sabato 30 gennaio 2021

Pietà - il diciottesimo film di Kim Ki Duk



Corea, 2012. Nella zona periferica più povera, vicino allo smantellamento in ragione dei nuovi palazzi, Gang-do (Lee Jung-jin) riscuote prestiti con interessi al 1000x100 e spezza gambe e braccia perché l’assicurazione per l’invalidità permetta di pagare a chi non ce la fa più. I piccoli commercianti locali lo chiamano “il diavolo che illude la gente con i soldi”, ma sono i primi ad avere bisogno di lui perché lo stato non c’è e la gente che non muore di fame spesso si suicida. Non c’è futuro anche per chi si impegna. La prospettiva felice della nascita di un figlio deve fare i conti con la necessità disperata di rompersi una mano e diventare invalidi per avere i soldi di mandarlo a scuola. Gang-do sembra anestetizzato da ogni sentimento, vive solo, esegue il suo lavoro di carnefice e strozzino con rigore disumano. Solo la sera, nel suo piccolo appartamento fatiscente, dorme tormentato, alla ricerca di un po’ di calore carnale nell’autoerotismo. Ma non sembra più di un tic fisiologico. Gli affari comunque non vanno bene, non c’è più nessuno che abbia soldi e lo strozzino rincasa sempre più spesso solo con del pollame o un consiglio. Anche se ha incrementato il tasso di violenza con cui cerca di estorcere il denaro, questo non sembra funzionare e il boss locale lo rimprovera per la gente che riduce quotidianamente in fin di vita, incapace di produrre per questo altro denaro. Un giorno appare alla sua porta una donna (Jeon Mi-Seon), dice di essere sua madre. Si scusa di averlo abbandonato e lasciato crescere solo e cattivo in questo mondo, gli pulisce casa, gli prepara da mangiare. Il ragazzo la respinge, ma la donna torna più volte e quando gli regala una anguilla da mangiare, lui la caccia di nuovo ma tiene l’anguilla, la mette nell’acquario insieme al bigliettino con il numero di telefono della donna. Alla fine la richiama, la accoglie e per la prima volta nella vita lo strozzino prova cosa significhi avere una madre. Ma la donna serba dei misteri e forse una vendetta. Il suo avvicinarsi a Gang-do con la pietà materna potrebbe nascondere qualcosa di diverso.

Pietà classica


Nella Corea delle vendette psicologiche crudeli di Park Chan-wook (la nota trilogia) e dell’amore carnale e cattivo (Isola, sempre di Kim Ki-Duk), la Pietà è sempre l’arma più forte, quella che colpisce il lato umano delle creature anche più egoiste e brutali. È qualcosa che lega insieme la natura umana e quella matrigna gettandone i confini, un vincolo apparentemente frivolo e umile, ma potente, inesorabile nella crescita morale. Qualcuno direbbe che nasciamo nel dolore e l’amore materno è il primo a consolarci, nonché sovente l’ultimo pensiero che torna prima di morire. Una energia vitale da cui attinge a piene mani Kim Ki-Duk, regista il cui cinema ricerca la pietà da sempre negli angoli di un appartamento (Ferro 3),sotto i ponti dei fiumi (Coccodrillo), nel fluire dell’acqua (Isola), tra le pieghe del tempo (Primavera, Estate, Autunno, Inverno...e ancora primavera). Così i mille falliti che popolano i film di Ki-Duk partono tronfi, giocano con una donna come se fosse una preda, un oggetto semi-inanimato o decorativo, fino a scoprirne la bellezza, piegarsi a essa e riconoscersi umani. È un processo che parte dal sangue, dal dolore anche visivamente più disturbante e ingiusto, ma la cui dolcezza finale strazia, ricongiunge, pacifica.

Pietà sudcoreana


Questo 2020 ci ha portato via anche Kim Ki-Duk. Un maestro senza tempo. Pietà è un buon “starting point” per riscoprire il suo cinema. Non la sua opera più complessa, ma quella che più assomiglia ai revenge movie che con il tempo hanno dato la dimensione più innovativa del cinema coreani. In genere che Ki-Duk segue dai tempi di Coccodrillo, di Bad Guy. Se volete potete partire quindi da qui e poi scoprire la caustica e folle Isola, gli angoli architettonici e domestici di  Ferro 3, la filosofia orientale dei monaci di Primavera, Estate, Autunno, Inverno è ancora Primavera. È un regista difficile, criptico, duro. Va avvicinato con la voglia di superare la coltre di violenza, i tempi lunghi e infiniti silenzi dei suoi lavori. Ma è uno sforzo che appaga e ripaga, che ogni amante del cinema deve per me tentare. Ci mancherà tanto. 

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