Vi
ricordate gli anni 80, quando Jerry Cala' impersonava il fattorino-eroe per
eccellenza ne Il ragazzo del pony express?
Ora siamo nel 2020. Perché pensare in piccolo, a un
mondo privo di avventure? Perché inseguire la pietà di qualcuno rompendosi la
schiena tutti i giorni per lui? Diventiamo imprenditori di noi stessi,
prendiamo davvero in mano la nostra vita! Lavoriamo quando, quanto e come
vogliamo, coniugando al meglio famiglia e tempo libero, è tempo di
rivoluzione!! Sono più o meno queste le parole di fantomatico successo,
indipendenza e speranza che convincono il povero e volenteroso Ricky Turner (Kris Hitchen), onesto e instancabile lavoratore trombato dalla crisi economica,
con moglie Abbie, badante professionale a tempo pieno (Debbie Honeywood)
e un paio di figli a carico, a fare Il grande balzo e diventare il
"padroncino in franchise" di un furgone per consegne. Il lavoro c'è
ed è in crescita esponenziale, con un gigante del commercio online che
garantisce, il marchio, la continuità ed elargisce un numero infinito di
bonus di produttività, clientela vip, il meglio della tecnologia di
localizzazione e scelta dei tragitti senza traffico. I colleghi sono simpatici,
il rientro delle spese iniziali sembra veloce e tra tre anni si potrà davvero
fare il lavoro che si vuole fare davvero, comprare la casa che si vuole
comperare davvero, frequentare quel circolo esclusivo davvero... ci siamo
capiti, è tempo di essere eroici e intraprendenti, basta fare i minchioni
attaccati a concetti superati come pensione, sindacati, diritti dei
lavoratori, carte sanitarie.
Certo ci
sono anche un po' di clausole in piccolo di cui tenere conto: non arrivi
puntuale e prendi una multa, non paghi una rata del furgone e prendi una multa,
stai a casa un giorno e prendi una multa e magari perdi la tua tratta
garantita, vuoi fare Natale o metti qualcuno sul tuo furgone a fare la tratta
(un sub-padroncino) e prendi una multa, perdi il carico e lo ripaghi,
danneggia il carico e lo ripaghi, consegna il carico a chi non ha titolo o non
firma la consegna e lo ripaghi, ecc. ecc. Poi non fa strano che invece di 3 anni
ce ne impieghi 5 passando gli ultimi 2 a pagare multe e ammortizzare
imprevisti... ma, ehi, cosa sono in fondo 5 anni con davanti il paradiso?
Ricky ci
crede. Ci crede al punto di vendere per comprarsi il furgone la macchina di
Abbie. Pure Abbie ci crede. Al punto che dice: "Non importa, andrò a
lavorare saltando da un autobus all'altro tutto il giorno. Che tanto tra tre (cinque) anni abbiamo svoltato". Chi non ci crede sono i figli, purtroppo. La piccola Liza (Katie Proctor) e soprattutto il figlio maggiore, in aria di
ribellione adolescenziale grave Seb (Rhys Stone). Riuscirà la Famiglia Turner
a superare questa delicatissima fase della sua vita senza troppi scossoni?
Altro
contributo video, oggi non badiamo a spese.
Se posso azzardare una tendenza nata negli ultimi mesi
e che si imporrà di prepotenza negli anni '20, questa è la "delivero generation".
Con Amazon e l'e-commerce i negozietti di una volta, che già campavano a fatica
con la concorrenza spietata dei supermercati prima e dei mega-centri
commerciali negli ultimi tempi, si stanno estinguendo. Il negozio virtuale ora
è inteso come l'elenco dei prodotti disponibili in rete e come negozio reale
dei giganteschi capannoni con stipati milioni e milioni di prodotti da
consegnare previo fattorini ultra-celeri. Allo stesso modo sta prendendo piede
ordinare da casa e farsi consegnare in soggiorno qualsiasi cosa, pure il cibo,
sempre previo fattorini ultra-celeri. E siamo un po' già alla frutta per tutto
il resto, perché ormai si possono frequentare corsi universitari da casa,
lavorare da casa, guardare il cinema obbligatoriamente da casa per via delle
stronze esclusive Netfix. Se non fossimo costretti a
"muoverci": per evitare di atrofizzarci, nutrirci o per
riparare ogni tanto la caldaia o per andare fisicamente a lavorare, ormai
potremmo (ad essere molto soli, tristi e misogini) pure stare immobilizzati
a casa avendo unicamente contatti con fattorini e infermieri. Senza stare a
pensare che se fattorini e infermieri fossero pure loro sostituiti dalle
macchine in un lampo ci troveremmo nel futuro di Ready Player One e in due
lampi nella "più vivibile" Matrix... come sono gli standard di vita
classici di chi ci dovrebbe portare a casa la roba o curare, posto che
nell'imminente futuro queste due potrebbero essere le principali scelte di vita
del (spariamo basso, considerano che oggi si producono già dei robot che si
"affittano per lavorare") 97% della popolazione mondiale (non
ricca)?
Anche se
pure la cultura di massa, come nel recente videogame campione di incassi Death
Stranding, ci sta dicendo quanto sia figo e avventuroso portare dei pacchi in
spalla per vivere, tutto questo è vero?
Arriva
Ken Loach, uno che come i fratelli Dardenne, Xavier Dolan e qualche altro
pazzerello si interessa di portare al cinema problematiche sociali (mi
piacerebbe mettere in lista anche Checco Zalone per provocazione, visto che
ogni volta che esce in sala tutti si scatenano a torto o ragione sul "modo
più corretto di parlare di sociale nei film comici", argomento di per sé che per me è supercazzola esilarante...). Cosa fanno questi registi pazzi? Fanno
ricerche sul campo, intervistano le persone, visitano i luoghi dove vivono e
vanno a conoscere i familiari, mettono insieme i dati e oltre a una storia per
il cinema hanno un contesto brutalmente reale e concreto dove immergerla. Cosa
ha scoperto oggi il vecchio Ken indagando sulla delivero generation? Qualcosa
di inquietante, tipo che forse si stava meglio alla catena di montaggio con il
paternalismo industriale. Se prima i tempi di lavoro erano dettati dal prodotto
da mettere in catena, ora ci sono i tempi di consegna dei pacchi a stabilire la
produttività, ed è qualcosa di mille volte più incerto perché "tutto il
mondo diventa un luogo di lavoro". Come in un film dell'orrore, il regista
racconta di come oggi basti pochissimo per fare cadere il castello di carte su
cui si basa la "piccola" imprenditoria del trasporto. Un niente, che
può essere un problema a scuola o un fanale rotto, e crolla tutto, arrivano le
multe, gli ammortizzatori sociali falliscono, gli aiuti dell'ultimo momento non
arrivano e di colpo un trasportatore può ritrovarsi come in un western alla Mad
Max, a difendere con i pugni e i denti il suo carico da predoni stradali
che aspettano solo di trovarlo stanco, con addosso tutta la paura e il peso
che, se fallisce, fallisce con lui tutta la sua famiglia. Detto con una canzone
di Caparezza.
Sorry
me missed you ossia "ci dispiace di averti mancato per la
consegna" è il cartellino che in Inghilterra ti mettono i fattorini
quando non ti trovano a casa per la consegna del pacco. Fa specie come traducendolo
letteralmente, e conoscendo Ken Loach non mi meraviglierebbe una "lettura
trasversale", suoni come "ci dispiace di esserci
dimenticati di te": dove a essere stato smarrito è l'elemento umano più
che un semplice pacco, in una frase dove chi si rammarica non è (strettamente)
un portapacchi, ma (in senso figurato) la società. Allo stesso modo può
suonare come "mi dispiace di non essermi preso cura di te fino ad
ora": dove a rammaricarsi di non aver visto prima questa prospettiva di
futuro, per poterla arginare, sono colpevoli anche gli uomini di cultura
stessi. È un film duro, dove emerge titanica la forza di sopravvivere dell'uomo
comune. Ken Loach non parla con le frasi dei cioccolatini perugina, non fa i
melodrammi come i registi spagnoli o idealizza la gente a basso reddito
facendola vivere nei quartieri bene del centro come troppo cinema italiano. Ken
Loach pesta duro e i suoi personaggi pestano duro, non c'è la paura a
rappresentarli sgradevoli, irrisolti e capricciosi, quanto vigliacchi e superficiali.
Ken Loach rappresenta persone vere e grottesche in quanto si trovano in
situazioni grottesche quanto vere, il taglio è documentarista, l'intreccio è il
modo in cui dei personaggi reali cercano di far fronte ad un problema reale
sulla base di quanto effettivamente è successo nelle storie vere (pur folli)
che hanno costituito la base di indagine della storia. Gli interpreti sono
davvero molto bravi, la narrazione è serrata, c'è un buon ritmo, c'è anche
umorismo (in specie incarnato dal personaggio irrimediabilmente ottuso del
"capo dei trasportatori), ed è fulminante come in un film dei fratelli
Cohen. Gli autotrasportatori vengono dipinti come un crogiolo incredibilmente
vario di umanità, bravi ragazzi finiti in un inferno da cui non riescono più ad
uscire. I proprietari dei pacchi sono tutti il vostro vicino di casa pignolo
che vi telefona alle 23.39 di domenica per parlarvi della riverniciatura delle
parti comuni. Poi c'è Abbie e i suoi vecchietti. Il film parla molto di
vecchietti soli e persone fragili che hanno davvero bisogno di qualcuno che li
aiuti pur nella cronica "mancanza di fondi". Abbie incarna le molte
persone di cuore che si dedicano agli altri anche oltre l'orario di lavoro e la
paga fissa, sono le persone grazie a cui il welfare rimane a galla ed è una
fitta al cuore il fatto che uno stato sempre più di anziani (siamo in
Inghilterra ma vale anche per l'Italia) poco si curi di loro. E infine, sempre
infine, ci sono i giovani. Giovani pronti a dare la colpa ai genitori per la situazione
economica in cui vivono, giovani che non vengono ascoltati ma che se ben
motivati sono pronti a fare la loro parte nella staffetta. Ci si affeziona a
queste persone titaniche quanto fallibili, Ken Loach non ha perso un grammo del
suo smalto negli anni, speriamo che questo film apra un dibattito su questo
momento storico, qualcosa che porti magari anche a soluzioni alternative
al diventare un popolo di fattorini.
Buone consegue a tutti.
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