mercoledì 19 giugno 2019

Godzilla: King of the monsters - la nostra recensione



- Micro-sinossi: Madison Russell (Milly Bobby Brown) è una ragazzina americana che metaforicamente potrebbe essere una sorta di Greta Thunberg. I suoi genitori metaforici sarebbero gli "adulti dei giorni nostri" che hanno forse deciso di affrontare, dopo mille tentennamenti, il tema del cambiamento climatico. Certo i cambiamenti climatici al cinema hanno avuto metaforicamente forma di glaciazioni improvvise (The Day after tomorrow), tornadi squaleschi (Sharknado), alluvioni da rapina (Pioggia Infernale), terremoti più forti di The Rock (San Andreas), vulcani decolorati (Dante's Peak). Ma quale metaforone del cambiamento climatico può essere cinematograficamente più forte e convincente dei mostroni giganteschi? Mostroni che vivevano nel sottosuolo terrestre e ora, dopo che abbiamo inquinato, deforestato, depauperato e trivellato la loro casa, sono venuti in superficie per distruggerci e ripristinare lo status quo. Con le loro manone, code acuminate e raggi laser, i mostroni sono pronti a farci diventare una "civiltà perduta" come Atlantide, Agartha, Mur e altra roba più o meno storica o fanta-storica. E c'è pure nel film una spiegazione razionale di stampo "immunologico" a questo fenomeno.  Gli "umani germi-inquinatori" hanno ammalato madre terra che ora scarica su di loro i suoi "mostri giganti-anticorpi". E cosa può fare l'uomo, in senso lato la famiglia di Madison? Seguendo l'idea del padre Mark (Kyle Chandler), forse è possibile convivere con i mostri emersi in superficie, controllarne i movimenti e forse comunicare con loro come si fa con le balene, per evitare che si dirigano dove gli umani sono più indifesi. L'uomo, conoscendo sempre più i mostri, diventerà umile e più rispettoso dell'ambiente. Era metaforicamente in prospettiva climatica l'idea di Al Gore di "inquinare meno e vivere responsabili". Seguendo invece l'idea della madre Emma (Vera Farmiga), bisogna che tutti i mostri siano lasciati liberi di compiere il loro lavoro di ultracorpi. Ridare loro in mano in mondo, nascondendo magari la razza umana all'interno dei  molti bunker segreti, già scavati dalla associazione Monarch in sessant'anni di attività, sotto la superficie terrestre. Quando e se gli umani riemergeranno, il mondo sarà un paradiso nuovo, mondato e privo dell'inquinamento che ora lo affligge. E questa metaforicamente è l'idea che apprezzerebbero alcuni noti supercattivi come Magneto, il Samuel Jackson cattivo di Kingsman, metà dei villain dei libri di Dan Brown. E Madison/Greta è lì, nel mezzo, tra una scelta sensata e una da fumetto, senza avere ancora chiare le ricette dei rispettivi genitori per affrontare i mostri/ambiente che loro stanno elaborando in modo confuso. E ognuno dei suoi "genitori/metafora" le chiede di schierarsi dalla sua parte. Cerchiamo di non inquinare e migliorare la nostra convivenza con la natura o non combattiamo più, consegniamo il mondo alla natura e sia quello che sia? Questa seconda azione, in un film con al centro dei mostri giganti, da situazione di inerzia (o da idea di attacco atomico /batteriologico ammazzatutti in chiave "fumettistica") può diventare, e diventa, un'azione provocata specifica, l'incipit narrativo. Il (non troppo) famoso Liberate il Kraken, oggetto di (poco vendute) t-shirt ai tempi di Scontro tra titani. Un Liberate i kraken, al plurale, per essere precisi. I mostri che da anni studia e ritrova l'organizzazione Monarch in giro per il mondo (come già ci hanno raccontato il precedente Godzilla e Kong Skull Island) sono tantissimi, ormai quasi una ventina. Sono tutti sorvegliati in basi/crateri sotterranei stile il geo front di Evangelion (questa citazione è ovviamente rivolta agli appassionati di cartoni animati giapponesi). Da una organizzazione comandata dal grande attore Charles Dance, di cui forse sì forse no fa parte la madre di Madison, i mostri vengono spinti a uscire dalle loro tane sorvegliate, a suon di esplosivi e smitragliate varie, a scopo "apocalisse Royale rumble". 


Solo che il piano non funziona come si vorrebbe, perché proprio il primo mostro che si sceglie di svegliare non è un "anticorpo della terra", ma un essere alieno, un parassita xenomorfo. Un incredibile colpo di scena che muta la metafora mostri/natura/grande corpo umano? No, solo una variazione del genere disaster movie, dove al posto di un vulcano la minaccia è costituita da un meteorite (come in Armageddon, Deep Impact ecc.). Si sveglia così Ghidorah. Una creatura/meteorite ben più forte dei "titani/anticorpo standard", imprevedibile, enorme, quasi immortale, di cui nei testi antichi si avevano vaghissime ma documentatissime conoscenze (si parla della mitologica Idra, ma anche del drago dell'apocalisse di San Giovanni), che ora, vuoi per la sfiga, vuoi per il karma non cercherà davvero di sanare un pianeta inquinato quanto di limitarne drasticamente i giorni. Una creatura/metafora/meteorite/drago dorato a tre teste che, anzi, forse ha già distrutto il mondo in passato e ora sta chiamando a raccolta tutti gli altri mostri/titani per combatterli (nello stress test di resistenza della terra come organismo) ed essere alla fine libero di distruggere tutto. Siamo spacciati? Probabile. Ma chissà che pure Godzilla, da anni scomparso, non torni a combattere per dimostrare a quell'alieno chi è il vero re dei mostri/ l'anticorpo del mese del pianeta Terra. Chissà che gli umani della G-force, alla guida del loro probabilmente inquinantissimo jet gigate grande come uno stadio da calcio, possano assistere Godzilla nella lotta contro il drago dorato e tutti gli altri mostri risvegliati.  
Così, per un gioco del destino tra macro e micro cosmo (argomento sempre forte al cinema) la famiglia di Madison si divide in due fazioni di super soldati G-force/Monarch (Capitanate da Ken Watanabe) e Anti-Monarch (Capitanate da Charles Dance) e inizia a viaggiare per il mondo, per lo più tra basi segrete e questi mega aerei giganti stile giocattoloni dei G.I.JOE. Nel frattempo lo spunto/metaforone è bello che finito e i mostri iniziano a menarsi distruggendo palazzi e soldatini a profusione per la restante durata del film, con Madison che sarà però ostinatamente e parossisticamente centrale nella vicenda, in un modo che è giustificabile solo metaforicamente. Chi si salverà? Da che parte si schiererà la giovane protagonista/ ambientalista? 


- Poco metaforicamente  parlando, il problema di gestire al cinema dei pupazzoni: se la traccia di massima può essere in qualche modo resa più accessibile da un approccio metaforico di questo tipo, la sceneggiatura di questa pellicola non gode certo di troppa raffinatezza e gli attori, tutti comunque molto bravi, devono veramente fare i salti mortali per dare credibilità drammaturgica a questa materia. Il regista, il bravo Michael Dougherty (andate a recuperare il suo Krampus, del 2015, una vera bomba se amate i film di Natale oscuri e pieni di mostriciattolo come Gremlins) riesce a conferire al tutto un ritmo indiavolato. È di sicuro un esperto di "coolness" nel gestire i mostri, aerei, carrarmatini e creature digitali in genere. Spesso si arriva a situazioni piuttosto epiche, di quell'epico-militare che fa tanto la cifra stilistica dei film di Michael Bay e che in parte anche Edwards nel primo film di Godzilla ricercava. C'è purtroppo un grosso e ulteriore problema concettuale di cui è Dougherty a farsi carico: i mostri. La fedeltà totale dei mostri oggi al cinema agli originali pupazzoni dei film giapponesi storici è di sicuro una scelta netta e per molti versi davvero encomiabile per rispetto assoluto della fonte. Ma si può oggi portare in sala, sprecando male la computer grafica, dei mostri che palesemente ricalcano dei costumi di cartapesta pensati per roba tipo i cattivi di Megaloman oltre 40 e passa anni fa? Di sicuro serve una precisa strategia per non "cadere nel goffo", per lo più involontario. Gareth Edwards, regista della precedente pellicola su Godzilla, del 2014, aveva centrato appieno la natura dei mostri come "titani", visualizzandolo come vere e proprie emanazioni del pianeta terra. Vedevi i mostri pochissimo, ma appena si muovevano partivano maremoti, terremoti, fulmini. L'effetto del loro passaggio era "la natura" e la figura de mostro in sé era tenuta coperta, nascosta nell'ombra, per lo più "staticamente fissa e minacciosa". Una chiave visiva di pensare ai mostri che Edwards aveva già fatto sua nella sua pellicola precedente, del 2010,  Monsters. Anche Edwards aveva scelto, o gli avevano imposto la fedeltà totale al mostro classico creato dalla giapponese Toho. Certo in quei pochi secondi di pellicola in cui il mostro lo dovevi vedere per davvero, Edwards sperava di coprirlo con il buio, la pioggia, inquadrature controcampo e artifizi vari. L'alternativa era rivelare la sua origine "pupazzoide". Un pupazzone che male nasconde il tizio in calzamaglia coperto da un brutto costume di cartone. Apro parentesi: il Godzilla classico è iconico, straordinario come concetto e pioneristico per tutti i mostri cinematografici che sarebbero a lui seguiti. Ma spogliato dell'aura mitica è un coso con dei piedoni ridicolissimi stile elefante, una testolina piccola, una panza immensa e delle braccine buffe. Negli anni hanno fatto dei veri e propri miracoli tra inquadrature, luci, effetti sonori e musica per renderlo un minimo credibile. Hanno puntato sui suoi "pezzi forti" come la coda, le scaglie e il raggio fotonico, per distrarci da tutto il resto. Anche Edwards ha fatto di tutto per tenere il lucertolone nascosto o fermo e inquadrato dal basso. Fuggendo giustamente (anche se un po' vigliaccamente) dalla prospettiva di rappresentare a pieno schermo e piena luce uno scontro tra mostri giganti di cartapesta (invero un po' bruttini) sulla scenografia di un modellino di una città fatta di cartapesta, con i canoni del telefilm medio dei Power Rangers. Questo perché Godzilla è invecchiato male per l'era della alta definizione e dell'effetto speciale "credibile". Jurassic Park ha alzato di tantissimo l'asticella in tema di costruzione cinematografica di dinosauri et similia, al punto che anche Anno, che è un genio ma di solito anche un integralista, nel più recente Godzilla cinematografico Giapponese, ha dovuto cedere al conservatorismo e ha stravolto quasi del tutto la fisionomia e fisica del celebre lucertolone (in un modo che dire esaltante quanto artigianale è poco). Il primo Godzilla americano, quello del film del 1998, disegnato da Patrick Tatopoulos su spunto di Emmerich, sulla scia di Jurassic Park era  più simile a un incrocio tra un alien e un velociraptor che a un tizio in calzamaglia. Aveva, tanto per dire, le zampe di un rettile e non una specie di moonboots stile elefante. Ma non era piaciuto ai giapponesi, fondamentalmente perché era "troppo mobile". I maligni ritengono che un Godzilla come quello del film del 1998, da subito ribattezzato dai guappi con disprezzo "Gino" (Godzilla in name only, l'acronimo di Gino), non sarebbe mai stato possibile replicarlo con il budget nipponico che in genere dedicano ai film di Godzilla prodotti dalla Toho. Era meglio disprezzarlo. Gli americani al nuovo giro del 2014, secondo i complottisti, sarebbero stati così obbligati contrattualmente a riprodurre fedelmente i mostri nella loro forma più pura di costumi di cartapesta degli anni '60. Il risultato per Edwards era di totale sottrazione dell'immagine ed è per Dougherty di inevitabile azione impacciata. Se Edwards se la cavava con un paio di scontri al buio, Dougherty doveva rappresentare battaglie con più mostri coinvolti in un mondo che sembrasse per lo più "credibile" e "fluido". Il problema è che un bambino di 6 anni, che gioca sul tappeto con i pupazzetti di plastica di questi mostri replicandone con la bocca i versi, può mettere in scena facilmente delle azioni di lotta più adrenaliniche. Almeno, questo è il mio giudizio personale sulla gestione delle animazioni di lotta dei mostri in questi film. Godzilla con le sue "manine" che cercano di "placcare" il drago a tre teste è ridicolissimo, perché è un'azione, pur famosa (e magari amata) nella storia del "Godzilla tradizionale", del tutto goffa e insensata per la struttura corporale "credibile" di una creatura fatta al computer nel 2019. Mette tanta tenerezza. Quello che un costume di pezza poteva far perdonare, la computer grafica svela come un televisore in alta definizione fa sfigurare gli effetti visivi dei film anni '80 come Ghostbusters (che all'epoca su pellicola non digitale sembravano pure belli!!!). Non è un caso che nel Godzilla di Anno le braccine del lucertolone siano solo "vestigiali", come protuberanze inerti simili alle piccole braccia di un tirannosauro che "per stringerti" usava direttamente la grossa bocca carica di denti. I giapponesi stessi hanno superato i limiti strutturali dei loro mostri classici, ma (sempre per i complottisti) hanno imposto agli occidentali i loro modelli storici. I mostri e relativi combattimenti di Skull Island, pellicola legata al franchise di Godzilla anche in virtù de film dell'anno prossimo, Godzilla vs Kong, sono tutta un'altra cosa, anche perché Kong, nato non come un "costume" ma come "creatura di plastilina", era già all'origine una creatura con molta più mobilità e coerenza fisica. I movimenti di Kong sono più dinamici, sono appaganti da scorgere nei dettagli. Possono essere alla luce del sole e come coreografie di lotta non si limitano al lancio di raggi colorati (e a fare tutte le altre azioni in modo goffo). Quando "stanno fermi", magari in minacciose pose plastiche, i mostri di Godzilla King of the Monsters invece funzionano alla grande, come li inquadrava Edwards, sono davvero evocativi. Ma questo era ovviamente più facile da fare e Dougherty non poteva farlo sempre. Quindi sta un po' a voi, valutare come questa volontà di essere aderenti alle raffigurazioni classiche possa piacere o meno. Io onestamente non riesco a essere troppo critico, ma nemmeno troppo indulgente, su questa scelta. Avrei preferito vedere mosti più mobili e meno "ingessati", un po' alla maniera di Pacific Rim. Ma mai come in questo caso sono convinto che siamo ampiamente nel territorio dei "gusti personali". 


- Tanta voglia di soldatini: Moooolto fico, invece, tutto ciò che concerne Monarch e G-Force. Nel film di Edwards sapevamo che Monarch era una organizzazione potente, con le mani in pasta e grossi fondi, ma di cui abbiamo visto pochissimo. In Skull Island, Monarch era ancora solo una azienda governativa alla sue origini, aveva zero soldati operativi ma era già dotata di basi segrete e un ricco staff di scienziati. In King of the Monsters vediamo davvero e per la prima volta la Monarch in tutto il suo potenziale espresso. Ed è davvero immensa, piena di basi segrete in tutto il mondo, truppe e scienziati, alleanze internazionali, aerei, sommergibili, super-armi. L'aereo-fortezza della G-force, la parte combattente di Monarch, avessi 9 anni, lo chiederei a Babbo Natale. È un colosso del cielo tipo il mega aereo finale di Conan il ragazzo del futuro di Miyazaki. Pieno di torrette, ponti di lancio di aerei più piccoli, un ricco equipaggio. È grande quanto Rodan e forse potrebbe tenergli testa per un po'. Sarebbe un sogno bagnato da nerd troppo vecchio, ma nel prossimo Godzilla vs Kong mi piacerebbe vedere una delle più iconiche e colossali unità della G-force, il Mecha-Godzilla. Certo fa strano che di colpo si parli della Monarch come di un esercito parallelo, ma a livello visivo tutti questi omini in uniforme e veicoli speciali funzionano. Anche se stridono un po' alcune scelte "militari" rivolte alla presentazione" della piccola Madison. Sono sequenza che abbassano un po' il livello di credibilità generale del film. Ma forse parlare di credibilità, di questo ambito, comprendo possa apparire azzardato. 
- Il grande attore si vede anche nei luoghi più inaspettati: Ken Watanabe, Vera Farmiga, Charles Dance. Wow. Questo trio da solo si sobbarca un peso titanico, davvero titanico, sull'economia generale del film. Le loro parti sono assolutamente ingrate, scritte male, troppo abbozzate. Loro ci mettono "l'anima" e danno un cuore a dei personaggini da due soldi. È un vero atto d'amore alla professione di attore, la loro interpretazione. Un cesello di sguardi e pose, quasi Shakespeariane, che va disperatamene a completare e nobilitare quanto sulla carta non c'è scritto. Lo spirito di sacrificio, l'orgoglio, il tormento per il senso di colpa, impotenza di essere un buon genitore. Tutte emozioni che, più che dalle parole, trasudano e risuonano dai corpi di questi straordinari attori. Emozioni gentilmente sottolineate da una colonna sonora che non si dimentica tra tanta potenza visiva e sonora "necessaria" di citare Debussy. 


- La farfalla: Mothra, che suona come "Mother", come "madre natura", è fin dal primo trailer la creatura più bella e sognante dell'intera pellicola. Sembra in lei raggiunta la leggerezza spettacolare e il senso di stupore metafisico di creature come gli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Pura poesia che traghetta l'opera verso la sua anima più favolistica e bonariamente ingenua. Dougherty quando "tratta" Mothra diventa davvero Spielberg. Cita nelle sue scene non sono Incontri ravvicinati ma anche i templi e l'estasi mistica de I predatori dell'arca perduta, la dolcezza di E.T., perfino nell'uso delle inquadrature, alcune suggestioni sulla poesia del volo riprese da L'impero del sole. Mothra è un film a sé e fa sfigurare il più "sanguigno" e prevedibile Rodan, rende meno interessante il luciferino Ghidorah, addirittura annienta con il suo carisma un Godzilla che davvero "non ce la fa".
- Si, per me Godzilla "non ce la fa": spoglialo dei fulmini, maremoti e tempeste notturne e vedrai un lucertolone cicciottone con lo sguardo da gattino e una scarsa convinzione nei movimenti. Una creatura incatenata alla sua forma visiva più classica, che inevitabilmente la schiaccia. Pure in versione "potenziata", la sua natura buffa non scompare, anche se tutto il cast continua a urlare frasi che sottolineano quanto il mostro stia compiendo azioni clamorose ed eroiche, quanta potenza di fuoco stia sprigionando. Il Godzilla di Anno mutava pelle, esplodeva di ossa e sangue, vomitava fuoco alterando la forma del suo collo e del suo volto, lanciava raggi da una coda enorme simile alla punta di uno scorpione, si appoggiava ai palazzi e li schiacciava con il suo peso, aveva una pelle che evidenziava venature di lava su tutto il corpo. Soprattutto, il Godzilla di Anno metteva una paura fottuta. Questo, opinione mia personale se volete, è una specie di gattone-ciccione, un coccodrillo trippone con i piedoni e le manine che fa una fatica del diavolo a mettere insieme un paio di passi dritti. Mentre è in acqua ce lo spacciano per la creatura veloce che non può essere e che infatti per il resto del film non è. È buffo, e lo dico con tutta la mestizia che ho un cuore. Io lo trovo inesorabilmente e irrimediabilmente buffo. E rimpiango il Godzilla "Shin" di Anno, ma anche il povero e incompreso "Gino" di Emmerich, i Kaiju di Pacific Rim e il T-Rex a spasso per la città di Jurassic Park 2. Spero di ricredermi a una seconda visione, ma davvero mi ha convinto di meno di questa pellicola, gradevole pur con molti difetti, proprio il protagonista. 
- Tirando le somme: Il nuovo film di Godzilla sfrutta in modo un po' confuso un'idea di fondo interessante ad uno di un intrattenimento alla fine gradevole. Si fa lustro di un cast di attori di tutto rispetto e di un'azione sempre costante e che sicuramente piacerà a molti. La decisione di mettere sul campo a menarsi quanti più pupazzetti colorati possibili paga, anche se gli scontri sono alla fine meno belli di quanto si auspicava, magari proprio per la fisica dei mostri coinvolti. Il film diverte, corre veloce, non è scritto per niente bene ma piacerà di sicuro agli amanti dei kaiju movie, che già pregusteranno la prossima portata. Forse un ammodernamento di alcuni mostri mi sarebbe piaciuto e avrebbe evitato la classica sfilata di tizi in calzamaglia coperti da costumi colorati di mostri di cartapesta, pur mitigata dalla realizzazione in computer grafica. Aspetto una seconda visione, magari in home-video, per tornare a parlarvi di questo film. Forse mi è mancata la giusta prospettiva per leggerlo. A tutti quelli che vivono senza paranoie come me, un'occasione d'oro per andare al cinema. I mostri giganti vanno gustati su schermo gigante. 
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