La
fortuna è cieca, ma la sfiga vede benissimo e chirurgicamente attacca, colpisce
e distrugge ogni speranza di due amici romani (Ricky Memphis e Giorgio
Tirabassi) con il sogno di fare il "grande salto di qualità", la
svolta della vita. Certo il loro campo lavorativo, gli esperti della rapina,
ultimamente non offre le soddisfazioni di un tempo. Se punti una banca o un
ufficio postale, oggi può essere che qualcuno li svaligi prima di te o che
quella sede sia in ristrutturazione o che la banca sia proprio fallita e non ci
sia contante. E questa è la norma, forse. Solo che sui nostri eroi c'è
nell'aria una sorta di accanimento crudele da parte del fato, qualcosa dalle
parti del Pessimismo Cosmico leopardiano o del Titanismo Tragico fantozziano. E
anche se i nostri sono dei determinatissimi e irriducibili Expendables del
crimine, quando certe forze cosmiche sono in azione c'è poco da fare se non
imparare a incassare, incassare e basta. A meno di decidere davvero di cambiare
vita, leggendo tutta la negatività lavorativa che li circonda come
un messaggio preciso del Karma. In quanto, in fondo, il crimine non è poi un
mestiere da brave persone. Cosa faranno i nostri eroi?
C'è una
colpa precisa alla base dei dolori umani. Se per Fantozzi era l'essere
rinchiusi in un lavoro mediocre che si insiste a perseguire, per i criminali
di Memphis e Tirabassi la colpa è la stessa. Non ci sono ribellioni o moti di
orgoglio che tengano, non ci sono afflati eroici o tragici che commuovano. La
sconfitta di questi eroi è ineluttabile, tanto quanto le risate, amarissime,
degli spettatori. Perché quasi tutti siamo un po' come loro, ostinati nello
sbagliare strada o compagnie. La risata diviene qui una forma di esorcismo dove
in realtà, noi spettatori, ridiamo di noi stessi e della società che ci
ingabbia. Cosa non facile da fare al cinema. Cosa che appunto riusciva a Paolo
Villaggio, a Risi e i suoi "Mostri", a Stanlio e Olio, Mel Brooks, ai
Monty Python e a tutti quanti hanno storicamente legato la risata al dolore
umano. E Tirabassi, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, ce la fa.
Ce la fa, al fianco del sodale amico Memphis con cui dimostra di avere una
chimica strepitosa e con cui veicola il più bel messaggio del film: il potere
della "amicizia titanica" nell'affrontare, pur senza mai vincere, il
dolore umano. Ce la fa grazie a una schiera di attori romani noti in brevi e
folgoranti scenette per lo più satiriche e avvolte da uno humour
spesso nero sulfureo (il richiamo ai "Mostri" si sente). Ce la fa
con uno stile di regia senza tempo, elegante quanto vintage, che ricorda
il primo Verdone quanto i film più cattivi di Sordi, Gassman, Tognazzi e,
ovviamente, Villaggio. Ce la fa con la giusta colonna sonora, ce la fa con una
folgorante sceneggiatura con al centro una scena, che separa il primo e il
secondo atto, di una potenza devastante quanto il "piede di Dio" del
Monty Python che compare dal cielo, abbattendosi sulla terra, schiacciando noi misere
formiche umane. Altro che Thanos.
Il
grande salto è un film crudele quanto malinconico, profondamente tragico quanto
satirico. Per questa somma di elementi, uno dei migliori film comici del
periodo, quello che più di "meritiamo" per leggere il tragico periodo
storico che stiamo vivendo ed "esorcizzarci insieme". Con
l'unica pecca di spegnersi un po' negli ultimi minuti, a dispetto di un ritmo
generale sostenuto e molto ben gestito, il Tirabassi regista è una
bellissima sorpresa che rischia di passare sotto traccia in una stagione
cinematografica scandita da un numero sostenuto di grosse produzioni. Andate a
scovarlo e preparate a ridere amaramente di gusto.
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