Gli anni
passano, i bambini cambiano e i giocattoli, come le tate, gli insegnanti e gli
educatori, sono pronti a nuove sfide. E la sfida più dura è quella di scoprire
che di loro non c'è più bisogno, che altri prenderanno il loro posto nella cura
del bambino. Come il piccolo Andy è cresciuto, anche Woody il cowboy è
diventato un giocattolo più consapevole del suo ruolo e del suo tempo. Nel
primo film negava che un nuovo giocattolo prendesse il suo posto nella
cameretta del bambino, nel secondo comprendeva la tristezza di essere un
giocattolo "vintage", un "oggetto" che poteva essere da
esposizione chiuso in una teca di vetro come un quadro. Nel terzo film
accettava di passare a una proprietaria più giovane, Bonnie. Nel quarto
dall'inizio sa che il ruolo di giocattolo prefetto, di sceriffo, è passato per
Bonnie a Jessie, la Cowgirl. E allora cosa fare, come essere ancora utile? Con
l'esperienza e con la comprensione più matura del suo ruolo di giocattolo,
tata, insegnante ed educatore. Mettersi al servizio della bambina in modo del
tutto disinteressato, sostenerla e spronarla anche se dietro le quinte, in modo
silenzioso. Così Woody segue di nascosto Bonnie nel suo primo giorno di asilo,
quando ancora sola e senza amici crea da un "forchetto", uno spago,
uno stecchino e qualche optional di Art Attack un pupazzetto.
"Forchi", doppiato molto bene da Luca Laurenti. Lei si affeziona a
Forchi, mentre questo nuovo giocattolo non ha ancora chiaro il suo posto nel
mondo, si considera "spazzatura" in quanto "fatto di spazzatura"
(per la sua particola creazione, che vi invito ad approfondire al cinema). Un
oggetto inutile come forse un po' inutile si sente ora Woody. Woody e Forchi si
trovano così protagonisti per una serie di circostanze in una avventura on the
road che li porterà nei pressi di un parco giochi e di uno strano negozio di
antiquario dove i giocattoli stanno dietro a una teca di vetro da troppi anni.
Sentire
Woody senza la voce di Fabrizio Frizzi è un dolore, nonostante il buon lavoro
svolto da Angelo Maggi. Così come fa commuovere rivedere su schermo i
giocattoli della Pixar, in storie che progressivamente si sono fatte sempre più
intime e forse tragiche. Il divertimento c'è sempre, ma la lacrimuccia è sempre
più insidiosa ad ogni film e questo Toy Story 4, dietro la patina colorata e
gioiosa di una animazione computerizzata sempre più calda e gentile, non manca
di scene davvero strazianti. È un film crepuscolare, sulla necessità di
reinventarsi la propria vita dopo che il vecchio lavoro è finito del tutto, senza
tradire quello che si è sempre ritenuto importante. Come chi "ha fatto il
suo corso", anche i giocattoli più amati vengono dimenticati, finiscono in
soffitta, al mercatino e se sono stati "persi" non vengono più
ritrovati o ricercati. Si chiude un capitolo con il bambino che si aiutava a
crescere, si fanno i conti su quello che si vuole ancora fare nella prospettiva
che un altro bambino da accudire non ci sia più. È doloroso, è realistico. Non
è una seconda occasione, che non arriverà più. È la necessità di una rinascita.
È attuale in modo drammatico, vista la velocità in cui negli ultimi tempi con
la crisi molte persone hanno dovuto reinventarsi un lavoro e cercare un nuovo
posto nel mondo. Toy Story arriva a parlare di giocattoli che per sapere come
affrontare il proprio futuro devono seguire o "avere" una loro "voce interiore" a guidarli. Su questo tema/metafora, non priva di
enormi implicazioni psicanalitiche, trovano fondamento suggestioni
narrative pirotecniche quanto universali, profonde quanto ridicole, buffe
quanto quasi horror (con una scena che non sarebbe sfigurata in Saw
l'enigmista). E Pixar, con la stoffa che da anni dimostra nel campo, palleggia
tutte queste suggestioni con la leggerezza di cui solo lei è capace, con la
cristallina semplicità che riesce a trasmettere anche quando vuole far
ragionare i bambini, quanto gli adulti, su temi anche molto complessi. Ne
risulta, ancora una volta, un film straordinario, unico, profondo e
godibilissimo. Una gemma che vi farà ridere e vi farà piangere. Per i bambini
uno spettacolo colorato che ricorderanno come una bella gita trascorsa in
famiglia. Per i genitori e adulti uno spettacolo che trasmetterà catarticamente
tutta la gioia e disperazione di poter essere bambini, ma solo per 90 minuti.
Con la consapevolezza che a volte il genitore è più simile per ruolo a quello
di un giocattolo che prima o poi sarà vecchio. Grazie ancora una volta, Pixar,
per le grandi emozioni, il grande spirito positivo che infondi nei tuoi
prodotti insieme alle troppe lacrime.
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