opera, anche se in questo capitolo (a differenza del secondi) si fanno meno concessioni all’aspetto erotico dei personaggi. Viene affermata invece con forza la linea da “body-horror” che già allungava ombre oscure dal finale del precedente film. Sul menù, corpi mutilati, sbudellati, esplosi, smaterializzati, pieni di vermi e se capita pure trafitti interiormente da da lame aguzze. Ma il tutto è reso da Ufotable sempre in modo non disturbante, più tragico che grandguignolesco, alla ricerca di uno stile visivo elegante. Un’altra cosa che ammiro è il modo in cui certe battaglie siano giocate sul singolo istante di un colpo decisivo, velocissime ma davvero appaganti, imprevedibili, sempre originali nell’uso degli spazi e delle armi. Non voglio farvi spoiler, voglio lasciare la scoperta a voi. Un piccolo spoiler pero me lo permetto.
(Il colpo di scena finale). Il finale del film non è il massimo per come è gestito. Anzi, è per me l’equivalente di un piccolo calcetto nel culo. Anche se il messaggio di fondo della pellicola, il suo estremo senso di malinconia, la ricerca di felicità nonostante la fragilità della vita umana, si avverte e colpisce, il tutto poteva e doveva essere gestito meglio. Per non rovinare il finale a chi ancora deve vedere il film, metto sotto
SPOILER
c’è questo scontro finale molto criptico e alla fine il nostro eroe in sostanza muore in una giga-esplosione. Non prima però che la sua sorellina Illya, comparsa all’improvviso all’ultimo minuto faccia “delle cose” che in pratica agiscono sulla “radice” e aprono una specie di colonna di luce verso il cielo. Stacco infame di qualche mese. Sakura e Rin di nuovo sorelle ricongiunte e felici, dicono che il corpo di Shiro non è stato più trovato. Poi girando nei vicoletti come Rin bambina faceva con la bussola magica in un episodio di Fate/Zero, fino a quando incrociano di spalle la protagonista di Garden of sinner. Così, come fosse un passante. Girano l’angolo e trovano in una cassa di legno una bambola-omuncolo “su misura per Shiro”. Gli omuncoli invecchiano e all’apparenza sono a tutti gli effetti umani, salvo che quando vengono creati iniziano a svilupparsi come questi bambolotti in posizione fetale, come viene spiegato proprio di Garden of Sinner. Al che le due ragazze avvicinano quella che potrebbe essere intesa come l’anima di Shiro, tenuta in una gabbietta per uccelli che non abbiamo mai visto prima, alla suddetta bambola. Nella scena dopo c’è Shiro nella casetta che cucina. L’interpretazione è che Illya sia riuscita nella fusione di un’anima umana con un corpo artificiale, la tecnica “Fullmetal-alchemica” che ricercavano gli Einzbern, di fatto avendo raggiunto il loro desiderio con il Graal. Ma la cosa poteva essere esplicitata nel flashback sulla creazione del Graal stesso, dove l’antenata degli Einzbern si fonde con il rituale stesso in qualche modo imprimendogli il suo spirito) e nei mille momenti in cui si accenna. Sembra poi facciano particolarmente schifo agli sceneggiatori le spiegazioni, preferendo trincerarsi dietro termini in inglese dal significato oscuro. Puro compiacimento nel restare criptici e allusivi, ma che qui sfocia in pessima scrittura. Certo Shiro alla fine non se la passa benissimo. Non spiccica parola, sembra davvero “imbambolato” (...scusate, non ho resistito alla battuta). Questa ultima nota di ambiguità però è resa bene a mio parere, si riesce a far percepire che la nuova situazione di Sakura ha contorni indefiniti, forse illusori, forse che devono essere accettati o “sperati” con un atto di fede che si chiede tanto alla protagonista che agli spettatori. Certo che un paio di parole in più sarebbero state utili e la storia della bambola poteva essere raccontata meglio. Tipo alludendo al discorso dell’anima nella gabbietta di uccelli, che non sembra ben collegato al raggio di luce che scaturisce alla fine del rito di Illya. Tipo facendo vedere Rim che utilizza la sua bussola per ricercare un corpo compatibile con Shiro, magari usando il medaglione di Archer. E invece dobbiamo solo intuire il tutto, compresa l’ipotesi che la “resurrezione” di Shiro sia fallita e che quello che vediamo accanto a Sakura sia solo una specie di allucinazione che solo lei vede. Con la sequenza del bambolotto che possono voler dire tutto e niente o possono far intendere che ci sia in giro un bambolotto artificiale che ha solo la forma di Shiro.
FINE SPOILER
(Finale) Heaven’s Feel III si porta dietro la struttura a salti e buchi di trama iniziata nella prima pellicola, soffrendo per me ulteriormente della mancanza di alcune doverose rifiniture narrative che erano possibili e auspicabili. Nonostante questa nota amara che in parte lede il gusto dell’esperienza, meno avvertibile (ma comunque evidente) da chi ha fatto un bel recente “ripasso totale” delle opere collegate alla saga, i personaggi e le immagini sono bellissimi, le animazioni spettacolari, le scene di combattimento davvero ben costruite. Il film riesce a commuovere, diverte con la sua azione a rotta di collo, affascina per la tecnica che mette in campo. Questo può in parte far perdonare i suoi limiti.
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