Bettino
Craxi (Favino) si trova in Tunisia nel periodo che precede la sua tragica
scomparsa. È un leone in gabbia ma non domo, che vuole essere ancora presente
sulla scena politica italiana attraverso le molte lettere che invia ai
quotidiani, h24, spesso a scapito dei suoi affetti. Il grande uomo politico non
riesce a staccare mai la spina, non c'è per lui vita al di fuori della politica
e la famiglia, che comunque gli è affettuosamente accanto in un momento di
estremo dolore e sconforto, riesce a fatica a volergli bene come vorrebbe.
Troppi sono i torti da digerire, troppa l'impotenza da accettare, Bettino
decide così di accogliere in casa il figlio di un collega di partito,
l'idealista Vincenzo, un amico silenzioso e lontano dalle scene pubbliche che
gli era molto caro. Il film non usa mai nomi specifici e nei rari casi modifica
anche quelli noti, prendendosi quindi licenze poetiche come questa; anche Craxi
viene chiamato spesso solo come "Il presidente". Il ragazzo, Fausto (Luca Filippi), gli si presenta in villa di notte, allertando i cani,
coperto di fango, forse per ucciderlo nel sonno e quindi allarmando le guardie,
che quasi gli sparano se non interviene proprio Craxi a fermarli, riconoscendo
sotto il fango gli stessi occhi tristi del padre Vincenzo (Cederna). Bettino
crede di avere delle colpe nei confronti dell'amico, che pare essere morto
suicida, così decise di tenersi in casa Fausto per raccontargli la sua vita e i
suoi segreti, prendendolo in simpatia e sperando che un giorno magari possa fare
breccia nel cuore della rigida ma affettuosa figlia Anita (Livia Rossi). La
moglie di Bettino (Silvia Cohen) è favorevole a questa iniziativa, pensa che
la presenza del ragazzo possa far bene al marito, almeno quanto la presenza del
"generale", ossia il piccolo nipote Francesco (Federico Bergamaschi), che spesso gioca con il nonno riproducendo con i soldatini sulla sabbia
alcune delle sue gesta politiche più eroiche (come la crisi diplomatica di
Sigonella del 1985). Forse con un po' di tranquillità e rispettando la dieta
per evitare che il diabete peggiori (difficile perché Bettino è golosissimo,
anche in modo buffo) la moglie spera che "il presidente" abbia
davanti un periodo sereno. Peccato che la salute presto peggiori e che
Francesco si riveli presto un amico pericoloso.
C'è
molto dramma Shakespeariano in questa pellicola liberamente dedicata agli
ultimi giorni di vita di Bettino Craxi. Più Giulio Cesare che Riccardo III, più
Amleto che Otello ma con meno rabbia giovane. C'è una suggestione quasi dickensiana,
da Canto di Natale, con Craxi che viene "visitato" da tre spiriti
"politici" impersonati da Cederna, Filippi e Renato Carpentieri
(anche lui un "senza nome",' ma che dovrebbe impersonare un politico
dello schieramento avverso a Craxi). Ci sono tocchi felliniani come la scena
di apertura con il vetro rotto e il personaggio dell'amante, interpretato da
una struggente Claudia Gerini. C'è molta tenerezza nel rapporto tra il piccolo
"generale" e il nonno, il suo "comandante". Favino dà corpo
a un "presidente" in bilico tra gloria passata e sconforto per il
presente, un guerriero che non riesce a togliersi l'armatura anche quando è
nell'intimità della sua famiglia, un uomo che tiene le distanze con il suo
eloquio e la profonda antipatia che sa di possedere e, come tutti i timidi, usa
come armi. Gli attori sono molto bravi, la scenografia e fotografia ritraggono
una Hammamet che dentro le pareti domestiche del protagonista pare Milano 2 ma
che oltre la soglia ha tutta la magia e i colori dell'oriente.
Amelio
regala alla figura di Craxi, nel ventennale della scomparsa, un film
garbato e intimista che fin dalle prime note musicali del (ottimo)
trailer, con Cento giorni di Caterina Caselli, vuole mettere al
centro la sua storia umana più che politica. C'è la tragedia umana e familiare,
c'è l'epica cantata da un bardo bambino tra sabbia e soldatini. C'è un
piccolo tocco di mistero, tra complottismo e paranoia, a dare un po' di sapore
alla salsa, ma è solo un accenno.
C'è
pochissima politica.
Forse
anche perché è ancora difficile per il nostro cinema parlare di politica come
lo fanno (o provano almeno a farlo), in America Adam McKay (Vice) o in
Francia Nicolas Pariser (Alice e il sindaco), giusto per citare i film più
recenti. Forse perché quando ci si avvicina anche solo lontanamente a un tema
che può "sentire di politica", come nel recente caso di Tolo Tolo,
anche solo per fare la "satira del quotidiano" partono gli strali di
stampa, esperti e gruppi di opinione. Quale che sia la causa, il Craxi di
Amelio, spogliato dell'epica cantata dal nipotino e di due (dico due)
"argomentazioni allusive" esce come uno straordinario uomo comune che
affronta la malattia e la passione delusa per il proprio lavoro. Un uomo che fa
fatica dopo una vita vissuta tutta nel lavoro a relazionarsi con la sua assenza
improvvisa, anche se accompagnata dall'affettuosa vicinanza di familiari e
amici, come la maggior parte degli italiani che perdono il lavoro oggi. Un uomo
comune in cui lo spettatore comune sa di potersi identificare (o riconoscere
il carattere del proprio padre, zio, nonno), come in ogni sceneggiato Rai che
"celebrerebbe sulla carta" le vite di persone straordinarie. Dal
Gianni Amelio di Lamerica ("scritto tutto attaccato", film che mi è tornato in mente di recente guardando Il primo natale e Tolo tolo, guarda tu i casi della vita), che per me è stato un
film che per la sua epoca è stato importante (per il punto di vista
originale con cui guardava a un'urgenza emotiva per me malposta ) mi
aspettavo qualcosa di più "documentato" e meno
"universalistico".
Hammamet
ha uno straordinario Favino che grazie ad un trucco molto accurato e uno sforzo
fonetico incredibile "diventa" per davvero Craxi, superando per
realismo e umanità i mascheroni, un po' da spettacolo di Pingitore, che
Servillo ha indossato per i politici raccontati da Sorrentino. La storia
rappresentata è semplice, un po' favola e un po' tragedia, non annoia, sa
commuovere, ma forse manca di qualche guizzo che davvero metta in luce i
motivi per cui Craxi è arrivato ad essere Craxi e per cui oggi si parla ancora
di lui, nel bene e nel male.
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