sabato 26 febbraio 2022

Gli occhi di Tammy Feye: la nostra recensione del film biografico di Michael Showalter con protagonisti Jessica Chastain e Andrew Garfield

 

America, 1994. Tammy Feye (Jessica Chastain), uno dei volti più celebri della tv nazionale “per un pubblico di religiosi” e co-fondatrice di una mega-associazione attiva sul volontariato e “finita male”, si trova nel suo camerino. Sotto il parruccone da scena ha gli occhi luminosi ma tristi, incastonati in un trucco “leggero”, vagamente metallico, a metà strada tra Gene Simmons e Megaloman. È una donna matura e sfiorita, ha avuto un sacco di problemi, è scoppiato l’ “Evangel-gate” che le ha rovinato l’esistenza e questa forse è l’ultima volta che si esibirà in pubblico e piange, con quel trucco che si squaglia drenando lacrime d’acciaio. Facciamo un passo indietro, al 1952, quando Tammy Feye era ancora bambina, davanti alla chiesa in legno di suo padre, un pastore evangelico del Minnesota. Non poteva entrare, anche se era in atto una celebrazione piena di canti e persone felci, perché lei era la “figlia del peccato”: la figlia del pastore concepita prima della conversione di quest’ultimo a Dio. Sua madre Rachel (Cherry Jones) invece era sempre nella chiesa in legno insieme agli altri, anche se “strega e maledetta”, perché era l’unica che sapeva suonare l’organo e il Signore ha sempre bisogno di un accompagnamento musicale. Musiche e canti che la piccola Tammy conosceva e un giorno le diedero la forza di “sentire lo spirito” e varcare l’ingresso della chiesa durante un gospel, cantando e incantando con la sua voce tutto il pubblico. Da allora il pubblico accorreva in numero maggiore alle funzioni e anche lei poteva entrare in chiesa come la madre, per portare la parola del Signore. 


Tammy diventa grande e nel 1960, mentre studia come diventare una predicatrice, incontra Jimmy (Andrew Garfield), che sarà l’uomo della sua vita. Jimmy prima della chiamata della fede era un disc jockey e non è che avesse un grosso background sulle sacre scritture. Tra punti di vista controversi come “Dio ci vuole felici, ma soprattutto ricchi economicamente per esserlo” e una blasfema/terrificante affermazione come “Dio sta nei dettagli”, Jimmy si dimostra l’uomo di chiesa più confuso di sempre. Ma ha il ciuffo, l’aria da ragazzino e gli occhi perennemente entusiasti. Si accende qualcosa nella piccola Tammy che decide di getto di sposarlo e accasarselo prima di finire il corso di predicazione. I due iniziano a viaggiare  insieme in giro per l’America in macchina, cantando e predicando, fino a quando Tammy ha un’intuizione e crea un pupazzo animato stile Topo Gigio, Susy Muppet, per portare il pubblico dei più piccoli alle funzioni. Durante i sermoni “sui generis” di Jimmy, la piccola Susy Mappet, guidata da Tammy, compare alle sue spalle in piccoli e graziosi sketch.  È una svolta, perché il pubblico arriva per davvero in gran numero e in pochissimo tempo Tammy e Jimmy approdano in tv, sul più importante canale riservato al “pubblico di persone religiose”, la CBN (Christian Broadcasting Network). Qui Jimmy assapora il successo, ha grandi idee, fa con il pomeridiano “Tammy e Jimmy Show” grandi ascolti e nel 1970 punta in alto e vuole creare il primo talk-show serale per religiosi: il “Clan dei 700”. Un altro successo. Ma la coppia da allora dovrà scontrarsi con un mondo di tele-predicatori, capitanato dal gelido pastore Falwell (Vincent D’Onofrio), che invidierà tutto quel successo e quel pubblico. Un mondo che non verrà incontro alla visione della religione tutta a cuoricini di Tammy, che spesso non si schiera con i punto ideologicamente più sentiti dal network, come la necessaria discriminazione degli omosessuali. Sarà allora che Jimmy, forte del suo lavoro con Tammy, che è diventata anche una importare cantante di musica religiosa, si smarcherà dalla CBN creando nel 1974 un impero tutto suo, la PTL (Prise The Lord). Un impero fondato sulle donazioni dei fedeli, sul marchandising e sulla costruzione di un futuro parco giochi sullo stile di Disneyland, che Jimmy persegue spinto dal suo mantra di sempre: “è giusto e il Signore ci vuole ricchi”. Un mantra che Tammy non ha mai condiviso e che porterà proprio all’Evangel-gate e alla crisi della coppia. 


Basato sul documentario Gli occhi di Tammy Feye di Fenton Bailey e Randy Barbato (narrato all’epoca con la voce della drag queen RuPaul Charles) e “rimpolpato” con una biografia di Tammy Feye Bakker del 2012, il film, prodotto dalla Freckle Film di Jessica Chastain e diretto da Michael Showalter, adatta con alcune licenze poetiche la vita di uno dei personaggi più noti e amati della tv americana. Tammy Feye cantava, intratteneva i più piccoli con i pupazzi, promuoveva raccolte fondi per la creazione di centri di assistenza per i più bisognosi e le madri abusate, si faceva portavoce delle minoranze e nel complesso faceva “sentire bene” il suo pubblico, lo coccolava e aveva sempre una parola gentile. Tammy faceva un tipo di televisione a noi lontano, ma che può ricordarci qualcosa della nostra tv del passato, degli anni ‘70/‘80 e suscitare gustosi rimandi. Nel film vengono raccontate anche cose per noi italiani ancora straordinarie e impossibili in tv, come la sensibilizzazione “in fascia protetta” su argomenti come i sex toys e un modo non paternalistico di trattare le diversità di genere. A latere della forza televisiva dei programmi di Jimmy e Tammy si sviluppa tutto un mondo di chiaroscuri e gossip (cosa che invece è italianissima!!) su dove le donazioni realmente finivano, sulla natura del rapporto “effettivo e affettivo” tra lei e il marito Jimmy, sulle relazioni tra la CBN e il partito repubblicano, sui “valori e costi” dietro la creazione di una specie di immenso parco dei divertimenti a tema religioso. Una materia magmatica e un personaggio pubblico davvero unico che non potevano sfuggire all’immaginario di Hollywood e ad una delle sue interpreti più affascinanti, versatili e apprezzate. Jessica Chastain riesce con disinvoltura a passare dai temi sociali di integrazione razziale di Tate Taylor (The Help) alla fantascienza di Nolan. Dal mondo onirico di Terrence Malick al giocoso horror-favolistico di Burton e del Toro (divertendosi un mondo a “fare la strega cattiva”) fino ad approcciarsi all’“action-impegnato” di  Katherine Bigelow. Riesce a passare dall’essere la sensuale Salome di Oscar Wilde per Pacino alla dolcissima e “infranta” Beverly immaginata da Stephen King per l’IT dei Muschietti. Nel suo straordinario caleidoscopio di interpretazioni, la Chastain da sempre ha un particolare occhio di riguardo nel portare sullo schermo anche donne forti, complesse, “autentiche”. Ha studiato ed è stata a contatto con reali analiste della CIA per Zero Dark Thirty. Ha incontrato delle reali lobbiste di Washington per Miss Sloane, ha incontrato Molly Bloom per Molly’s Game. Purtroppo non ha potuto incontrare la vera Tammy Feye, scomparsa nel 2007, anche se il materiale televisivo e non qui non è di certo mancato. In questo ruolo, che le è valsa la terza candidatura all’Oscar come migliore attrice protagonista, la Chastain ha riversato la straordinaria versatilità e impegno di sempre, supportata da una ricostruzione storica accurata dai luoghi agli abiti e da un make-up che rende credibile ogni cambiamento di età del personaggio, dall’adolescenza alla vecchiaia. Tammy Feye è amabilmente complicata. Ci appare tanto come un personaggio leggero quanto come un animo complesso, tormentata ma gentile, kitch ma elegante, onesta e inclusiva. Un personaggio contento ma al contempo costretto a vivere perennemente sulla scena. Costretta a rivolgersi a un pubblico di bambini e adulti che volte genuinamente, con la forza della fede, motivare, tutelare e preservare. Costretta per questo ad apparire sempre positiva e sorridente senza mai poter togliersi quel trucco pesante e “vivace” che le incornicia gli occhi, che potrebbe rovinarsi anche solo piangendo. C’è qualcosa (a livello di suggestione, relativo ai primi “people show”) della Carrà dei primi anni ‘80 forse, anche sul piano del trucco. Un trucco forte e vistoso, dal sapore metallico, come una armatura di “ottimismo” in costante disfacimento, in caduta libera insieme a sorrisi sempre più tirati e un parrucco sempre più eccentrico. Ad affiancare la Chastain c’è un Andrew Garfield in passato mai così convincente, che sembra qui essersi trasformato di un giovante William H.Macy. Il suo Jimmy sembra un po’ il Macy di Fargo, un omino dall’aria buffa e dimessa alla Ned Flanders che, dietro al perenne sorriso e all’infinita calma, nasconde un intero inferno interiore fatto di odio e insoddisfazione. Jimmy sorride a denti stretti, vive vite parallele dietro le quinte, qualche volta odia Tammy per il suo modo “limpido” di porsi alla vita, spesso risponde a telefonante misteriose. È nevrotico, possessivo e pronto a fare cose cattive per poi piangere come un bambino una volta scoperto, incolpando gli altri. Anche lui è fragile. La Tammy della Chastain e il Jimmy di Garfield (che negli spezzoni degli “show televisivi” con Susy Muppet  ci ricordano pure Sandra Mondaini e Raimondo Vianello del periodo di Sbirulino), dialogano perfettamente sulla scena su questa fragilità, in un continuo gioco a nascondino dove celano i loro reali sentimenti per paura (o certezza) di offendere l’altro e “svelare il trucco”, abbattere la maschera gioiosa aprendo la strada al caos e alla solitudine. Vincent d’Onofrio dà volto all’ennesimo personaggio cinico e spietato della sua galleria personale di personaggi cinici e spietati, risultando più funzionale che incisivo. Invece è davvero straordinaria Cherry Jones nel ruolo della mamma di Tammy. Una donna rigida e delusa dalla vita, sprezzante nei commenti quasi a sembrare nichilista, ma capace di pochi quando forti slanci di affetto, mirati quanto “reali”. Una donna con un mondo interiore prosciugato che ha un rapporto molto confuso e conflittuale con la figlia. Sono personaggi di cui ci si affeziona presto, davvero ben portati sulla scena da attori molto affiatati. 



Il regista Michael Showalter, attore comico di recente regista di lavori  divertenti con protagonista Kumail Najiani, confeziona un film che riesce ad essere leggero nonostante una componete drammatica e “documentaristica” importante, piena di date, eventi, acronimi e personaggi perlopiù notissimi in America, ma meno in Italia. Ha la stoffa di un P.T.Anderson nella gestione del cast e degli spazi, ha una vocazione alla Adam McKay per il modo di rappresentare la politica americana. Un bel connubio di stili che viene valorizzato al meglio dalla presenza della diva Chastain, che si esibisce anche in alcuni numeri musicali gospel che donano una cifra ulteriore alla pellicola. Il montaggio permette al film di svolgersi in modo fresco, ritmato, la fotografia di Mike Gioulakis (già apprezzata nei lavori di M.Night Shyamalan e Jordan Peele) è sgargiante e amabilmente vintage, colorata. 

Gli occhi di Tammy Feye è un film ben recitato e ben confezionato in ogni reparto. Può sembrare inizialmente un ostacolo il fatto che la pellicola abbia al centro un tipo di “televisione religiosa” poco conosciuta in Italia, ma alla fine ci si riesce comunque ad orientare ed è pure sfizioso trovare similitudini sfumate con la storia della nostra televisione nazionale. La Chastain è come sempre perfetta e convincente, in grado di mutare camaleonticamente il suo aspetto fino nei dettagli. Una vera sorpresa è invece l’interpretazione di Andrew Garfield, che come sapranno i lettori del blog io ho in passato apprezzato solo nelle scene in cui veniva torturato a bastonate nel Silence di Martin Scorsese. Sta diventando un bravo attore e siamo contenti oggi di dirlo. 

Gli occhi di Tammy Feye ha tutti gli stilemi del “filmone da Oscar”: un’ottima messa in scena, una storia avvincente e interpreti molto affiatati. Se cercate questo tipo di spettacolo è il film giusto da gustare al cinema o in streaming. 

Talk0

1 commento:

  1. Non è un film indimenticabile o perfetto, ma lei è veramente bravissima e la storia raccontata molto interessante.

    RispondiElimina