domenica 5 gennaio 2020

Pinocchio di Matteo Garrone - la nostra recensione



Toscana di un sacco di anni fa, in un paesino immerso nel verde. Lo squattrinato falegname Geppetto (interpretato da un Roberto Benigni segaligno e dalla voce dimessa, affettuoso come un nonno), ispirato dall'arrivo in città del circo dei burattini di Mangiafuoco (un malinconico più che luciferino Gigi Proietti) decide di realizzare un burattino tutto suo e per questo fa visita al collega Mastro Ciliegia (Paolo Graziosi, l'unico insieme a noi spettatori a rimanere un po' terrorizzato da questa vicenda). L'amico è ben felice di regalargli un ceppo di legno, misterioso e forse maledetto, che non si sa come gli era capitato in bottega, provocando scompiglio e dimostrando di essere quasi vivo. Geppetto tutto contento prende il tronco, crea così Pinocchio (un Federico Ielapi bravo ma un po' monocorde come il 100% dei giovani attori italiani ) e questo è l'inizio di uno degli adattamenti del classico di Collodi più creepy e inquietanti di sempre, "quasi horror" per stesse intenzioni del regista. 
Garrone era il nome giusto per un adattamento di Pinocchio. È il regista che per Gomorra ha preso le grigie Vele di Scampia e le ha rese brulicanti di vita, ponendosi idealmente tra l'Underground di Kusturica e Ichi the killer di Miike, una forma organica e dimessa della skyline di Blade Runner. È il regista che ha preso Basile e la sua enciclopedica favola (Il racconto dei racconti) arricchendola di visioni caravaggesche, quello che ha preso la periferia romana (Dogman) e gli ha sovrapposto colori apocalittici alla Mad Max. Garrone non è solo regista di luoghi ma anche attento indagatore dell'animo umano, appassionato dai personaggi più indifesi (l'umanissimo personaggio di Marcello Fonte in Dogman, come l'ingenuo scugnizzo di Ciro Petrone di Gomorra), creatore di orchi sotto la cui pelle albergano uomini sconfitti e forse redenti (il personaggio interpretato da  Aniello Arena, gigantesco e al contempo fragile, in Reality). È stato un piccolo miracolo vedere in Italia un fantasy come Il racconto dei racconti, ma se c'era qualcuno che poteva intraprendere l'impresa era Garrone e ho fatto le capriole quando ho scoperto che Garrone avrebbe adattato Pinocchio, anche se Pinocchio è un testo davvero terribile da adattare. 


La Disney con il suo cartone animato aveva ecceduto di melassa e aveva glissato sulla parte più oscura e sociale, "politica", del testo, producendo un Pinocchio visivamente magnifico ma incompleto. Ispirandosi molto a Pinocchio sono state realizzate pellicole molto originali come A.I. di Spielberg e Edward mani di forbice di Burton (con affetto ci metto anche il curioso e non capito Occhio Pinocchio di Nuti), ma ci si è sempre tenuti a una certa distanza di sicurezza dal modello originale. Lo sceneggiato Rai su Pinocchio con la notissima colonna sonora di Fiorenzo Carpi, celebrato per anni e anni, è per me (che l'ho più volte vissuto sulla mia pelle in giovane età, subendolo più che scegliendolo) una delle cose più angosciose e mortifere prodotte dalla Rai, qualcosa da proiettare a Guantanamo durante gli interrogatori, ma solo senza lo snervante motivetto di Carpi, il cui utilizzo sarebbe "troppo", dovrebbe essere bandito dalla convenzione di Ginevra. Era inconcepibile per ambientazioni, ritmo e recitazione anche solo pensare che a un bambino potesse piacere quello sceneggiato. Ma criticare Le avventure di Pinocchio della Rai è sempre stata una specie di lesa maestà. Più che una favola diretta ai più piccoli la miniserie di 280 minuti era una (riuscita ma noiosissima) metafora dell'Italia che si rialzava dopo la seconda guerra mondiale, in bilico tra un passato ultrabarocco ancora non metabolizzato (le pantagrueliche e straordinarie scenografie che già, per precisa scelta artistica, puzzavano di "marcio imbellettato") e l'incertezza del futuro dei giovani, con il 1968 appena passato da un paio di anni. La frizzantezza, la spensieratezza della storia di Collodi,  erano lontanissime, anche se lo sceneggiato pure lui come Disney glissava su molti degli aspetti più politici e scomodi della storia, è un film sulla morte più che sulla vita, sugli adulti più che sui bambini. Saltando uno sceneggiato televisivo del 2009 che ho rapidamente dimenticato, di recente c'è stato il Pinocchio di Benigni, più sfortunato di quanto meritasse, anche lui afflitto da una sovrabbondanza visiva barocca che tanta stima artistica ha raccolto tra gli addetti ai lavori, quanto ha segnato ulteriormente la distanza tra pubblico giovane e anziano con Pinocchio interpretato dallo stesso Benigni sessantenne non-bambino con vocina stridula. 


Arriviamo a Garrone. Subito apprezzo un alleggerimento delle scenografie che toglie l'aria muffa delle vecchie trasposizioni e ridona a la luce e fantasia di Collodi. Tutto è visivamente più funzionale, ma senza sacrificare i colori e gioia. Il paese dei balocchi è la sintesi perfetta di questa nuova impostazione, una specie di parco acquatico low cost credibile nella sua ingenuità e solarità. Per gli attori, spesso interpreti di creature animali antropomorfe, si è scelto un trucco complesso ma artigianale alla Rick Baker e in generale il livello è buono quanto Il pianeta delle Scimmie di Tim Burton. Se sono i personaggi truccati molto grotteschi, quelli apparentemente più "umani" mettono davvero paura. L'omino di burro di Nino Scardina fa più paura di Freddy Kruger, il Corvo di Massimiliano Gallo pare un capomafia!! Questo va bene, questa è la cifra scelta da Garrone e risponde esattamente alla richiesta di un Pinocchio nuovo, che sappia inquietare. Peccato che tutto crolli davanti al personaggio di Pinocchio stesso. Il volto è un ceppo di legno non troppo levigato e visivamente la cosa funziona nel suo essere creepy, come funzionano gli effetti speciali legati al burattino. Nelle inquadrature più "statiche", come quando è ripreso sui tetti all'ombra di un comignolo, come quando è davanti al fuoco con i piedi bruciati, il burattino funziona. Solo che Pinocchio è per la maggior parte del tempo un bambino bassino che indossa un costume di cinque taglie più grande di lui, con piedoni e manone enormi schiacciate su un micro torace e quel testone di cartapesta inquietante sulla testa. Sembra un nano gravemente ustionato che incede a fatica e ha difficoltà a interagire con gli oggetti se non solo a girare il collo.  Ielapi è tra i giovani attori uno dei più noti, era in Quo Vado di Zalone, nei Moschettieri del Re di Veronesi, in due stagioni di Don Matteo in un ruolo anche piuttosto drammatico. Qui è più ingessato di Michael Keaton nel costume di Batman del 1989, poverino. Se Pinocchio non funziona non è colpa dell'attore, è per via di questa precisa scelta di trucco, decisamente creepy ma forse "troppo creepy". 


Visivamente il film di Garrone non è quindi male, salvo le note di cui sopra, problemi più significativi della pellicola sono legati alla sceneggiatura, contratta eppure in più momenti troppo lenta, e alla resa di alcuni attori. Benigni è favoloso, giocoso e affettuoso, Marine Vacth una Fata Turchina eterea e dolce, Alessio di Domenicantonio un Lucignolo con cui si può empatizzare per più di un motivo e anche Ielapi funziona, il Corvo e l'uomo di Burro vanno molto bene. Non vanno per niente gli stucchevoli e non divertenti Gatto e la Volpe di Ceccherini e Papaleo, è poco incisivo e si dimentica in un istante il Mangiafuoco di Proietti, il Grillo Parlante di Davide Marotta non ricordo proprio di averlo visto e il Giudice Gorilla di Teco Celio sembra una micro-parentesi narrativa, quasi uno skatch. Forse il formato della miniserie sarebbe stato più adatto. Inutile dire che anche qui la parte più prettamente politica è poco accennata, ma per lo meno, pur striminzito, il Giudice Gorilla c'è.
Il conclusione il film di Garrone funziona più come horror che come favola, vive di momenti di grazia visiva e mette in scena alcuni personaggi ben riusciti. Non tutti i personaggi sono però riusciti, al burattino manca un po' di dinamismo e spensieratezza, una narrazione (per una volta) più vicina ai bambini, magari "moderna", non sarebbe stata male, il ritmo complessivo è sul lento andante. Il Pinocchio del 2019 è ad ogni modo uno spettacolo affascinante, anche se non esattamente un fuoco d'artificio. 
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