Parlando di Blade Runner, nei commentary ed extra delle varie edizioni lusso home video, Ridley Scott si sofferma ogni tanto su una scena specifica, cruenta quanto incredibilmente “intima”: l’abbraccio del replicante Roy Batty (Rutger Hauer) al “padre putativo” in Dott.Tyler (Joe Turkel). Doveva essere una scena di fragore meccanico e metallico, sarebbero esplosi degli ingranaggi. Un po’ come accade al povero robot-autista Johnny 5 quando Quaid lo scardina dal suo taxi in Total Recall/Atto di Forza di Verhoeven. E invece no, nessun rumore di cavi, ferraglia e scintille, solo un sordo “crack” a delle ossa fin troppo umane. Scott non voleva parlare di “robot ricoperti” come in Terminator. I suoi “lavori in pelle” erano creature ingegnerizzate dalla bio-tecnologia, scegliendone accuratamente i geni per potenziarne fisico, agilità, intelligenza. Creature di cui ogni parte è una replica perfetta di un organo che esiste in natura, salvo quel limite voluto e ricercato per distinguere l’umano dall’artificiale, l’esame della retina attraverso il test psicologico Voight-Kampff. Creature cui vengono impiantati ricordi (torniamo su Total Recall, non a caso Blade Runner e Total Recall sono tratti da opere di Philip Dick) come sogni (l’unicorno, simbolo di un altro lavoro di Scott, il fantasy Legend, dove non a caso si parla di amore tra specie diverse) per aiutarle a considerarsi umani, porli al servizio degli umani.
Gli anni passano, Ridley Scott ha un
figlio di nome Luke, anche lui portato per la regia. Lo seguirà come regista di
seconda unità in Exodus (2014) e The Martian (2015), mentre debutterà alla
regia con un piccolo ma grintoso film di nome Morgan (2016). Morgan muove
dagli stessi interrogativi di Blade Runner, focalizza il rapporto possibile tra
esseri umani e artificiali, ne evidenzia limiti e paure. Morgan può essere a
tutti gli effetti un prequel apocrifo di Blade Runner, ma alla sua base c’è un
seme ancor più profondo e legato alla saga. Torniamo al 2012 e ad un piccolo
corto di pochi minuti, di fatto il battesimo del fuoco di Luke Scott. Loom.
Nasce come prova tecnica per pubblicizzare delle nuove telecamere della Red, ma
colpisce così tanto i produttori che diventerà il primo copione di Morgan,
quello che poi sarà accantonato. È incluso come extra nel dvd di Morgan, magari
si trova anche on-line da qualche parte.
Loom vede protagonista Giovanni Ribisi, nei panni di un tecnico molto speciale di una città futuribile. In un mondo in cui l’uomo ha iniziato a colonizzare lo spazio, i primi insediamenti extra-mondo sono minati dalle difficoltà del corpo umano ad adattarsi al nuovo ambiente, vedendo l’insorgere di nuove malattie spesso letali. Il nostro eroe si occupa di “carne artificiale”, poiché il primario problema di un mondo inquinato è pronto a partire per lo spazio è proprio la scomparsa degli animali e lo stato sempre più comatoso della natura. La carne viene prodotta dal “Loom”, una macchina che intesse tonnellate e tonnellate di filamenti sintetici, dando vita a pezzi di carne già tagliati e pronti per la tavola, senza passare alla clonazione di un bovino. Non è che sia impossibile creare un “bovino intero”, il fatto è che esiste una legge che impedisce ogni forma di clonazione, specialmente umana. La fabbrica di carne controlla con dei test psicologici periodici gestiti da delle macchine (caratterizzate da una luce rossa che ricorda Al-900 di 2001 Odissea nello Spazio) che i suoi dipendenti non si approprino dei dati della carne artificiale per farne altro, ma il nostro eroe prova a sfuggire a questo ingranaggio, prova a dare vita a un essere clonato. Il primo, una donna. La tratta come un essere umano, la protegge nella sua abitazione e soprattutto ne cura il processo immunitario, cercando di migliorarlo di volta in volta. Una donna che vive più volte diventando sempre più forte. È un piccolo film, girato con grande tecnica, prodotto dal padre Ridley. Certo le date non coincidono con quelle di Blade Runner, è anche questo a tutti gli effetti qualcosa di apocrifo, ma gli elementi, il mondo e l’immaginario, c’è tutto. È un ottimo “prequel” da gustare in combinato con i tre piccoli film che accompagnano l’home video di Blade Runner 2049 di Villeneuve. Il primo, 2019 blackout di Shinichiro "Cowboy Bepop" Watanabe ci trasporta per la prima volta sulle colonie extra-mondo, raccontandoci che lì non ci sono più coloni ma replicanti. Soldati artificiali che combattono contro altri soldati di nazioni o corporation diverse, in una eterna partita volta al possesso di terre. Nel secondo e terzo mini-film ritroviamo alla regia Luke Scott e incontriamo il replicante ex medico-soldato Sapper, di Dave Bautista. Lo troviamo intento a vendere per due spicci a un ristorante dei serpentelli ingegnerizzati. Un po’ il cerchio si chiude, come potremmo ri-espanderlo, integrare i “sintetici” di Alien, sempre di Scott, con i replicanti e con Morgan. C’è un po’ di Roy in Morgan, un po’ di Bishop in Sapper, un po’ di K in Leon e Walter, un po’ di Annalee in Racheal. Ma questa è un’altra storia di lavori in pelle.
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