- Un
facoltativo invito a supportare Blue Swan (lettura facoltativa non necessaria
ai fini della recensione) Amo il catalogo Blue Swan quanto il catalogo
Midnight Factory. Questa etichetta sta portando in home video molto cinema
"sconosciuto" ai classici distributori italiani, tra film orientali e
russi arci-noti come il Mega-blockbusterone
(divertente nel suo essere ultra-esagerato) Wolf Warrior 2 e (l'Indipendence
Day russo) Attraction a recuperi meritevoli come (il secondo, bellissimo, con
Karl Urban) Dredd e Beyond Skyline (seguito mille volte più bello
dell'originale), fino a piccole bombe atomiche come L'uomo che uccise Hitler e
poi il bigfoot (con un Sam Elliott pazzesco) e oggi questo The Head Hunter.
Tutte pellicole orgogliosamente "di genere" che magari sono passate
nei "catalogoni pigliatutto" di Netfix, all'inizio solo
sottotitolati, tra un Turbo Kid, un Mandy, un Backcountry e un Death Orgasm (per i cui home video ringraziamo anche Koch Media, Eagle e Midnight Factory), ma
che non hanno mai goduto della visibilità che meritano, soprattutto in un mondo
in cui ci si lamenta che "al cinema non c'è niente di nuovo oltre
Disney" o "vorrei vedere degli splatter come si vedevano una
volta" oppure "ma un film di arti marziali mai? Solo John Wick".
Queste lamentele legittime accadono perché il mercato italiano "di primo
piano" si è contratto, non perché nel mondo si sia smesso di produrre film
interessanti. Diciamo che per "la sala" c'è da parte dei distributori
poco coraggio nel portare da noi pellicole su cui non si va sempre sul
sicuro, unito al fatto che i distributori che sono anche produttori diretti hanno già un loro catalogo da proporre, ma per l'home video
è diverso proprio grazie agli eroi come Blue Swan, il cui rinnovamento del
catalogo seguo con più interesse delle news di Warner Bros. In un mondo
perfetto trovando il tempo vi recensirei tutti i film di Blue Swan in uscita, tra Last Survivor, I guardiani dei mondi e Killzone Paradox, per ora dovrei
avere da qualche parte un articolo sui Cacciatori di tesori che prima o poi
dovrei pubblicare. Il succo è che dovete davvero tenere d'occhio queste
etichette, perché tra molti film con Scott Adkins, action russi e roba sui
vichinghi che potrebbe non esattamente interessarvi (ma che dovreste provare
almeno una volta), qualche volta arrivano prodotti strani e matti, e per
questo imperdibili, come The Head Hunter.
- Sinossi fatta male: in un mondo dark fantasy (tra Skyrim e Dark Souls per gli
amanti dei videogame, un po' "alla Witcher" per tutti gli altri che
"hanno" Netfix) vive un guerriero barbuto (Christopher Rygh, molto
bravo come attore, che farà tanta strada) in una casetta stilish
gotico-grunge ai margini di un bosco nebbioso. Per lavoro taglia le teste
dei mostri, ed è bravo al punto che ci ha ormai fatturato un bel gruzzolo
d'oro. A fine giornata, tolta la pesante armatura lavorata in pelle e ossa di
demone alato, impala le teste per la sua collezione personale in salotto (usa
un porta-teste IKEA Sgrotzguff), aggiorna le taglie, si cura con pozioni
magiche che assembla personalmente seguendo ricette tratte da qualche disco
Metal, si prepara per il giorno dopo riposandosi sulla sua poltrona in
pelle di uomo lupo cucita a mano nella classica posa corrucciata di Conan in
Barbaro di John Milius. Ogni tanto le cose vanno meno bene del solito e rantola
in casa in cerca della pozione guaritrice prima di svenire sul tappeto di orso
infernale ricamato. Qualche volta i mostri cercano di fargli un agguato
notturno scardinando la porta di vero faggio svizzero laccata di sangue di
goblin. Ma questa è la routine e ogni volta che suona la campana dal castello
arriva un nuovo incarico e una nuova avventura dalla quale uscire malconci,
almeno fino al giorno in cui il cacciatore di teste troverà la sua grande
occasione per vendicarsi di un certo mostro.
- Epica:
l'epica è "90% di evocazione e 10% di rappresentazione", almeno
secondo me. Guardiamo I soliti sospetti di Bryan Singer e rimaniamo affascinati
dal luciferino Kaiser Soze senza mai davvero vederlo, per lo più ascoltando un
racconto di Verbal Kint (Kevin Spacey) legato a un paio di immagini sfuocate.
Guardiamo Valhalla Rising di Refn e dai racconti di un paio di monaci scopriamo
che lo schiavo coperto di sangue One-eye che si trascinano su delle valli
verdeggianti e piovose (Mads Mikkelson) è in realtà un dio (forse Odino
stesso). Guardiamo poi le straordinarie scenografie di Moira con al centro
Legolas che squarta orchi e non lo guardiamo come il semi-dio, pensiamo
piuttosto che potrebbero trarci un bel protagonista per un videogame, pensiamo
agli effetti speciali forse un po' esagerati. Perché lo scenario è già svelato,
le capacità dell'eroe già palesi, l'epica non si espande all'infinito nella
nostra immaginazione perché sullo schermo c'è già tutto e lo schermo riesce
anzi a "distrarci dall'epica", laddove l'effetto speciale non sia
riuscitissimo, laddove Legolas non è convincente perché interpretato da Orlando
Bloom (uno dei peggiori attori viventi), laddove i mostri sono chiaramente
finti. Less is better è una regola fondamentale per l'epica, come per ogni
altro tipo di narrazione: più "accenni soltanto" più il risultato
sarà migliore perché "quello che manca" ce lo metterà l'immaginazione
dello spettatore. The Head Hunter prende questa regola aurea e ci dà una
dimostrazione pratica della sua bontà in ambito cinematografico di 71
minuti.
La
pellicola è tutta ambientata nella casa-rifugio del guerriero barbuto, uno
straordinario set carico di libri inquietanti, pugnali, ampolle e pozioni, candele,
forzieri d'oro, teste di mostro appese e mobili realizzati in modo sinistro. La
casa ha tegole che scricchiolano, una finestra che sbatte sui cardini sospinta
dal vento, liquami che bollono in padelle, il fuoco alimentato da legna secca.
Al di fuori c'è la foresta e il resto del mondo. La campana che chiama alle
missioni, i passi dei mostri che incedono verso l'uscio di notte, gli zoccoli
del cavallo che annunciano il ritorno a casa dell'eroe. Il resto della messa in
scena è lui, il nostro cacciatore di teste. Un uomo che parla solo in ragione
dei pochissimi momenti con cui ha un interlocutore e per lo più fa dei grugniti
quando si trova ferito da qualche scontro. Un uomo che si racconta tramite il
suo modo di affilare le armi, preparare trappole, allestire pozioni, resistere
al dolore e stare a fine giornata seduto su un trono d'ossa e pelle di mostro (da vero "King of The Hill" metaforicamente seduto sulla montagna dei
suoi avversari sconfitti) al centro di un personale museo degli orrori a base
di teste squartate di cui possiamo solo intuire il tanfo, la puzza di
putrefazione mista al fango, al sangue e alla ruggine che dominano ogni angolo
dello scenario. Un uomo cupo, letale, sporco, ma che comunque rimane umano, sa
commuoversi, commette errori, vive momenti di grande depressione e dolore. Il
film è questo: ci troviamo nella casa del guerriero nell'attesa che lui parta o
ritorni da una battaglia. Lo vediamo prepararsi per la missione come
rattopparsi dalle ferite mentre, pensoso, è intento in queste attività e si sente
libero di raccontare il suo mondo interiore solo quando si trova nel luogo dove
è sepolta la persona che ha più cara, cercando con lei sulla sua tomba un
dialogo impossibile. Jordan Downey crea uno stranissimo ibrido tra Castaway di
Zemekis e Paranormal Activity di Peli in salsa dark fantasy. Fa parlare
l'ambiente e i suoi rumori, permette al suo interprete di esibirsi in una
straordinaria prova fisica ed emotiva che dalle suggestioni di pochi dettagli
crea un intero mondo fantasy. Bellissime le creature, che ci vengono fatte
percepire prima attraverso dei disegni, poi attraverso dei rumori, poi dai
graffi che con le loro unghie e denti hanno provocato sul corpo del cacciatore
e infine con la loro testa, che l'eroe sgocciola da un sacco prima di
conficcare nel muro su dei paletti di legno.
La
narrazione funziona straordinariamente per tutti i 71 minuti della pellicola.
Una durata giusta, benedetta da un montaggio funzionale ma concitato, per
un one-man-show su un eroe sostanzialmente muto in un ambiente in cui si
percepiscono solo scricchiolii e il rumore del vento. The Head Hunter è un film
piccolo piccolo, ma ci si perde letteralmente dentro. È un bel viaggio visivo e
un'ottima prova d'attore, ma dovete farvi trascinare nel suo mondo, alimentandolo
anche con la vostra fantasia. Lo sappia bene chi cerca immagini e non
suggestioni, scontri con stunt, arti marziali, computer grafica a rotta di
collo e un set ricostruito dentro una montagna dove interagiscano quattrocento
persone che si vendono costantemente in piano-sequenza come in Scorsese. Qui ci
sta un villino, un vichingo e un cavallo che non si vede neanche per tutto il
film. Il resto è "magia" e suggestione. È come vedere Star Wars solo
dall'interno del MillenniuM Falcon (...che in effetti sarebbe un'idea ganza).
Forse è davvero uno squarcio su come potrebbe evolvere il cinema fantasy, dopo
che ci saremo rotti le scatole dei troppi mondi di effetti speciali che sempre
più tendono a somigliarsi gli uni agli altri. Un fantasy che forse guarderà
meno ai videogame e più al teatro per raccontare la sua epica.
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