mercoledì 29 gennaio 2020

The Head Hunter - la nostra recensione del gioiellino horror-fantasy di Jordan Downey portatoci in Italia da Blue Swan



- Un facoltativo invito a supportare Blue Swan (lettura facoltativa non necessaria ai fini della recensione) Amo il catalogo Blue Swan quanto il catalogo Midnight Factory. Questa etichetta sta portando in home video molto cinema "sconosciuto" ai classici distributori italiani, tra film orientali e russi arci-noti come il Mega-blockbusterone (divertente nel suo essere ultra-esagerato) Wolf Warrior 2 e (l'Indipendence Day russo) Attraction a recuperi meritevoli come (il secondo, bellissimo, con Karl Urban) Dredd e Beyond Skyline (seguito mille volte più bello dell'originale), fino a piccole bombe atomiche come L'uomo che uccise Hitler e poi il bigfoot (con un Sam Elliott pazzesco) e oggi questo The Head Hunter. Tutte pellicole orgogliosamente "di genere" che magari sono passate nei "catalogoni pigliatutto" di Netfix, all'inizio solo sottotitolati, tra un Turbo Kid, un Mandy, un Backcountry e un Death Orgasm (per i cui home video ringraziamo anche Koch Media, Eagle e Midnight Factory), ma che non hanno mai goduto della visibilità che meritano, soprattutto in un mondo in cui ci si lamenta che "al cinema non c'è niente di nuovo oltre Disney" o "vorrei vedere degli splatter come si vedevano una volta" oppure "ma un film di arti marziali mai? Solo John Wick". Queste lamentele legittime accadono perché il mercato italiano "di primo piano" si è contratto, non perché nel mondo si sia smesso di produrre film interessanti. Diciamo che per "la sala" c'è da parte dei distributori poco coraggio nel portare da noi pellicole su cui non si va sempre sul sicuro, unito al fatto che i distributori che sono anche produttori diretti hanno già un loro catalogo da proporre, ma per l'home video è diverso proprio grazie agli eroi come Blue Swan, il cui rinnovamento del catalogo seguo con più interesse delle news di Warner Bros. In un mondo perfetto trovando il tempo vi recensirei tutti i film di Blue Swan in uscita, tra Last Survivor, I guardiani dei mondi e Killzone Paradox, per ora dovrei avere da qualche parte un articolo sui Cacciatori di tesori che prima o poi dovrei pubblicare. Il succo è che dovete davvero tenere d'occhio queste etichette, perché tra molti film con Scott Adkins, action russi e roba sui vichinghi che potrebbe non esattamente interessarvi (ma che dovreste provare almeno una volta), qualche volta arrivano prodotti strani e matti, e per questo imperdibili, come The Head Hunter


- Sinossi fatta male: in un mondo dark fantasy (tra Skyrim e Dark Souls per gli amanti dei videogame, un po' "alla Witcher" per tutti gli altri che "hanno" Netfix) vive un guerriero barbuto (Christopher Rygh, molto bravo come attore, che farà tanta strada) in una casetta stilish gotico-grunge  ai margini di un bosco nebbioso. Per lavoro taglia le teste dei mostri, ed è bravo al punto che ci ha ormai fatturato un bel gruzzolo d'oro. A fine giornata, tolta la pesante armatura lavorata in pelle e ossa di demone alato, impala le teste per la sua collezione personale in salotto (usa un porta-teste IKEA Sgrotzguff), aggiorna le taglie, si cura con pozioni magiche che assembla personalmente seguendo ricette tratte da qualche disco Metal, si prepara per il giorno dopo riposandosi sulla sua poltrona in pelle di uomo lupo cucita a mano nella classica posa corrucciata di Conan in Barbaro di John Milius. Ogni tanto le cose vanno meno bene del solito e rantola in casa in cerca della pozione guaritrice prima di svenire sul tappeto di orso infernale ricamato. Qualche volta i mostri cercano di fargli un agguato notturno scardinando la porta di vero faggio svizzero laccata di sangue di goblin. Ma questa è la routine e ogni volta che suona la campana dal castello arriva un nuovo incarico e una nuova avventura dalla quale uscire malconci, almeno fino al giorno in cui il cacciatore di teste troverà la sua grande occasione per vendicarsi di un certo mostro. 


- Epica: l'epica è "90% di evocazione e 10% di rappresentazione", almeno secondo me. Guardiamo I soliti sospetti di Bryan Singer e rimaniamo affascinati dal luciferino Kaiser Soze senza mai davvero vederlo, per lo più ascoltando un racconto di Verbal Kint (Kevin Spacey) legato a un paio di immagini sfuocate. Guardiamo Valhalla Rising di Refn e dai racconti di un paio di monaci scopriamo che lo schiavo coperto di sangue One-eye che si trascinano su delle valli verdeggianti e piovose (Mads Mikkelson) è in realtà un dio (forse Odino stesso). Guardiamo poi le straordinarie scenografie di Moira con al centro Legolas che squarta orchi e non lo guardiamo come il semi-dio, pensiamo piuttosto che potrebbero trarci un bel protagonista per un videogame, pensiamo agli effetti speciali forse un po' esagerati. Perché lo scenario è già svelato, le capacità dell'eroe già palesi, l'epica non si espande all'infinito nella nostra immaginazione perché sullo schermo c'è già tutto e lo schermo riesce anzi a "distrarci dall'epica", laddove l'effetto speciale non sia riuscitissimo, laddove Legolas non è convincente perché interpretato da Orlando Bloom (uno dei peggiori attori viventi), laddove i mostri sono chiaramente finti. Less is better è una regola fondamentale per l'epica, come per ogni altro tipo di narrazione: più "accenni soltanto" più il risultato sarà migliore perché "quello che manca" ce lo metterà l'immaginazione dello spettatore. The Head Hunter prende questa regola aurea e ci dà una dimostrazione pratica della sua bontà in ambito cinematografico di 71 minuti. 


La pellicola è tutta ambientata nella casa-rifugio del guerriero barbuto, uno straordinario set carico di libri inquietanti, pugnali, ampolle e pozioni, candele, forzieri d'oro, teste di mostro appese e mobili realizzati in modo sinistro. La casa ha tegole che scricchiolano, una finestra che sbatte sui cardini sospinta dal vento, liquami che bollono in padelle, il fuoco alimentato da legna secca. Al di fuori c'è la foresta e il resto del mondo. La campana che chiama alle missioni, i passi dei mostri che incedono verso l'uscio di notte, gli zoccoli del cavallo che annunciano il ritorno a casa dell'eroe. Il resto della messa in scena è lui, il nostro cacciatore di teste. Un uomo che parla solo in ragione dei pochissimi momenti con cui ha un interlocutore e per lo più fa dei grugniti quando si trova ferito da qualche scontro. Un uomo che si racconta tramite il suo modo di affilare le armi, preparare trappole, allestire pozioni, resistere al dolore e stare a fine giornata seduto su un trono d'ossa e pelle di mostro (da vero "King of The Hill" metaforicamente seduto sulla montagna dei suoi avversari sconfitti) al centro di un personale museo degli orrori a base di teste squartate di cui possiamo solo intuire il tanfo, la puzza di putrefazione mista al fango, al sangue e alla ruggine che dominano ogni angolo dello scenario. Un uomo cupo, letale, sporco, ma che comunque rimane umano, sa commuoversi, commette errori, vive momenti di grande depressione e dolore. Il film è questo: ci troviamo nella casa del guerriero nell'attesa che lui parta o ritorni da una battaglia. Lo vediamo prepararsi per la missione come rattopparsi dalle ferite mentre, pensoso, è intento in queste attività e si sente libero di raccontare il suo mondo interiore solo quando si trova nel luogo dove è sepolta la persona che ha più cara, cercando con lei sulla sua tomba un dialogo impossibile. Jordan Downey crea uno stranissimo ibrido tra Castaway di Zemekis e Paranormal Activity di Peli in salsa dark fantasy. Fa parlare l'ambiente e i suoi rumori, permette al suo interprete di esibirsi in una straordinaria prova fisica ed emotiva che dalle suggestioni di pochi dettagli crea un intero mondo fantasy. Bellissime le creature, che ci vengono fatte percepire prima attraverso dei disegni, poi attraverso dei rumori, poi dai graffi che con le loro unghie e denti hanno provocato sul corpo del cacciatore e infine con la loro testa, che l'eroe sgocciola da un sacco prima di conficcare nel muro su dei paletti di legno. 
La narrazione funziona straordinariamente per tutti i 71 minuti della pellicola. Una durata giusta, benedetta da un montaggio funzionale ma concitato, per un one-man-show su un eroe sostanzialmente muto in un ambiente in cui si percepiscono solo scricchiolii e il rumore del vento. The Head Hunter è un film piccolo piccolo, ma ci si perde letteralmente dentro. È un bel viaggio visivo e un'ottima prova d'attore, ma dovete farvi trascinare nel suo mondo, alimentandolo anche con la vostra fantasia. Lo sappia bene chi cerca immagini e non suggestioni, scontri con stunt, arti marziali, computer grafica a rotta di collo e un set ricostruito dentro una montagna dove interagiscano quattrocento persone che si vendono costantemente in piano-sequenza come in Scorsese. Qui ci sta un villino, un vichingo e un cavallo che non si vede neanche per tutto il film. Il resto è "magia" e suggestione. È come vedere Star Wars solo dall'interno del MillenniuM Falcon (...che in effetti sarebbe un'idea ganza). Forse è davvero uno squarcio su come potrebbe evolvere il cinema fantasy, dopo che ci saremo rotti le scatole dei troppi mondi di effetti speciali che sempre più tendono a somigliarsi gli uni agli altri. Un fantasy che forse guarderà meno ai videogame e più al teatro per raccontare la sua epica. 
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