Toscana
di un sacco di anni fa, in un paesino immerso nel verde. Lo squattrinato
falegname Geppetto (interpretato da un Roberto Benigni segaligno e dalla voce
dimessa, affettuoso come un nonno), ispirato dall'arrivo in città del circo dei
burattini di Mangiafuoco (un malinconico più che luciferino Gigi Proietti)
decide di realizzare un burattino tutto suo e per questo fa visita al collega
Mastro Ciliegia (Paolo Graziosi, l'unico insieme a noi spettatori a rimanere un
po' terrorizzato da questa vicenda). L'amico è ben felice di regalargli un
ceppo di legno, misterioso e forse maledetto, che non si sa come gli era
capitato in bottega, provocando scompiglio e dimostrando di essere quasi vivo.
Geppetto tutto contento prende il tronco, crea così Pinocchio (un Federico
Ielapi bravo ma un po' monocorde come il 100% dei giovani attori italiani ) e
questo è l'inizio di uno degli adattamenti del classico di Collodi più creepy e
inquietanti di sempre, "quasi horror" per stesse intenzioni del
regista.
Garrone
era il nome giusto per un adattamento di Pinocchio. È il regista che per
Gomorra ha preso le grigie Vele di Scampia e le ha rese brulicanti di vita,
ponendosi idealmente tra l'Underground di Kusturica e Ichi the killer di Miike,
una forma organica e dimessa della skyline di Blade Runner. È il regista che ha
preso Basile e la sua enciclopedica favola (Il racconto dei racconti)
arricchendola di visioni caravaggesche, quello che ha preso la periferia romana
(Dogman) e gli ha sovrapposto colori apocalittici alla Mad Max. Garrone non è
solo regista di luoghi ma anche attento indagatore dell'animo umano,
appassionato dai personaggi più indifesi (l'umanissimo personaggio di
Marcello Fonte in Dogman, come l'ingenuo scugnizzo di Ciro Petrone di Gomorra),
creatore di orchi sotto la cui pelle albergano uomini sconfitti e forse redenti
(il personaggio interpretato da Aniello Arena, gigantesco e al contempo
fragile, in Reality). È stato un piccolo miracolo vedere in Italia un fantasy
come Il racconto dei racconti, ma se c'era qualcuno che poteva intraprendere
l'impresa era Garrone e ho fatto le capriole quando ho scoperto che Garrone
avrebbe adattato Pinocchio, anche se Pinocchio è un testo davvero terribile da
adattare.
La Disney con il suo cartone animato aveva ecceduto di melassa e
aveva glissato sulla parte più oscura e sociale, "politica", del
testo, producendo un Pinocchio visivamente magnifico ma incompleto. Ispirandosi
molto a Pinocchio sono state realizzate pellicole molto originali come A.I. di
Spielberg e Edward mani di forbice di Burton (con affetto ci metto anche il
curioso e non capito Occhio Pinocchio di Nuti), ma ci si è sempre tenuti a una
certa distanza di sicurezza dal modello originale. Lo sceneggiato Rai su
Pinocchio con la notissima colonna sonora di Fiorenzo Carpi, celebrato
per anni e anni, è per me (che l'ho più volte vissuto sulla mia pelle in
giovane età, subendolo più che scegliendolo) una delle cose più angosciose e
mortifere prodotte dalla Rai, qualcosa da proiettare a Guantanamo durante gli interrogatori,
ma solo senza lo snervante motivetto di Carpi, il cui utilizzo sarebbe
"troppo", dovrebbe essere bandito dalla convenzione di Ginevra. Era
inconcepibile per ambientazioni, ritmo e recitazione anche solo pensare che a un bambino potesse piacere quello sceneggiato. Ma criticare Le avventure di
Pinocchio della Rai è sempre stata una specie di lesa maestà. Più che una
favola diretta ai più piccoli la miniserie di 280 minuti era una (riuscita ma
noiosissima) metafora dell'Italia che si rialzava dopo la seconda guerra
mondiale, in bilico tra un passato ultrabarocco ancora non metabolizzato (le
pantagrueliche e straordinarie scenografie che già, per precisa scelta
artistica, puzzavano di "marcio imbellettato") e l'incertezza del
futuro dei giovani, con il 1968 appena passato da un paio di anni. La
frizzantezza, la spensieratezza della storia di Collodi, erano
lontanissime, anche se lo sceneggiato pure lui come Disney glissava su molti
degli aspetti più politici e scomodi della storia, è un film sulla morte più
che sulla vita, sugli adulti più che sui bambini. Saltando uno sceneggiato
televisivo del 2009 che ho rapidamente dimenticato, di recente c'è stato il
Pinocchio di Benigni, più sfortunato di quanto meritasse, anche lui afflitto da
una sovrabbondanza visiva barocca che tanta stima artistica ha raccolto tra gli
addetti ai lavori, quanto ha segnato ulteriormente la distanza tra pubblico
giovane e anziano con Pinocchio interpretato dallo stesso Benigni sessantenne
non-bambino con vocina stridula.
Arriviamo a Garrone. Subito apprezzo un
alleggerimento delle scenografie che toglie l'aria muffa delle vecchie
trasposizioni e ridona a la luce e fantasia di Collodi. Tutto è visivamente più
funzionale, ma senza sacrificare i colori e gioia. Il paese dei balocchi è la
sintesi perfetta di questa nuova impostazione, una specie di parco acquatico
low cost credibile nella sua ingenuità e solarità. Per gli attori, spesso
interpreti di creature animali antropomorfe, si è scelto un trucco complesso
ma artigianale alla Rick Baker e in generale il livello è buono quanto Il
pianeta delle Scimmie di Tim Burton. Se sono i personaggi truccati molto
grotteschi, quelli apparentemente più "umani" mettono davvero paura.
L'omino di burro di Nino Scardina fa più paura di Freddy Kruger, il Corvo di
Massimiliano Gallo pare un capomafia!! Questo va bene, questa è la cifra scelta
da Garrone e risponde esattamente alla richiesta di un Pinocchio nuovo, che
sappia inquietare. Peccato che tutto crolli davanti al personaggio di Pinocchio
stesso. Il volto è un ceppo di legno non troppo levigato e visivamente la cosa
funziona nel suo essere creepy, come funzionano gli effetti speciali legati al
burattino. Nelle inquadrature più "statiche", come quando è ripreso
sui tetti all'ombra di un comignolo, come quando è davanti al fuoco con i piedi
bruciati, il burattino funziona. Solo che Pinocchio è per la maggior parte del
tempo un bambino bassino che indossa un costume di cinque taglie più grande di
lui, con piedoni e manone enormi schiacciate su un micro torace e quel testone
di cartapesta inquietante sulla testa. Sembra un nano gravemente ustionato che
incede a fatica e ha difficoltà a interagire con gli oggetti se non solo a
girare il collo. Ielapi è tra i giovani attori uno dei più noti, era in
Quo Vado di Zalone, nei Moschettieri del Re di Veronesi, in due stagioni di Don
Matteo in un ruolo anche piuttosto drammatico. Qui è più ingessato di Michael
Keaton nel costume di Batman del 1989, poverino. Se Pinocchio non funziona non
è colpa dell'attore, è per via di questa precisa scelta di trucco, decisamente
creepy ma forse "troppo creepy".
Visivamente
il film di Garrone non è quindi male, salvo le note di cui sopra, problemi più
significativi della pellicola sono legati alla sceneggiatura, contratta eppure
in più momenti troppo lenta, e alla resa di alcuni attori. Benigni è favoloso,
giocoso e affettuoso, Marine Vacth una Fata Turchina eterea e dolce, Alessio di
Domenicantonio un Lucignolo con cui si può empatizzare per più di un motivo e
anche Ielapi funziona, il Corvo e l'uomo di Burro vanno molto bene. Non vanno
per niente gli stucchevoli e non divertenti Gatto e la Volpe di Ceccherini e
Papaleo, è poco incisivo e si dimentica in un istante il Mangiafuoco di
Proietti, il Grillo Parlante di Davide Marotta non ricordo proprio di averlo
visto e il Giudice Gorilla di Teco Celio sembra una micro-parentesi narrativa,
quasi uno skatch. Forse il formato della miniserie sarebbe stato più adatto.
Inutile dire che anche qui la parte più prettamente politica è poco accennata,
ma per lo meno, pur striminzito, il Giudice Gorilla c'è.
Il
conclusione il film di Garrone funziona più come horror che come favola, vive
di momenti di grazia visiva e mette in scena alcuni personaggi ben riusciti.
Non tutti i personaggi sono però riusciti, al burattino manca un po' di
dinamismo e spensieratezza, una narrazione (per una volta) più vicina ai
bambini, magari "moderna", non sarebbe stata male, il ritmo
complessivo è sul lento andante. Il Pinocchio del 2019 è ad ogni modo uno
spettacolo affascinante, anche se non esattamente un fuoco d'artificio.
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