Massachusetts, America. La più sconvolgente impresa della mattinata del poliziotto quasi in pensione Mike Chandler (Nicolas Cage) e del suo sbarbato partner Steve MacAvoy (Dwayne Cameron) sembra essere portare sulla loro volante un bimbetto di 15 anni di nome Kenny (Michael Rainey), per fargli scontare una “”abbastanza sovra-dimensionata”” punizione scolastica. L’idea geniale della scuola in concerto con la municipalità sarebbe infliggere, all’unico ragazzo di colore e omosessuale della scuola, abituale vittima di bullismo da parte di ragazzini più grandi e bianchi, un “tour” sulle zone della città da evitare perché troppo a rischio per la delinquenza, facendolo sedere sul posto dell’auto dove si tengono di solito i criminali (ed esponendolo quindi a tutta la criminalità locale “in azione”). Ma come può funzionare davvero questo sistema senza stimolare invece un sentimento di “vendetta sociale”? Misteri del Massachusetts, ma anche una buona occasione per parlare dei problemi del bullismo e della velata presenza di problemi razziali in un film di “sparamenti”, il che non è mai un male… ma andiamo avanti. Capita che il dinamico duo di poliziotti, rispettivamente suocero scorbutico e genero amorevole, finiscano insieme al “ragazzino in tour sulle strade della malavita” dentro alla più sanguinolenta rapina del decennio e tutto diventi un casino di corpi che esplodono carichi di c4, macchine crivellate, urla e terrore in diretta tv. I rapinatori sono un commando di super-mercenari, pompati, barbuti e incazzati, nonché armati di tutte le armi del mondo e di battute da cattivi dei cartoni animati. Vogliono i soldi, uccidere tutti e si chiamano rispettivamente: Rob, Hyde, 3 e Luke (manco c’ha un nome il terzo, come i fratelli “dos” e “tres” di Fantasmi da Marte di Carpenter). Di loro non sapremo molto altro, se non che questi “scappati da un film di Steven Seagal” ci vengono introdotti nella primissima scena del film, che pare a tutti gli effetti un mini-filmaccio di Steven Seagal ambientato in estremo oriente, tra petrolieri cattivi, turbanti e contractor, dove vengono “truffati” e bramano vendetta derubando “quello che gli spetta” nella banca del paesino del Massachusetts di cui sopra. Come potevamo esserci tanti soldi in contanti nella banca del paesino del Massachusetts non ci è dato saperlo di preciso, prendiamolo come un dato di fatto del modo oscuro in cui agiscono i “crudeli poteri forti”. I nostri “Villains” sono ovviante anche l’obiettivo di una super agente segreta gnocca da paura dell’Interpol, (interpretata da Alexandra Dinu) che sembra stia in un film diverso a sua insaputa, per il quale sfoggia molte graziose sciarpette.
Ma la cosa più importate è che tra i villains c’è
anche il tizio di nome Luke, che assomiglia a un ciccio Costantino della Gherardesca
reincarnato in uno degli ZZtop, che è interpretato niente meno che dal figlio
reale del solo e unico Nicolas Cage, il più grande attore vivente. È sempre
bello vedere quando recitano insieme padre e figlio o in qualche modo si
“passano il testimone”. Nicolas e il figlio Weston li abbiamo già visti insieme
nel 2005 (in una particina piccolina piccola) in Lord of War. Nel 2014 (in
una parte più consistente) in Rage - Tokarev, Weston interpretava la versione
giovane del personaggio di Nick, un po’ come succede oggi con il giovane
Gandolfini in Tutti i santi di New Orleans. Ma il “piccolo” Weston, che è
appunto grosso come un armadio e di professione principale musicista black
metal, (ed è anche piuttosto grandicello, in quanto figlio di una relazione
giovanile di Cage con la modella Christina Fulton) ha accompagnato babbo Nick
qualche volta pure scrivendo o cantando parte della colonna sonora dei suoi
film, come in Drive Angry del 2011, Joe del 2013 e Vendetta - una storia
d’amore del 2017. È interessante a livello artistico ma anche psicanalitico che
in 211 - Rapina in corso Cage interpreti il ruolo del poliziotto compassato ma
anche del ”padre assente” di Lisa, interpretata da Sophie Skelton, con il suo
“vero figlio” (nato prima dei cinque matrimoni di Cage e senza essere
battezzato con il nome di un supereroe) che di fatto rivesta il ruolo del
criminale. Nella sua vita personale Cage si sarà sentito come un padre poco
presente (molti padri lo fanno)? Cage avrà riportato questo sentimento in 211 come
spunto emotivo per caratterizzare il suo personaggio? Sarà questa pellicola di
sparatorie, botti e sanguinamenti un ideale “transfert cinematografico” tra Nick
e Weston? Cage, che è stato Ghost Rider, Spider-Man (solo voce), Superman (solo
voce) e Big Daddy (che è più fico di Batman), potrà affrontare il suo
figlio che qui gli si contrappone nel ruolo di un Villain? E perché questo mi
sta ricordando la storia del Cappuccio Rosso e Batman (in contrapposizione
alla storia di Big Daddy e Hit Girl)? Ma perché vi parlo del rapporto
psicologia/arte e di deliri meta-fumettistici e non delle sacrosante sparatorie
che dovrebbero contraddistinguere un film del genere? Vi sento, cari i miei
lettori. Vi sento supplicare: “Dove sono i botti? Quanti sono i botti? Valgono
il biglietto del film, i botti?”. E se vi dicessi che il personaggio di Lisa,
nel mezzo della vicenda, si scopre essere incinta, elevando 211 ad un film di
rapine a tema genitorialità difficile + vittime del bullismo + problemi di
integrazione razziale + futuri figli di poliziotto che nascono con sopra il
lettino una giostrina fatta di piccole volanti della polizia? Ok, ho capito.
Parliamo un po’ di botti e squartamenti. Esattamente dal minuto 39, salva
l’intro alla Steven Seagal e un paio di scene preparatorie volte a introdurre
giubbetti antiproiettili, fucili d’assalto, bombe e anche la super poliziotta
sexy Sarah (Amanda Cerny), si scatena l’inferno.
La rapina “parte piano” con il diversivo
di disintegrare una tavola calda per dirottare lì polizia e soccorsi, ma
davanti all’auto dei villains c’è Nick Cage all’attacco. Giusto subito dopo
aver confortato il piccolo Kenny sul fatto che si può dire di no a un mondo di
bulli e xenofobi e omofobi. Cage scende dall’auto di pattuglia perché vuole
fare la multa al rapinatore che è parcheggiato davanti alla banca fuori dalle
strisce blu e come reazione innesca una folle sparatoria con decine di vittime
collaterali inermi tra cui molte vecchiette, incidenti a catena e incipiente
futura apocalisse cittadina. L’ospedale in un lampo si prepara ad accogliere le
decine di morti e feriti sbudellati della caffetteria, dopo che questa è
esplosa malissimo come fosse un barattolo di carne e lamiere. Nel contempo in
direzione della banca perché allertati da Cage, unico uomo in campo sotto il
fuoco nemico, arrivano decine di blindati della polizia in armamento da guerra
urbana. Anche qui mi sembra strano tutto questo armamento per un paesino del
Massachusetts, ma sarà tutto frutto di una strategia del terrore voluta dai poteri
forti… Manca solo Chuck Norris e tutti iniziano a sparare come se non ci fosse
un domani. Con il figlio di Nick Cage, ciccio della Gherardesca ZZ top,
che sta per sparare alla testa del padre con un Barrett!!! Le armi in campo si
fanno sempre più grosse e rumorose, passando dalle pistole ai fucili d’assalto
tattici. Cage ha la pistola di ordinanza, ma ha attiva l’opzione “colpi
infiniti", come usasse un trucco dei videogame. Poi arriva la SWAT. Come andrà a
finire?
Scritto e diretto da York Shackleton, uscito nel 2018, questo 211 - rapina in corso è tratto da una storia vera (così dicono, spero di no) ed è il classico filmetto di rete 4 del pomeriggio che non ti aspetteresti. Quello che inizia come una puntata di Don Matteo e finisce come Black Hawk Down. Nel mezzo tutti i luoghi comuni sulla pensione, le spalle di colore che non arrivano alla fine del film, i cattivi super cattivi di un certo film di genere anni 80/90 (con il plus di una immotivata quanto surreale iper-violenza alla Paul Verhoeven) e un Nicolas Cage con gli occhiali da sole in modalità terminator. Se vi “prende bene”, un filmetto divertente proprio nel suo essere retorico, esageratissimo e pieno di azione. Con in più quella suggestione del rapporto padre-figlio che stuzzica e rende la salsa più piena, in attesa che anche Kal-El Cage diventi grande e accompagni papà Nicolas al cinema. Perché in fondo quanto è bello ogni tanto andare al cinema con papà? Solo che Cage lo fa “a modo suo”, da dentro lo schermo. Chuck Norris approverebbe questa pellicola.
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